Divise scolastiche: una soluzione al bullismo o una minaccia per la creatività?

Il tema della divisa scolastica ha creato in Italia numerosi dibattiti. I vantaggi di quest’ultima sulla carta appaiono numericamente più numerosi rispetto all’unico grande svantaggio. Come modello sono state scelte le numerose nazioni che hanno imposto l’obbligo della divisa scolastica. Il continente che più si presta al nostro immaginario in quanto a divise è l’Asia, basti pensare al Giappone o alla Cina. In Europa abbiamo l’Inghilterra che fa da modello a chi in Italia vorrebbe reintrodurre questo tipo di abbigliamento. Spostandosi ancora di più ad Ovest troviamo i potenti Stati Uniti, i quali si trovano in mezzo come stili e interpretazione di questo obbligo.

Soprattutto per i paesi asiatici dietro all’uniforme sono impiantati dei concetti morali ben precisi, ovvero: l’eleganza, l’ordine e il legame forte tra lo studente e il suo istituto. In Giappone la divisa scolastica detta Seifuku deve essere portata dalla scuola materna fino alle superiori, negli istituti privati e pubblici. Sorprendentemente lo stile delle divise si ispira a un modello occidentale, militare per i maschi e marinaresco per le femmine. La propria uniforme indossata durante la giovinezza diventa un ricordo prezioso, da custodire minuziosamente durante l’età adulta per lasciarsi trasportare dalla malinconia. Per molti sono anche diventate oggetto di collezionismo, creando un vero è proprio mercato per soddisfare gli estimatori della cultura nipponica.

Un altro paese particolarmente fiero del proprio sistema scolastico è l’Inghilterra, il quale ha un rigido regolamento per quanto riguarda l’abbigliamento. L’ambiente è solitamente molto formale e la divisa deve rispecchiarlo. L’uniforme deve essere comprata in loco o può essere ordinata solo dopo le indicazioni scolastiche. I colori più utilizzati sono spesso scuri, come il blu e il nero con lo stemma della scuola ben in vista. Proprio come per il giapponese i singoli capi variano per i maschi e per le femmine. L’Inghilterra non ha abbandonato uno stereotipo di genere ormai superato, facendo indossare la gonna alle ragazze e i pantaloni ai maschi.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti la realtà dei fatti è più variegata in quanto ogni scuola può scegliere il proprio regolamento per quanto riguardo lo stile di abbigliamento. Alcune scuole decidono infatti di utilizzare un divisa. Tuttavia la prima immagine che salta in testa quando si pensa alle High School americane è la classica felpa o divisa sportiva con i colori e le iniziali dell’istituto. In questo modo gli studenti possono sentirsi parte di una comunità, senza dover per forza rinunciare al proprio stile personale.

I punti che sostengono la tesi sulla positività delle divise sono sia pratici che psicologici, primo fra tutto la diminuzione del bullismo. Concettualmente le divise costituiscono un livellatore sociale per eliminare le discriminazioni, il non avere dei punti deboli da colpire diminuisce la tendenza dei più giovani di schernire un determinato compagno per il suo modo di vestire.

Questa teoria ha fatto sorgere anche numerosi dubbi sulla libertà di poter esprimere se stessi a 360˚, possibilità che ogni persona dovrebbe avere il diritto di esercitare fin da piccolo. La divisa, per molti, non crea un’ omologazione naturale, ma viene semplicemente imposta dall’alto, scegliendo direttamente per gli altri come ci si può vestire in un determinato ambiente. Il livello dell’educazione e del buon costume viene fortemente oltrepassato, creando al suo interno degli stereotipi stessi. Per esempio la scelta di far indossare solo gonne alle ragazze o solo pantaloni ai ragazzi, come accennato in precedenza. Nelle scuole britanniche è anche vietato indossare piercing o avere tatuaggi, limitando molto l’identità degli adolescenti. Tuttavia è assolutamente consentito indossare dei simboli della propria religione come per esempio l’uso del velo per gli studenti mussulmani.

Insomma, se da una parte l’eliminazione parziale di gruppi in base alle caratteristiche estetiche può diminuire il bullismo, dall’altra è l’istituzione scolastica che decide che cosa sia rigoroso e cosa no. È la scuola stessa a bandire e categorizzare i bambini e gli adolescenti per il loro modo di esprimersi attraverso i vestiti o gli accessori. In Giappone si cerca di sviare a questo obbligo personalizzando le proprie divise, aggiungendo fiocchi o spille, eliminando la cravatta, lasciando la camicia più sbottonata. Possiamo dire che alla base degli oppositori c’è proprio il diritto di autodeterminazione e d’espressione.  La risposta della controporte è il messaggio didattico che la divisa vuole trasmettere agli studenti: le proprie idee possono essere comunicate agli altri sviluppando un forte pensiero critico, il quale può essere trasmetto attraverso fatti e parole, senza doversi creare una particolare immagina esteriore.

Tornado alla nostra realtà più vicina è bene ricordare che in Italia vige il sistema dell’autonomia scolastica, ovvero lo stato non impone un regolamento da seguire per quanto riguarda l’abbigliamento. L’indumento che più può assomigliare al concetto di divisa è il famoso e per molti odiato grembiule, indossato dalla materna fino alle scuole elementari. Nel 2008 l’allora ministro dell’istruzione Gelmini aveva proposto la reintroduzione del grembiule obbligatorio nelle scuole pubbliche, provocando un ampio dibattito nella stampa. In conclusione, è difficile per ora trovare finalmente una risposta alla domanda sulla legittimità delle divise scolastiche, in quanto il principale fattore d’opposizione non può essere messo da parte in favore dei lati più positivi.



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