Musica attraverso i media: film, serie tv e spot pubblicitari

La musica rappresenta uno dei mezzi più potenti e immediati per far provare emozioni, dalle più blande alle più forti, ai propri fruitori. Ed è proprio questo il motivo per cui il suono è così sfruttato nei più vari campi e per i fini più diversi: basti pensare al sound branding e alle pubblicità, che spesso e volentieri vedono slogan e immagini variopinte accompagnate da una sonorità il più convincente possibile. Ma anche al cinema e alle serie tv, che non potrebbero fare a meno della propria colonna sonora e delle sigle.

La musica nel cinema

Nel cinema la colonna sonora, intesa come l’insieme dei suoni che possono essere uditi durante la visione di un film, è essenziale. Questo perché non è un semplice sfondo: ha una vera e propria funzione narrativa che può essere esplicata nei modi più diversi.

Si può far sì che la musica di sottofondo “decodifichi” la scena e faccia intuire allo spettatore ciò che sta per accadere prima ancora che accada, quindi come se avesse una funzione prolettica. Basti pensare a un qualsiasi film horror: dal sottofondo inquietante che accompagna determinate scene è facile capire quando sta per accadere qualcosa. Ma l’accompagnamento musicale può avere appunto anche una funzione decodificante: qualora la scena potesse risultare dal significato ambiguo, la musica di sottofondo è un grande segnalatore di senso.

Più in generale, spesso la musica serve ad agevolare il processo che porta a empatizzare con ciò che si sta guardando. Serve a entrare meglio all’interno della storia e, conseguentemente, anche a comprenderla meglio.

Colonne sonore e premi Oscar

Il fatto che la colonna sonora sia una delle parti essenziali di un film è confermato dal fatto che esiste una statuetta dorata apposita a premiare ogni anno la migliore.

Sono numerosissimi i film della storia del cinema che nessuno potrà mai dimenticare a causa della loro colonna sonora. Basti pensare al film Titanic, con la colonna sonora di James Horner, vincitore del premio Oscar del 1998. Ma anche la colonna sonora vincitrice dell’anno successivo non sarà facilmente dimenticabile dagli italiani amanti del grande schermo. Infatti nel 1999 si vide trionfare Nicola Piovani, compositore della musica de La vita è bella, il celebre film con la direzione di Roberto Benigni.

Altro italiano di recente (2016) premiato per la colonna sonora di Hateful Eight (scritto e diretto da Quentin Tarantino) è Ennio Morricone. Il compositore che nel 2016, prima di ricevere la vittoria agli Oscar, aveva assistito all’inserimento della stella con il suo nome nella prestigiosa Walk of Fame di Los Angeles, aveva affermato:

Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica.

Negli ultimi tre anni, invece, le statuette sono state ricevute da Justin Hurwitz (2017), Alexandre Desplat (2018) e Ludwig Göransson (2019). I tre, rispettivamente, si sono occupati della musica di La La Land, The Shape of Water e Black Panther.

Hans Zimmer

Ovviamente, non per tutti la colonna sonora ha la stessa funzione. Hans Zimmer è un compositore e produttore tedesco molto apprezzato: tra le varie candidature e premi ricevuti, spicca su tutti proprio un premio Oscar ricevuto nel 1995 per Il re leone.

In una conferenza tenutasi nell’ottobre del 2018, parlando del linguaggio della musica, egli si è espresso così:

Credo davvero che esso sia un linguaggio autonomo, è un linguaggio che apre le porte alle emozioni; con la musica posso esprimere cose che voi tutti cercate di esprimere ma che non riuscite davvero a dire solo con le parole e le immagini. Con essa io cerco di fare da tramite verso la storia di un film.

Non posso davvero parlare del significato della storia attraverso la musica, ma c’è qualcosa riguardante l’esperienza del pubblico che trascende l’eleganza delle immagini e la bellezza delle parole, ed è ciò che la musica fa, aprendo porte e permettendoti di entrare, dandoti la possibilità di avere un’esperienza, di provare un’emozione. Quello che io cerco di fare non è dirti cosa devi provare – se devi sentirti innamorato, triste o altro – voglio che tu abbia una sensazione autonoma, un sentimento autonomo dell’esperienza.

