Alejandro Jodorowsky e l’incontro con una talpa

Il puro caso ha portato sulla stessa strada Alejandro Jodorowsky e chi sta scrivendo questo articolo. Benché si stia parlando di un incontro puramente metaforico, avvenuto su un piano solamente mentale, l’incontro/scontro con la personalità di Jodorowsky è riuscito ad arricchire enormemente la concezione che avevo avuto, fino a quel momento, del cinema. Nato nel 1929 nella città cilena Tocopilla, egli riassume in un solo corpo una somma di interessi, curiosità e capacità artistiche a dire poco spiazzanti: nel corso della sua carriera è stato poeta, scrittore, compositore, fumettista, saggista, drammaturgo, perfino mago si legge in alcune conversazioni nella rete (riferendosi, probabilmente, al fatto che sia anche uno studioso di tarocchi) e, dulcis in fundo, regista.

Proprio con la sua produzione cinematografica ho avuto la fortuna di imbattermi, ormai diversi anni fa, e per la precisione prima nel film “La montagna sacra” e, tempo dopo, in “Santa sangre”: due opere che considero fondamentali per la crescita artistica del Jodorowsky regista, in particolar modo La montagna sacra. Parlare di questi due film, della loro complessità e della loro importanza, richiederebbe molte ore, preferisco quindi lasciare al lettore il gusto della scoperta e soffermarmi, invece, sul lavoro che ha portato il poliedrico artista sotto i riflettori del mondo cinematografico: “El Topo” (la talpa).

El Topo è un film datato 1970 di cui Jodorowsky ha curato regia, sceneggiatura, costumi, colonna sonora e scenografia e in cui, non contento, ha interpretato proprio il ruolo da protagonista. La vicenda, che si svolge interamente in un deserto senza nome o locazione geografica, può essere assimilata al genere western condito con forti elementi surrealistici. Il film è strutturato fondamentalmente in tre parti: nella prima vediamo El Topo, un cowboy accompagnato dal proprio figlioletto, intento a scontrarsi contro un gruppo di banditi responsabili per una strage commessa in un villaggio sperduto; nella seconda parte El Topo, insieme a due misteriose donne, inizia la ricerca dei quattro pistoleri più abili del deserto, con l’intento di batterli e divenire il migliore; infine, nella terza parte, il cowboy protagonista cerca la redenzione per le sue azioni favorendo la fuga di una comunità di persone deformi e mutilate, rinchiuse dentro una grotta senza speranza di aiuti esterni.

Quella che racconta Jodorowsky non è una semplice epopea western (almeno, non pensata in modo tradizionale), ma è il viaggio di un uomo nei reconditi delle proprie forze, paure, debolezze e aspirazioni. Questa è la citazione di apertura del film, già tradotta: “La talpa è un animale che scava gallerie sottoterra cercando il sole. A volte la strada lo porta in superficie. Quando vede il sole, rimane accecato”, ed è estremamente riassuntiva delle vicende narrate nel film. El Topo non fa altro che vagare senza meta nel deserto della propria anima, cercando Dio (un senso alla vita, forse?) che momento dopo momento sembra abbandonarlo sempre di più; o forse è proprio il cowboy ad allontanarsene, disposto, spinto dal desiderio di primeggiare e di conquistare le donne che porta con sé, ad utilizzare i peggiori inganni pur di uccidere i quattro pistoleri che incontrerà sul proprio cammino.

I sensi di colpa per le sue azioni lo porteranno ad una profonda crisi spirituale, che troverà conforto nel desiderio di aiutare una comunità sotterranea di uomini deformi e mutilati segregati dentro ad una grotta, allontanati dagli abitanti di una città che sorge ai piedi della formazione rocciosa. Questi ultimi diventano il veicolo per un’aspra critica alla società, macchiandosi delle colpe di odio verso il diverso e pregiudizio nei confronti di ciò che non si conosce. Ancora, gli abitanti sono agitati da una febbre religiosa che oltrepassa i limiti del fanatismo, e che li porta a giocare ad una mortale roulette russa ad ogni celebrazione della messa, confidando nell’aiuto di Dio. È utile specificare che il regista cileno non è affatto estraneo a queste tematiche, avendo trattato già nei film ricordati sopra il rapporto dell’uomo con la sacralità e la spiritualità.

Non da ultimo, il film di Jodorowsky si riempie di personaggi originali e fuori dal comune, tanto che sembrano essere usciti dalla mente di un mangaka giapponese: da un lato, i banditi della prima parte sono rappresentati con tratti bestiali, capaci solo di seguire gli istinti primari che li portano a bramare unicamente sesso e cibo; dall’altro, i quattro tiratori nascosti nel deserto rappresentano probabilmente il punto più alto della fantasia che il regista ha sprigionato per la creazione di El Topo, tra pistoleri ciechi, anziani eremiti capaci di respingere le pallottole e bizzarri allevatori di conigli.

Jodorowsky si dimostra un acuto osservatore del mondo, aperto alle tematiche più complesse e disparate, partendo dalla società e le sue bizzarre contraddizioni fino al mito della redenzione, dalla ricerca del piacere all’allontanamento da Dio, dal percorso spirituale fino al momento in cui la talpa, emergendo dalle profondità della terra, vede finalmente il sole e resta cieca.

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