“The Man In the High Castle”: un mondo senza diritti

The Man in the High Castle (“L’uomo nell’alto castello”), una serie televisiva prodotta da Amazon Studios e tratta dall’omonimo romanzo distopico di Philip Dick. Ambientata in un 1962 alternativo in cui gli Alleati hanno perso la Seconda Guerra Mondiale, la sua trama verte sulle sorti degli ex-Stati Uniti d’America, ora spartiti tra le due superpotenze vincitrici: la Costa Orientale è dominata dal Grande Reich Nazista di Hitler, mentre la Costa Occidentale è stata ribattezzata Stati Giapponesi del Pacifico. I due territori sono divisi dalle Montagne Rocciose, una zona neutrale abitata da tutti i fuggitivi della nuova cultura.
La società è chiaramente cambiata in ogni suo aspetto, seguendo i dogmi delle nazioni dominanti; città come San Francisco sono caratterizzate da negozi, commercio e moneta tipicamente orientali, mentre centri abitati quali New York sono sormontati da titanici e sfarzosi edifici nazisti. Le due culture vivono tuttavia una pace precaria, che rischia di venir meno con la morte dell’anziano Hitler, aprendo la strada alle ambizioni dei suoi gerarchi più spietati. Una Guerra Fredda alternativa.

Protagonisti di questa trama contorta sono tre individui, abitanti rispettivamente da una parte e dall’altra del continente. Juliana Crain (Alexa Davalos), che entra in possesso di una misteriosa pellicola cinematografica mostrante gli Alleati che sconfiggono la Germania e il Giappone; Joe Blake (Luke Kleintank), una spia nazista che a sua volta entra in possesso di una copia della pellicola; Nobusuke Tagomi (Cary-Hiroyuki Tagawa), ministro del commercio giapponese che tenta di mediare con i nazisti per evitare una escalation militare tra le due nazioni.
Un altro personaggio notevole, sebbene non principale, è l’Obergruppenfuhrer John Smith (Rufus Sewell), un americano cresciuto sotto il dominio nazista e militare in carriera nelle SA.
Quest’ultimo di primo acchito appare come un antagonista a tutto tondo, ma proseguendo nella trama traspare una identità complessa ed elaborata, che paradossalmente finisce per diventare una delle preferite dello spettatore. Nonostante la divisa nera, Smith difficilmente sembra identificarsi col nazismo originale: è un patriota, è un padre di famiglia, prende i suoi doveri con serietà, ma non lo si sente mai parlare di “razza superiore”, sebbene le leggi del Grande Reich seguano i dogmi istituiti nel 1935. La sua profonda moralità lo spinge a prendere decisioni rischiose per il bene del suo paese natìo.
I due protagonisti al contrario sembrano quasi figure marginali, in quanto non così ben caratterizzati. Tuttavia Joe Blake, essendo una spia, non pare mai trovare una fazione di appartenenza. Senza produrre spoiler, basti sapere che non è assolutamente chiaro quale sia il suo ruolo effettivo in tutta la vicenda.

Nonostante i numeri molto incoraggianti, la critica non è stata particolarmente delicata con questa serie; l’accoglienza iniziale è stata particolarmente scettica soprattutto dal momento che “The Man In The High Castle” è un riadattamento del libro “La svastica sul sole“, e non lo segue pedissequamente. I protagonisti mostrati nella versione cinematografica sono forse troppo hollywoodiani per essere presi sul serio, oltre ad essere danneggiati da una interpretazione talvolta tutt’altro che eccelsa. Il concetto stesso del “film ritrovato” cade presto in secondo piano, lasciando spazio a interrogativi ancora più inquietanti e, dalla seconda stagione in su, ai personaggi descritti nel libro. L’ultima critica, arrivata soprattutto dal pubblico americano, è rivolta alla totale e assoluta presenza di iconografia nazista-imperiale in quasi ogni fotogramma; basti pensare che la Statua della Libertà col braccio destro alzato al saluto presente sui poster pubblicitari ha offeso molte persone.

Tuttavia, come abbiamo già affermato, i numeri di questa innovativa serie TV sono fortemente positivi. Dopo una leggera discesa a seguito della prima stagione, i produttori sono ripartiti in quarta, presentando un prodotto di alta qualità e degno di un binge-watching come pochi altri. Specialmente dal momento che, nonostante l’occupazione dei due imperi, l’America degli anni ’60 immaginata nella serie non è poi tanto diversa da quella che abbiamo visto noi: un continente di pregiudizi, discriminazione razziale e una allarmante assenza di diritti umani.

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