Un’Africa sconosciuta ai più: lo Zef dei Die Antwoord

Quanta musica di altri paesi ascoltiamo? Ma soprattuto, di quali paesi si tratta? In un mercato dominato dall’anglofonia è quasi la regola non sapere di quale nazionalità siano gli artisti che ascoltiamo. Gran parte di loro sicuramente proviene dall’America, alcuni dal Regno Unito, ma spesso ci sfugge che in un mondo così globalizzato e pieno di contaminazioni internazionali esistono anche altre nazioni con artisti degni di nota. Viene in mente il Sud America, che però non è solo quello che arriva nelle nostre radio d’estate; viene in mente l’Asia, che solo adesso sta arrivando nel mainstream occidentale con le sue caratteristiche band.

In questo articolo parleremo di un’area ancora più bistrattata dal pensiero comune sulla musica. Parliamo di Africa. Quanti di voi, su due piedi, riuscirebbero a nominare uno o più artisti o brani provenienti da questo continente? Si fatica, è vero, ma vogliamo provare a colmare questa lacuna per voi. Oggi presentiamo i Die Antwoord (“La risposta” in afrikaans, una lingua germanica parlata in alcuni stati africani), un gruppo del Sudafrica che ha raggiunto un’incredibile fama mondiale facendo sfoggio delle proprie radici.

I Die Antwoord nascono come gruppo hip hop nel 2008 a Città del Capo, formato dall’allora ventiquattrenne ¥o-landi Vi$$er (pseudonimo di Anri du Toit) e dall’allora trentaquattrenne Ninja (Watkin Tudor Jones), insieme al loro produttore Dj Hi-Tek (che dopo due album ha cambiato pseudonimo in God). Di quest’ultimo, però, si sa ben poco, se non quello che è contenuto nel video Zef Side, una sorta di video-presentazione per una canzone del loro album di debutto, $O$ (2009). Ed è proprio la cultura Zef” a fare da padrone nelle loro sperimentazioni musicali e nei loro testi. Ma di cosa si tratta?

Lo Zef è una cultura – anzi, una contro-cultura, citando Wikipedia – creata da loro stessi per rappresentare l’eccesso e le contraddizioni della cultura bianca sudafricana. Zef, infatti, è un’abbreviazione della Ford Zephyr, modello di automobile in voga tra gli anni Sessanta e Settanta, che è diventata simbolo del binomio povertà, ma con stile. Il focus, quindi, sta tutto in quello: cattivo gusto ed eccesso, autocelebrazione e, soprattutto, autodefinizione. I Die Antwoord lo citano come stile di vita, non solo nei loro abbinamenti di vestiario discutibili in base al gusto occidentale, ma anche nelle loro produzioni e nei loro testi. Un vero e proprio filo rosso di tutta la loro opera discografica, ma anche del fenomeno sociale che si è creato attorno a loro.

Il gruppo è diventato famoso grazie alla viralità del loro primo video, Enter the Ninja, nelle cui immagini un Ninja perennemente a petto nudo ripete versi autocelebrativi con un accento sudafricano molto pesante. Questo accento era stato volontariamente esagerato per mettere in risalto le radici sudafricane. Queste immagini si alternano a quelle di una ¥o-landi nella sua camera da letto che si strugge per il suo Ninja:

I am your butterfly, I need your protection, be my samurai.

Il tutto condito da rapide apparizioni del loro produttore – o di una persona che comunque ne interpreta il ruolo – e innumerevoli riferimenti alla cultura nipponica.

Negli anni i video dei Die Antwoord hanno mantenuto un certo standard di stranezza: possiamo citare Baby’s on Fire, in cui Ninja recita la parte del gelosissimo fratello di ¥o-landi che coerentemente col titolo è, appunto, on fire. Si pensi al video di Ugly Boy, che ha come guest stars niente di meno che Cara Delevingne, Marilyn Manson, Dita Von Teese e Jack Black. Per non parlare di Gucci Coochie, in collaborazione con Dita Von Teese.
Tutti ospiti rispettabilissimi, ma che nel tempo non hanno mai inibito il modo di fare del gruppo, sempre provocatorio e irriverente.

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