Rivoluzione nella bioingegneria: organi prodotti tramite stampa 3D

La donazione degli organi è un tema sempre scottante. Le liste d’attesa per ricevere un trapianto sono infinite e molte persone muoiono prima di riuscire a vederne la fine. Svariate nazioni, come ad esempio l’Austria, l’Argentina e l’Inghilterra, per risolvere il problema hanno adottato il cosiddetto sistema opt-out. Questa politica prevede che tutte le persone siano donatori a meno che non si dichiari espressamente di non volerlo diventare. Questa norma ha avuto i risultati sperati, basti pensare che il 99.98% degli austriaci è donatore. In Germania invece, dove è  in vigore il sistema opt-in,  che richiede la disponibilità del cittadino alla donazione, soltanto il 12% della popolazione ha dato il proprio consenso.

Nonostante i progressi fatti con l’adozione del sistema opt-out, trovare un organo compatibile disponibile il prima possibile è sempre una questione problematica. A questo proposito, recentemente l’intera comunità scientifica è stata spiazzata da una nuova, rivoluzionaria tecnica ideata da bioingegneri dell’Università di Washington e dell’Università  Rice. Il gruppo di ricercatori infatti è riuscito a creare dei modelli di tessuto funzionale utilizzando la stampa 3D, servendosi di materiali adatti al nostro corpo.

La tecnica prende il nome di stereolitografia a proiezione e questa è la prima volta che si tenta di utilizzarla nell’ambito della biologia, nonostante già negli anni Ottanta fosse una tecnologia conosciuta e diffusa.  Durante il processo, degli strati di resina liquida vengono bombardati da luce blu, che permette la solidificazione in idrogel. Questi ultimi sono composti da sequenze di molecole polimeriche, ossia molecole costituite da molti gruppi molecolari incatenati tra loro tramite un legame covalente.

Successivamente, le molecole polimeriche formano una struttura sulla quale vengono impiantate delle cellule vive. Il passo avanti fatto da questi bioingegneri è che sono riusciti a mantenere in vita queste cellule, permettendo quindi ai modelli di tessuto creati di svolgere alcune funzioni. In questo modo è possibile simulare l’azione che viene compiuta dai diversi organi, come in questo caso da un alveolo polmonare. I ricercatori infatti sono riusciti a ricreare la rete vascolare pneumonica, permettendo lo scambio di ossigeno fra canali separati per l’aria e per le cellule del sangue.

Il successo dell’esperimento, però, non era affatto scontato. Molti rischi sono stati evitati proprio con l’adozione di questa tecnica, che, essendo più veloce di una stampante 3D normale, permette di evitare la morte delle cellule. Ciò è possibile perché, subito dopo la stampa della struttura di cui si è parlato sopra, questa inizia a inviare ossigeno e nutrienti alle cellule, mantenendole in vita. Quindi l’unico mezzo possibile per creare il sistema vascolare delicatissimo e intricato degli organi è proprio la stereolitografia.

Un altro ostacolo da superare è stato trovare un modo per evitare l’utilizzo di prodotti chimici fotoreattivi, necessari per la stampa 3D con stereolitografia. L’obiettivo era difficile da raggiungere perché fino ad allora si erano usate soltanto queste sostanze cancerogene in quanto si era certi della riuscita del loro impiego. Inoltre, non si poteva fare a meno di questi reagenti perché permettono la solidificazione mirata di alcune zone della resina liquida. Così facendo, le zone rimaste molli potevano essere rimosse semplicemente lavandole via. Affinché l’esperimento avesse esito positivo, era necessario un fotoreagente sicuro ma soprattutto solubile in acqua.

L’intuizione geniale del gruppo di ricercatori, capitanati dal professore di bioingegneria Jordan Miller, è stata quella di utilizzare un colorante alimentare. Questo infatti, oltre a lavorare bene con la luce (assorbendo le lunghezze d’onda necessarie), è anche biocompatibile. I bioingegneri hanno utilizzato la tartrazina (E102), un additivo colorante giallo di uso comune, facilmente reperibile al supermercato. Durante l’esperimento è stato proprio usato un kit di coloranti comprato in un negozio comune, tanta era la fretta dei ricercatori di scoprire se la loro idea fosse concretizzabile o meno.

L’illuminazione degli scienziati non poteva rivelarsi più corretta. Addirittura la tartrazina, oltre ai requisiti necessari come la biocompatibilità e la sicurezza, si rimuove molto facilmente dalla struttura rimanente. L’unico problema che potrebbe causare sarebbe il peggioramento dell’iperattività dei bambini solamente nel caso in cui essi vi fossero già predisposti. La sostanza per il resto non sembra danneggiare la salute dei pazienti.

Oltre alla creazione di un alveolo polmonare, i bioingegneri hanno anche formato modelli di tessuto epatico iniettati di epatociti. I campioni sono stati successivamente inseriti in topi vivi che presentavano lesioni epatiche e in topi sani. Questo test, come l’altro, ha avuto esito positivo. Sono state anche prodotte delle valvole intravascolari che si sono rivelate funzionanti. Hanno infatti conservato la loro struttura, permettendo così ai vari liquidi di fluire liberamente.

Ovviamente per gli scienziati non è finita qui, e c’è bisogno di molti altri test ed esperimenti per capire davvero fin dove può spingersi questa tecnica. Per questo motivo, il gruppo di bioingegneri di questo studio ha  dato il via libera ad altri ricercatori per l’utilizzo di questa tecnologia. Addirittura, è stata creata  da Miller e colleghi una start-up che vende i materiali necessari per la realizzazione della stampa.

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