scortecata

La favola nera di Emma Dante: “La Scortecata”

Emma Dante è tornata al Piccolo Teatro nella stagione ’18/’19 con uno spettacolo comico ed energico: La Scortecata. La rappresentazione è una rivisitazione e libera interpretazione di una favola di Giambattista Basile, una novella parte della raccolta Lo Cunto de li Cunti overo Lo trattenemiento de’peccerille, in dialetto napoletano. La raccolta fu pubblicata tra il 1634 e il 1636 a Napoli ed è strutturata sul modello boccaccesco. Basile immagina 10 popolane riunite intorno al principe Taddeo e a una schiava (divenuta sua moglie) che raccontano fiabe. Le fanciulle narrano 10 fiabe al giorno, per un totale di 50 novelle complessive in 5 giornate. La raccolta è destinata a un pubblico adulto, a causa della trattazione di tematiche complesse. Tuttavia è rilevante l’influsso fiabesco, mescolato a tematiche popolari.

La Scortecata, “lo trattenimiento decemo de la iornata primma” esemplifica magnificamente la commistione appena accennata. Basile, infatti, unisce il senso del fantastico e la quotidianità popolare. Per prima cosa, rilevante è notare la contrapposizione tra i protagonisti. Da una parte si trova una vecchia popolana, in compagnia della sorella; dall’altra un re che cerca moglie. I due mondi, quello del basso popolo e della regalità, entrano in contatto a causa di un malinteso. Il re, infatti, si innamora del dito mignolo della vecchia signora e desidera incontrarla (credendo essere una bella fanciulla). Tuttavia, scoprendo l’eta avanzata e credendosi ingannato, scaraventa la vecchia dalla finestra. Questa però si salva e grazie all’intervento di una fata, viene trasformata in una bella e giovane fanciulla, resa, infine, sposa del re. La novella, nonostante il lieto fine, contiene dettagli macabri, assolutamente lontani dal tradizionale clima favolistico. Rappresenta una profonda riflessione sulla vanità della bellezza.

Basile scrive in dialetto napoletano, una lingua popolare ricca di espressioni rozze e gergali, introducendo però anche artifici retorici della scrittura. Benedetto Croce, per l’appunto, in un saggio dedicato alla raccolta, scrive che Lo Cunto de li Cunti è:

il più bel libro italiano barocco, quale non è certo il verboso e gonfio Adone [cosparso di] tutti i più forti olezzi della letteratura secentesca.

Emma Dante interpreta la novella in una messa in scena particolare. Lo spazio scenico è vuoto: al centro del palco solo un piccolo castello e due sedie di legno. Il castello sembra un giocattolo per bambini ed è una chiara evocazione del tono favolistico della novella e dell’ambiente regale. Assume quindi la funzione di simbolo, creando una sorta di link intertestuale con la novella di Basile, senza tuttavia predominare nella rappresentazione. Appare immediatamente chiaro dalla messa in scena come lo spettacolo voglia prendere le distanze dal mondo incantato e fiabesco, spostando l’attenzione verso la concretezza di un ambiente popolare. I dettagli favolistici, perciò, entrano nello spettacolo come ombre, echi di una realtà altra rispetto a quella dei protagonisti. Lo spostamento di focus permette a Emma Dante di accentuare tematiche che nella novella sono solo tratteggiate.

Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola sono gli unici attori della rappresentazione. Interpretano ruoli femminili: sono le due vecchie sorelle della novella di Basile, che vivono in una povera catapecchia. Lo spettacolo mette in luce il rapporto di amore-odio delle due donne. Nonostante gli screzi e i litigi infatti, le due non possono vivere l’una senza l’altra. Nella solitudine della vecchiaia, per passare il tempo, mettono in scena la favola, La Scortecata, appunto. La dimensione metateatrale è perciò, preponderante. In un’alternarsi di voci e costumi essenziali i due attori danno vita, di volta in volta, ai diversi personaggi. Per fare questo utilizzano oggetti essenziali: un’asta di legno rappresenta la porta, le sedie evocano la catapecchia, un cappello permette di distinguere il re dalle donne. L’essenzialità della scena permette allo spettatore di immergersi in un mondo grezzo e realistico. Tuttavia offre la possibilità di svolgere ampi “voli pindarici” con la fantasia.

La recitazione è marcata e ispirata alla commedia dell’arte. In particolare la fisicità dell’attore protagonista sembra, a tratti, evocare la maschera di un Pantalone o di un vecchio zanni. Il corpo, quindi, comunica emozioni almeno quanto le parole. Lo spettacolo è in dialetto napoletano; per questo l’altissima energia dei corpi aiuta lo spettatore nella comprensione del messaggio. Come accennato in precedenza, Emma Dante effettua un abbassamento e marginalizzazione del tono favolistico. Così, i personaggi in scena succhiano incessantemente il dito mignolo in una pratica ridicola; la giovane fanciulla trasformata nel finale non è che la vecchia travestita con abiti semplici e comici.

Lo spettacolo è un’intensa riflessione sulla vanità della bellezza. La favola recitata è per le donne una continua ricerca della bellezza svanita, un tentativo di sviare la realtà della vita e rifugiarsi nei sogni. Tuttavia il finale, tragico, sconvolge le aspettative umoristiche dell’universo precedente. La favola non può, infatti, realmente mutare il vecchio corpo delle donne e la magica fanciullezza svanisce con la caduta dell’illusione teatrale. La scortecata è un grido di aiuto. Mette in scena il fallimento dell’immaginazione e la crisi della coscienza umana. L’amarezza della vita colpisce come uno schiaffo lo spettatore, che rimane incredulo e incantato. Lo spettacolo rappresenta in chiaroscuro l’inevitabilità dello scorrere del tempo e si apre a diversi strati di lettura. Onore o onere dello spettatore è concedersi un’emozione, scavare nel profondo, guardare nell’ombra.

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