Un’altra cosa che riguarda la musica è che si svolge in tempo reale, e gli attori coinvolti in questo sono i musicisti, perciò devi essere molto accorto con loro, devi cercare di far capire loro ciò che bisogna trasmettere

Perché potremmo davvero avere un approccio sbagliato, potremmo raccontare la storia in maniera sbagliata. Ma se invece abbiamo il giusto approccio, possiamo ottenere uno strato di emotività, uno strato di quel linguaggio segreto – la musica – che si inserisce nella storia. E non si tratta di nessun genere di musica in particolare; come ha detto Duke Ellington, esistono solo due tipi di musica: la buona musica e la cattiva musica.

Black Mirror e la potenzialità di una colonna sonora

Il caso di ciò che sta avvenendo con l’ultima stagione di Black Mirror è più che emblematico per evidenziare la potenzialità di una colonna sonora. La quinta stagione della fortunata serie antologica britannica è apparsa su Netflix il 5 giugno 2019 ed è formata da tre episodi. L’ultimo – Rachel, Jack e Ashley Too – tratta della storia di una giovane ragazza che ha sviluppato un’ossessione e un forte attaccamento per una celebre pop star, Ashley O. Da qui, avranno luogo una serie di vicissitudini legate alla bambola parlante di questa cantante.

Ciò che è rilevante qui non è tanto la trama dell’episodio in sé quanto ciò che è avvenuto dopo.

La giovane Ashley O, interpretata dalla cantante Miley Cyrus, sembra aver scatenato un vero e proprio assalto agli ascolti. Il video di una delle canzoni della pop star dai capelli lilla, On a Roll, conta già più di 12 milioni di visualizzazioni su YouTube e più di 25 milioni di stream su Spotify. Considerando che si tratta di un’artista non realmente esistente si deve considerare come un successo non indifferente. Il fatto che la notorietà di Miley abbia influito è indubbio, così come l’orecchiabilità della canzone.

La cantante si è poi esibita al Glastonbury Festival, tenutosi dal 26 al 30 giugno 2019 nel Regno Unito, portando sul palco anche On a Roll, cantata con addosso la parrucca colorata con la quale la si vede sul piccolo schermo.

Ma non è finita qui: secondo il «The Guardian», la non-esistente Ashley O è stata subito assunta a icona dalla comunità LGBTQIA+ per il Pride britannico. Le spiegazioni sono le più diverse: il testo accattivante ed empowering sicuramente hanno influito, ma un intervistato ha riportato come motivazioni principali il fatto che lei sia immediatamente riconoscibile, con la parrucca lilla e un abbigliamento decisamente scintillante. A ciò va poi aggiunto come la musica pop stia passando un momento “oscuro” e di come sia quindi molto facile dare rilevanza a un fenomeno del genere.

Musica nelle serie tv: le sigle

Del resto – al di là della colonna sonora vera e propria o della musica inserita all’interno degli episodi per fini di trama, come nel caso di On a Roll – non ci si può dimenticare mica delle sigle.

Netflix dà la possibilità di saltare questo cruciale momento nella visione di un’intera serie tv. Spesso e volentieri la si salta, soprattutto quando si è lì a fare un’abbuffata di puntate, una di seguito all’altra, senza interruzioni (il cosiddetto binge watching). In quei casi, effettivamente, la sigla può risultare solo d’impiccio. In altri casi invece, soprattutto se ben fatta e se si è particolarmente affezionati a quella data serie, può essere solo un piacere.

Non tutte le sigle sono uguali: possono essere lunghe o brevi. Le immagini possono riassumere i punti salienti della trama o i personaggi, o possono anche essere monocromatiche, o con una sola immagine fissa. Possono voler comunicare qualcosa, possono essere composte da frame delle stesse puntate, oppure no. Possono voler rimanere impresse nella mente dell’ascoltatore, o magari vogliono evocare qualcosa. Qualche esempio?

