Amori perduti

Dove vanno a finire gli amori perduti?

«Sei un uomo di merda! Scendi! Sei solo un uomo di merda!» urla una ragazza tra le lacrime mentre cerca di salire i gradini di metallo del treno. La stazione è buia e deserta; siamo sperduti da qualche parte, a metà del tragitto, fermi a una delle tante fermate anonime, senza coordinate spaziali, una di quelle stazioni fantasma che sembrano comparire solo quando scende la sera.

«Sei un uomo di merda!»

«Dai, non fare così, ora basta.» Lui le parla con apparente calma. «Basta, per favore.» È salito sul treno, resta immobile sul tramezzo davanti alle porte, la guarda dall’alto in basso, mentre lei sulla banchina continua a piangere e urlare. Se ne sta lì, rigido e immobile, teso, attaccato al mancorrente blu del vagone, come un naufrago che ha nuotato per otto ore in mezzo agli squali e ha finalmente raggiunto un isolotto dove mettersi in salvo. Guarda la banchina grigia e nera, e gli occhi rossi e azzurri della ragazza, come si guarda l’oceano in tempesta dal bordo di un precipizio.

«Scendi! Lasciami salire!»

Lui la respinge con una mano mentre con l’altra si tiene saldamente aggrappato alla sbarra di metallo.

«Basta, per favore» dice. C’è un sottofondo di imbarazzo e di qualcos’altro nella sua voce, qualcosa di stridente che fa male alle orecchie e al cuore, qualcosa di falso, di viscido, di meschino. È fredda, dura, e allo stesso tempo spaventata. Sa che cosa sta facendo? Di cosa ha paura?

Quando le aveva chiesto di vedersi lui sapeva già cosa le avrebbe detto, lei no. «È finita» le avrebbe detto; lei avrebbe dovuto accettare la cosa anche se quella sera si era messa quel vestito che sapeva essere il suo preferito, quello che le lasciava la schiena scoperta, libera di essere accarezzata dalle mani di lui, grandi, morbide e forti. Avrebbe dovuto capire che non c’era più nulla da fare, lui aveva preso una decisione, e l’aveva presa per entrambi; lei non aveva libertà di scelta in quel caso. Avrebbe dovuto provare a immaginare tutta una vita senza quell’uomo più grande di lei per il quale aveva preso una sbandata, per il quale al pomeriggio si era depilata con cura le gambe affinché lui le trovasse morbide sotto alle dita e potesse risalire lentamente verso le sue cosce.

«È finita» le avrebbe detto, e non ci sarebbe più stato nulla. Niente di niente.

«Sei un uomo di merda.» Le cose non erano andate proprio come previsto, lei non aveva reagito esattamente come lui si era immaginato. Si era preparato a una reazione più modesta, qualche lacrima sì, qualche supplica, ma niente di tutto quello che stava accadendo. Per quello aveva paura; l’imprevisto, le reazioni forti, gli esseri umani che si aggrappano a noi e che non ci lasciano andare ci fanno paura.

«Sei un uomo di merda.»

Probabilmente è vero; dipende dal punto di vista, ovviamente. Chissà per quanto tempo ancora quelle parole risuoneranno nelle sue orecchie.

Ci sono cose che non si possono e non si riescono ad accettare, almeno, non sul momento. Ci vuole tempo, tanto tempo; i giorni, i mesi, gli anni passeranno, la ferita si cicatrizzerà, e quella ragazza, pensando all’uomo che in una sera di inizio marzo se n’è andato su un treno, lasciandola da sola sulla banchina di una stazione deserta, non sentirà altro che un leggero fastidio dietro agli occhi per una frazione di secondo, e poi tornerà a fare quello che stava facendo.

Il treno parte lentamente. Il suono isterico delle porte che si stanno chiudendo sovrasta la voce della ragazza, e quando la scritta non aprire diventa rossa le sue parole scompaiono definitivamente. C’è solo il suo volto, per un istante, confuso e rigato di lacrime dietro al vetro sporco, ma già in movimento, già sfocato e deformato. Il treno prende velocità; lei lo guarda allontanarsi mentre i vagoni le sferragliano accanto sollevando un turbine di aria e di polvere, e lui non si guarda più indietro. Partito. Andato. Lontano, lontanissimo da lei. Abbandonare, lasciare, tagliare, strappare, spezzare.

Dove vanno a finire gli amori perduti? Ce li portiamo dentro, in un luogo senza coordinate dove si accatastano nomi, volti, voci, pelli, occhi, labbra. Storie. Ognuno ha la sua storia. Una, due, tre, quattro, perché nessuna è uguale a un’altra.

«Sei un uomo di merda.» La sua ultima maledizione.

 


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