Combattere la disinformazione sui migranti. Intervista a Martina Cera

Chi è Martina Cera?

Martina Cera, classe 1994, è una giovane laureanda in Cooperazione internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Martina è riuscita a formarsi direttamente sul campo. In che modo? Riuscendo a confrontarsi con la realtà delle migrazioni attraverso viaggi in Medio Oriente e in Africa e lavorando personalmente con rifugiati e richiedenti asilo. Martina è molto attiva anche online: gestisce, infatti, il blog “Un’altra rotta”, in cui racconta dei suoi viaggi e dei suoi studi. E’ anche molto attiva sulla sua pagina Instagram, con la quale aggiorna quotidianamente i suoi follower riguardo le ultime notizie sulla situazione migratoria attuale e sul terrorismo, in modo da lottare contro la disinformazione e le fake news riguardo l’argomento.

La Casa dei Diritti del Comune di Milano, Domenica 24 marzo alle 18, ha ospitato Martina per un evento a tema migrazioni, organizzato da edizioni TLON, in collaborazione con il giornale culturale Lo Sbuffo. Martina ha raccontato molto riguardo il tema migrazioni ed è riuscita ad arginare le disinformazioni riguardo l’argomento.

Quali sono i paesi di partenza e di arrivo delle rotte migratorie? E perché è così diffusa la rotta mediterranea? Che ruolo hanno le organizzazioni criminali in tutto ciò?

I paesi di partenza di solito sono Tunisia, Algeria ed Eritrea. I paesi di arrivo, invece, sono la Spagna, l’Italia e in misura minore la Grecia. Dalla Grecia i migranti percorrono i Balcani per arrivare in Germania o in Austria. Ora, però, alcuni paesi dell’est Europa hanno bloccato rotte migratorie e per questo motivo la rotta mediterranea è la più comune e frequente. Ma esistono anche le migrazioni in Africa, dove alcune organizzazioni criminali gestiscono i flussi migratori. I migranti vengono trattenuti in alcuni centri di detenzione, che sono dei veri e propri lager.

Che ruolo ha la Libia nelle rotte migratorie?

Prima della morte di Gheddafi, la rotta libica era quella più importante, perché controllava i confini esterni. La rotta Libia-Italia faceva da tramite tra i paesi di partenza dei migranti e i paesi di arrivo. Il Niger, invece, faceva da transito tra la Libia e l’Europa. Le milizie sono una vera e propria galassia. Come caso-tipo ci sono la guardia costiera di Zawiya e la milizia al-Nasr, coinvolta anche nell’inchiesta Dirty Oil sul contrabbando di petrolio. Molti migranti sono costretti a lavorare e a prostituirsi. L’Italia ha da sempre stipulato accordi con Gheddafi; per esempio, nel 2008, Silvio Berlusconi ha concluso con l’ex leader libico il trattato di Bengasi. Questo trattato si inquadra nell’ottica della “relazione speciale” tra Gheddafi e Berlusconi. Il Governo Gentiloni di concerto con l’UE ha addestrato la sedicente Guardia costiera libica: c’è stato un corso per 89 ufficiali della GCL gestito da Operazione Sophia (europea) tra il 2016 e il 2017. Il coinvolgimento delle milizie è avvenuto tramite la mediazione del Governo di accordo nazionale. Di recente il flusso migratorio più comune è quello che va verso il Marocco, per poi approdare in Spagna.

Che ruolo hanno le ONG in tutto ciò?

Le ONG sono organizzazioni non governative, impegnate in vari tipi di attività, come appunto aiuti umanitari e assistenza medica ai migranti in mare. In questi ultimi tempi è molto frequente la fake news che le ONG siano colluse con i trafficanti di essere umani. Questo discorso è partito dal report del think thank di estrema destra Gefira sui presunti rapporti tra trafficanti e ONG, report che è stato alla base della campagna di odio che dal 2016 ha portato ad un cambiamento nella percezione del lavoro degli umanitari. Le indagini contro le ONG, ad oggi, non hanno condotto a nessun riscontro sulla collusione. I morti in mare sono aumentati, proprio perché, con il blocco delle navi delle ONG, non c’è più chi salva le persone sulla rotta mediterranea, che per questo motivo è stata definita “la rotta migratoria più letale al mondo”. Marco Minitti ha chiesto di firmare un codice di condotta alle ONG. Ora non solo Medici senza frontiere si occupa di assistenza medica e soccorso sanitario: nel frattempo Mediterranea, Sea Watch e Open Arms hanno costituito la flotta umanitaria “United4Med“; la Mare Jonio di Mediterranea è salpata proprio pochi giorni fa.

Chi sono i migranti economici e come arrivano?

Non esistono solo persone che scappano dal proprio paese per la guerra o per le persecuzioni politiche. Esistono anche migranti economici, che arrivano da paesi come il Bangladesh per problemi economici e, talvolta, arrivano nei paesi europei con l’aereo.

Il sistema di integrazione e la gestione dei flussi migratori come si sono evoluti nel corso degli anni?

I migranti, inizialmente, al loro arrivo in un paese entrano in centri di accoglienza, in particolare gli hotspot per quanto riguarda l’Italia, in modo da essere registrati, identificati e fotosegnalati. Dopodiché si deciderà se rimpatriarli oppure se farli accogliere effettivamente in altri paesi (di solito Italia o Grecia), se hanno ovviamente diritto d’asilo. Secondo il Trattato di Dublino è il Paese in cui fanno domanda quello in cui si svolgono le procedure di accoglienza, quindi, se arrivano in un hotspot greco, saranno accolti in Grecia e così via. In realtà, dovrebbero essere rimpatriati tutti quelli che non fanno domanda per il diritto d’asilo, ma la fanno quasi tutti, chi non la fa, invece, viene condotto in un Centro per il rimpatrio (CPR). Frontex, ad esempio, è una delle tante agenzie europee che gestisce i flussi migratori. Prima del decreto sicurezza, i migranti che facevano domanda venivano trasferiti (in teoria entro 48 ore prorogabili a 72) dall’hotspot ai centri di prima accoglienza, dove venivano trattenuti il tempo necessario per individuare una soluzione nella seconda accoglienza, entrando a far parte del programma SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ora, invece, siccome il decreto è ai primi mesi di applicazione, la situazione è più confusa: i richiedenti dovrebbero andare nei CAS (centri di accoglienza straordinaria) o nella prima accoglienza, mentre nello SPRAR, ribattezzato sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati, andrebbe solo chi effettivamente gode di una forma di protezione. Tutti i progetti del sistema SPRAR si basano sull’accoglienza integrata, che implica la costituzione di una rete con enti del terzo settore, volontariato etc. per curare un’integrazione a 360 gradi nella comunità locale, da realizzarsi attraverso attività di inclusione sociale, scolastica, lavorativa, culturale. I CAS, invece, sono centri recenti, nati per rispondere agli arrivi di massa dei migranti.

Quali sono le fonti più sicure e fidate riguardo i flussi migratori e tutto ciò che ne concerne?

Per le migrazioni: Open Migration, ISPI (Matteo Villa è il ricercatore sul Migration programme), gli articoli di Annalisa Camilli che copre le migrazioni per Internazionale. Per la Libia: sempre ISPI (Arturo Varvelli è sul Middle East and North Africa Centre) e LiveUAMap, che è un’app interattiva sulle mappe, utile se si vuole vedere quello che succede sul campo. Per la narrativa: la casa editrice 66thand2nd e in particolare le collane Bazar e B-Polar.

CREDITS:

Copertina by Lo Sbuffo

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