Il motivetto inquietante della sigla di American Horror Story è difficilmente dimenticabile per gli amanti della serie. Gli scenari sono sempre diversi, stagione per stagione, trattandosi del resto di una serie antologica. Ma è come se i creatori volessero lasciare sempre la stessa impressione di fondo: una serie “horror ma non troppo”, conturbante ma non sconvolgente. La musica è perfettamente in grado di evocare questa sensazione.

Per non parlare del sottofondo che accompagna quel “and who am I? That’s a secret I’ll never tell. XOXO, Gossip Girl“. Questa sigla dura solo undici secondi, e probabilmente è anche per questo che la maggior parte di coloro che hanno amato, o anche odiato, la serie la ricorderà.

E poi…

Sicuramente una delle sigle più amate dagli spettatori.

La bellezza e il conseguente successo della sigla di Game of Thrones, oltre che per il sapiente lavoro di grafica, lo si deve sicuramente anche alla sua musica. Il suo compositore è Ramin Djawadi, musicista tedesco che dà un’enorme importanza al sottofondo musicale di una scena. Egli si è occupato non solo della sigla di Game of Thrones ma anche di tutta la musica presente all’interno della serie, oltre che delle colonne sonore di Westworld, Prison Break e molte altre.

In un’intervista per «The Observer» dello scorso anno, il compositore si esprimeva così riguardo alla differenza della creazione della musica di due serie come Westworld e Game of Thrones:

Fortunately, they are very different plot-wise. Therefore musically, they are very different. The easiest example I like to refer to is, for example, the piano.
In Game of Thrones, piano is non-existent except that one piece in season six, whereas in Westworld, the player piano is a key element of the show. So right there, the basis of it all, is already very different and of course synthesizers, there’s very few in Game of Thrones even though I do use some of them. They’re not as prominent as in Westworld so the basis of it all is just being able to go into completely different directions.

E, a proposito di Westworld, quando gli venne chiesto quale altro sarebbe il ruolo della musica, oltre a quello di dire agli spettatori che tipo di sentimento dovrebbero provare in quel momento:

I think stylistically we have this duality between the theme park elements and the emotional elements and the synthetic robots elements. I don’t think I’ve ever had as, what’s the word, as opposite on each side where you kind of have to capture both the human element and the robotic element, I guess. Overall, the music needs to capture that.

Marketing e musica: il jingle

Ma il potere evocativo e quello identificativo della musica sono cruciali soprattutto nel suo utilizzo nell’ambito della promozione commerciale. Negli spot pubblicitari parte tutto dalla volontà di comunicare un determinato messaggio ai potenziali compratori, e questo può avvenire in modi differenti.

Uno di questi è il jingle: esso altro non è che una melodia molto breve ma che deve risultare non banale, affinché sia facile da ricordare. Altra finalità che questo piccolo suono deve avere è quella di essere facilmente associabile a un determinato prodotto, quindi deve essere costituito da qualcosa che evochi il prodotto che si vuole vendere. Ovviamente è essenziale che, in questo processo, si tenga conto del target, ovvero del pubblico alla quale quel determinato spot si rivolge, identificato in base a vari fattori come il sesso, l’età, il luogo geografico, ecc. Il motivo è abbastanza logico: il suono deve essere in qualche modo coerente con l’immagine generale del prodotto.

Se tutto ciò funziona, i “bersagli” di quella data pubblicità si ricorderanno del prodotto. Nel bene o nel male, lo terranno a mente. Forse lo noteranno quando lo vedranno in giro e gli si materializzerà in testa proprio il jingle a esso associato. Lo compreranno magari, o magari no. Se è rimasto nella loro mente, lo spot ha comunque svolto il suo lavoro egregiamente.

Del resto, c’è chi ha ancora nei propri ricordi i motivetti di pubblicità viste in televisione anni e anni fa. Chissà perché.

CREDITS

Copertina de Lo Sbuffo

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