Chernobyl e il fascino del dark tourism

Si dice della storia che sia magistra vitae e che chi non la sa sia condannato a ripeterla. I nostri calendari sono disseminati di commemorazioni e giornate dedicate a varie tematiche su cui risulta ancora necessario riportare l’attenzione con una certa regolarità. Ad alcune tragedie l’attenzione invece non manca, e si manifesta in un modo che non ci aspetteremmo. Il termine esatto è dark tourism, cioè turismo oscuro o dell’orrore. Indica l’interesse per i luoghi dove sono avvenute tragedie o catastrofi di vario genere: si va dai prevedibili campi di concentramento, ai siti di celebri incidenti (come quello di Lady Diana sotto il Ponte de l’Alma a Parigi, o il nostrano naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio), fino anche all’inaspettato fascino per luoghi abbandonati in seguito a eventi disastrosi (un fenomeno che si incrocia con il cosiddetto ruin porn).

Chernobyl

In tale categoria, sito assai gettonato è quello di Chernobyl. Le sue vicende sono note: all’1.23 del 26 aprile 1986 esplose il reattore 4 della centrale nucleare V.I. Lenin, causando la fuoriuscita di materiale altamente radioattivo che in parte ricadde al suolo in una vasta area attorno alla centrale, e in altra parte attraversò l’Europa spinto dai venti. Solo 36 ore dopo l’incidente iniziò l’evacuazione delle città vicine e più contaminate, spacciata agli abitanti come temporanea. Alcune di esse, tuttavia, nel raggio di circa 30 km dalla centrale, non li videro più tornare: è la cosiddetta zona di esclusione, in cui la residenza stabile è ancora vietata e l’accesso è regolato dalle autorità.

Da alcuni anni la Zona è aperta al pubblico, sempre con restrizioni. La si può visitare legalmente solo attraverso i tour guidati ufficiali, in cui i visitatori sono tenuti a seguire le indicazioni delle guide e rispettare le norme per la sicurezza previste. Nel solo 2018 sono stati circa 80 mila i turisti registrati, e negli ultimi mesi le prenotazioni sono addirittura aumentate, complice la mini-serie Chernobyl lanciata quest’anno da HBO. 

Prypjat

Le motivazioni per cui questa Zona è meta di un cospicuo pellegrinaggio sono le più disparate. 

Alcuni sono affascinati dal suo peculiare scenario, cupo, logoro e silenzioso, esattamente opposto alle città vitali e spesso frenetiche a cui siamo abituati. Le varie cittadine sono abbandonate al corso della natura da più di trent’anni. Le piante si sono riprese i loro spazi e gli agenti atmosferici hanno logorato le strutture create dall’uomo. Flora e fauna proseguono la loro vita, non senza difficoltà e mutazioni. Nelle città fantasma si vedono palazzi sventrati, scheletri arrugginiti di giostre o monumenti, complessi sportivi spettrali. L’unico ricordo della vita antropizzata sta nelle luci della vecchia centrale: brillano a poca distanza, illuminando il grande sarcofago contenitivo.

Altri sono interessati alla sua storia: Prypjat è come una Pompei dell’Unione sovietica, una fiorente e moderna cittadina di 50mila abitanti fossilizzata agli anni ‘80 e ancora a nostra disposizione; in più, conserva il pesante monito di cosa implichi un disastro nucleare, avvenuto a soli 3 km di distanza. Altri ancora, invece, sono semplici curiosi, più o meno educati. Ma non finisce qui.

Stalker

Nonostante il divieto di accesso alla Zona al di fuori dei tour autorizzati, c’è chi sfida diversamente il filo spinato. Si definiscono “stalker”, ossia guide non ufficiali esperte del territorio, con riferimento all’omonimo film di Andrej Arsen’evič Tarkovskij (una pellicola del 1979 ambientata in un contesto simile a quello che sarà Chernobyl sette anni dopo, a seguito dell’incidente nucleare). Si introducono illegalmente nella zona di esclusione, la esplorano, vi restano dentro per giorni. Molti non portano con sé neanche il contatore Geiger (che permette di misurare il livello di radioattività), né adottano precauzioni per evitare la contaminazione. 

Gli stalker sono anche protagonisti del docufilm The Zone, realizzato dal regista Alessandro Tesei e dal fotoreporter Pierpaolo Mittica. Ai loro microfoni, oltre alle più comuni motivazioni di cui si diceva anche sopra, c’è chi dichiara il proprio desiderio di meditare in un’area così particolare, chi di trovare una propria dimensione, chi di mettersi alla prova a livello fisico e mentale, chi di mostrare forza e resilienza nei confronti di uno Stato che non si è curato di questo territorio e dei suoi abitanti in modo adeguato. La reporter di viaggi e cultura Gulnaz Khan, per National Geographic, li racconta così:

Gli stalker si considerano al contempo studenti di storia e documentaristi, impegnati a preservare Chernobyl dall’oblio e ad evadere dalla costante concitazione della città.

Mistica

Il fenomeno del dark tourism, insomma, presenta un quadro abbastanza vario e altrettanto varie sono le considerazioni degli esperti in merito. 

Il fil rouge che accomuna questi luoghi è senza dubbio il loro legame con la sofferenza e la perdita della vita. Alcuni dei visitatori vi cercano il senso di tanto dolore e delle azioni che lo hanno causato, specie laddove gli autori sono veri e propri carnefici (si pensi ai campi di concentramento). Riflessioni non altrimenti facili nella nostra attiva società. Siti come questi permettono, invece, di farle anche a debita distanza, con la possibilità di tornare, una volta usciti, nella sicura e serena tranquillità della propria vita. Di per sé, inoltre, il turismo dell’orrore ha una lunga storia: basti pensare ai giochi romani dei gladiatori e alle esecuzioni medievali. La morte ha un macabro, mistico e inestinguibile fascino.

Eterotopia

Il dottor Philip Stone, dell’Institute for Dark Tourism Research della University of Central Lancashire, tira in ballo anche l’eterotopia. Il termine, coniato dal filosofo francese Michel Foucault, vuole indicare quegli spazi che sono interconnessi a tutti gli altri, e il cui scopo è proprio la loro reciproca comunicazione, “ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano. Alcuni esempi sono lo specchio, il cimitero, i teatri. 

Chernobyl ora è un posto-Altro. Esiste accanto agli spazi ordinari del quotidiano, ma è un luogo dove il disastro è stato catturato e sospeso. È un luogo di crisi, devianza, profonda riflessione. La sua funzionalità è determinata dal suo consumo turistico e, di contro, riflette la società in cui viviamo. Luogo surreale da giustapporre ai nostri incubi apocalittici, Chernobyl è sia reale che immaginario.

Questo ed altri luoghi, insomma, parlano alla parte più cupamente curiosa di noi, che si interroga sui misteri della vita e della natura umana.

 

 

*Le traduzioni sono a cura dell’autore.



 

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