Danuta Danielsson: la donna con la borsetta simbolo della lotta contro le ingiustizie

È sempre difficile reagire davanti alle ingiustizie, specialmente se non si è coinvolti in prima persona. Accade soprattutto oggi di non riuscire a sentirsi parte di un disagio che in realtà è quasi sempre comune, di non schierarsi in maniera netta, in una società in cui l’individualismo è sovrano e tutto passa attraverso gli schermi dei nostri smartphone o dei nostri PC, difficilmente ci si sente veramente coinvolti in una battaglia in cui i bersagli diretti non siamo noi.

Eppure, qualcosa si muove. In Svezia, per esempio, ha vinto la solidarietà a colpi di borsette. Non sono slogan di qualche stilista o appartenenti a qualche sfilata, bensì appese alle statue erette nei luoghi pubblici di tutto il paese in segno di protesta. I turisti si sono chiesti come mai i monumenti svedesi avessero delle graziose borsette in spalla, o in mano, pochette e tracolle che hanno lasciato basiti per anni i non autoctoni.

La prima borsa della ribellione e la sua storia

 

Tutto inizia il 13 aprile del 1985, quando per le strade di Växjö sfilano i simpatizzanti del Partito del Reich Nordico, un’organizzazione svedese dichiaratamente neonazista. La signora Danuta Danielsson, di trentotto anni, una donna minuta e mentalmente fragile, osserva la sfilata, con il resto della folla, senza destare nessun tipo di sentimento.

Danuta Danielsson (Female Power Project, Woke Graphics) Leda Black

Danuta vive solo da un paio d’anni in Svezia, vi si è trasferita con il marito: i due si sono conosciuti durante un concerto jazz in Polonia e si sono sposati pochi mesi dopo il primo incontro. Non è molto conosciuta, in quanto donna particolarmente riservata. Difatti, un particolare della sua vita che la folla che la circondava quel giorno non sapeva, è che Danuta è figlia di una deportata ad Auschwitz.

Sua madre, una dei pochi sopravvissuti al più grande campo di sterminio nazista, le aveva raccontato gli orrori che aveva vissuto durante la permanenza al campo, i forni crematori, i morti, le torture giornaliere che aveva subito o alle quali aveva dovuto assistere. Danuta è scappata dalla Polonia anche per questo, anche per evitare la mentalità antisemita e le sue ingiustizie. Così, quando vede quei giovani svedesi sfilare scandendo slogan nazisti, colta da un impeto d’ira, Danuta assesta una borsettata a uno dei manifestanti, Seppo Seluska, il quale verrà condannato qualche anno dopo per aver torturato e ucciso un ebreo omosessuale.

Lo stupore della folla davanti al gesto della donna dura ben poco, il suo atto è di esempio al resto degli osservatori, alcuni prendono coraggio e in poco tempo il piccolo manipolo di neonazisti deve battere in ritirata, inondato di uova e d’insulti. Il suo gesto di indignazione diventa parte della storia svedese grazie al fotografo Hans Runesson, che immortala la scena in un’iconica immagine destinata a fare il giro del mondo, a diventare simbolo della lotta contro il regime, contro le ingiustizie, vincendo diversi premi nazionali e internazionali e portando alla ribalta delle cronache di mezzo mondo la storia di Danuta.

La donna, però, pare non reggere alle pressioni giornalistiche e la sua depressione aumenta, fino a farla morire suicida nel 1988. Tuttavia, il suo gesto di coraggio, rimane nella storia, proprio come un momento di forza e tenacia. Anche le persone più fragili possono e devono reagire davanti alle ingiustizie, perché non saranno mai sole, ci sarà sempre una parte della folla pronta a combattere con loro.

La scultura tributo

Nel 2014 l’artista Susanna Arwin si è ispirata alla famosa fotografia per realizzare la scultura di dimensioni reali che raffigura la coraggiosa signora Danielsson mentre brandisce la borsa come un’arma contro i neonazisti. Ecco, quindi, l’origine dell’inusuale protesta: la scultrice aveva proposto all’amministrazione della città di Växjö di erigere un monumento in ricordo del gesto di ribellione di Danuta, ma questa è stata rifiutata dal partito in carica, il Centerpartiet, per paura che potesse essere un incitamento alla violenza più che al coraggio.

Civilian Courage, Susanna Arwin

La risposta degli svedesi non ha tardato a comparire, sotto forma di centinaia di borsette colorate che hanno invaso le città, appese ai tanti monumenti pubblici.

La protesta è andata avanti per anni, per ogni borsa rimossa da una statua, ne compariva un’altra su un altro monumento. Oggi, cinque anni più tardi, il Comune di Växjö ha finalmente deciso di erigere la statua creata da Arwin, proprio nello stesso luogo in cui si sono verificati gli eventi nel 1985, per ricordare a tutti come un piccolo gesto possa influenzare una folla, come una piccola donna e la sua borsetta possano diventare un esempio di coraggio.

 


 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.