Carlito’s Way: anatomia di un gangster in cerca di redenzione

Pensare al cinema degli anni Novanta e non pronunciare le parole “gangster movie” è impresa alquanto ardua: Carlito’s Way (1993) è, senza ombra di dubbio, una pietra miliare di questo filone. Dieci anni dopo l’archetipico Scarface, Brian De Palma torna a dirigere Al Pacino in una pellicola diventata presto di culto tra gli amanti del genere e non solo.

Essere Charlie Brigante non è facile. Nato ad Harlem da genitori portoricani, cresciuto in un quartiere degradato che non offre alternative alla criminalità, ben presto diventa per tutti Carlito, uno dei maggiori trafficanti d’eroina della città. L’ascesa è rapida, la caduta altrettanto: per lui si spalancano le porte del carcere, un soggiorno di trent’anni che lascia poche speranze per il futuro. Ne trascorrono soltanto cinque quando, contro ogni pronostico, torna a essere nuovamente un uomo libero: il merito di questo capolavoro giudiziario è di David Kleinfeld (Sean Penn), giovane avvocato di molti esponenti della malavita locale che, facendo leva su cavilli legali e su presunte irregolarità nelle indagini, riesce a far scarcerare il proprio assistito.

La galera lo ha cambiato, questo dice la gente di strada con cui è cresciuto, non è più il solito Carlito: quello appena tornato in libertà è un uomo stanco, stanco di una vita vissuta costantemente in bilico tra la morte e le manette. Finalmente a piede libero, Brigante vuole soltanto mantenersi pulito e lasciarsi indietro anni di crimine e violenze, rilevando un’attività di autonoleggio ai Caraibi avviata da un ex compagno di cella.

Settantacinquemila dollari separano Charlie da quelle calde spiagge: la gestione di un club notturno, insieme all’amico di sempre Pachanga (Luis Guzmán), diventa la sua principale occupazione e fonte di guadagno. Tutto procede per meglio, nonostante alcuni screzi con un giovane spacciatore del Bronx, Benny Blanco (John Leguizamo), che disconosce la sua autorità nelle strade e lo considera ormai ininfluente nell’ambiente.

Ma, improvvisamente, la situazione precipita: l’avvocato Kleinfeld, ormai completamente annebbiato dagli effetti della cocaina, gioca a fare il gangster e sottrae un milione di dollari a un boss mafioso. Charlie si sente in debito con lui e acconsente ad aiutarlo, trovandosi però ad assistere a un duplice omicidio, mentre gli affiliati, dopo essersi liberati del suo legale, sospettano che anche Brigante sia coinvolto nella vicenda.

E in tutto questo, ad aumentare le preoccupazioni di uno straordinario Al Pacino, c’è Gail (Penelope Ann Miller), la giovane ballerina frequentata da Carlito prima dell’arresto: i due si sono rincontrati per caso e, nonostante il tempo trascorso e la cocente delusione passata, sono costretti ad arrendersi alla persistenza dei loro sentimenti. La donna, dopo aver accantonato il sogno di Broadway ed essere finita a esibirsi in locali notturni, vuole cambiare vita e cerca di tenere l’uomo fuori dai guai: la scoperta della gravidanza provoca in lei reazioni contrastanti ma, dopo un iniziale ripensamento, decide di tenere il bambino e partire verso altro lidi.

Di qui in avanti la pellicola procede attraverso un susseguirsi frenetico di inseguimenti e sparatorie con i siciliani, dai vagoni della metropolitana fino alla stazione centrale di New York: treno notturno per Miami, aereo per Nassau e tutto il passato alle spalle. La fuga di Carlito è al termine e al binario, scortata dal fido Pachanga, lo attende Gail.

Parallela alla sua corsa, però, c’è quella della Morte, stretta in un impermeabile grigio e con il volto coperto da un paio di occhiali scuri: Benny Blanco, una pistola con silenziatore, le urla disperate. Carlito si accascia a terra, lascia i soldi alla compagna incinta e viene portato via d’urgenza su una barella: sullo schermo i fotogrammi d’apertura (questa volta a colori) e, su un cartellone pubblicitario, gli ultimi sussulti di lucidità di un uomo morente proiettano una donna e un bambino che danzano, spensierati, in un tramonto caraibico.

«Gail sarà una brava mamma: un nuovo e migliore Carlito Brigante… Spero che li userà per andarsene, quei soldi: in questa città non c’è posto per una che ha il cuore grande come il suo. Mi dispiace, amore: ho fatto quello che potevo. Davvero. Non ti posso portare con me in questo viaggio… Me ne sto andando, lo sento: ultimo giro di bevute, il bar sta chiudendo, il sole se ne va… Dove andiamo per colazione? Non troppo lontano… Che nottata! Sono stanco amore, stanco…»

L’epopea di Carlito non è una Divina Commedia, è un’Umana Tragedia: l’Inferno del carcere, il Purgatorio di una libertà ancorata a un passato che non ci si può scrollare di dosso, un Paradiso tropicale di serenità soltanto accarezzato con la mente. Come compagni di viaggio e novelli Virgilio, traditori senza scrupoli: l’avvocato Kleinfeld, che dopo averlo fatto scarcerare cerca di venderlo alla Polizia per il proprio interesse, e Pachanga, l’ex braccio destro che, non guadagnando abbastanza con lui ora, decide di consegnarlo alle brame di vendetta di Benny Blanco.

La legge della strada non ammette pentimenti: per quanto abbia cercato di tenersi lontano dalla sua vita precedente e dai pericoli che essa comporta, Brigante ha finito con il trovarsi nuovamente invischiato nelle stesse dinamiche di violenza che hanno accompagnato l’intero corso della sua carriera criminale. Ma, con un amore ritrovato e con un figlio dal futuro sereno, la redenzione di Carlito può dirsi compiuta: a modo suo, My Way, come cantava Sinatra.

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