Crescere dopo un trauma è possibile

Il concetto di crescita post-traumatica è recente, ben più di quello noto di resilienza. Nel 1980 fu introdotta la categoria diagnostica del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e il trauma divenne uno dei temi di studio più approfonditi dalla psicologia clinica. Oggi sappiamo quindi che episodi traumatici possono sfociare in gravi disagi psichici; ma sappiamo anche che questo non è automatico e, a fronte di esperienze drammatiche, le persone, sperimentato un periodo di fisiologico malessere, possono tornare ai livelli di salute psico-fisica antecedente (se sono resilienti) o possono addirittura crescere cambiando profondamente in meglio.

Negli anni ’60 iniziarono una serie di studi longitudinali su bambini a rischio per le più svariate ragioni bio-psico-sociali, che mostrarono come molti di questi bambini erano in grado di maturare in modo sano – nonostante non poche avversità – e per loro si iniziò ad utilizzare il termine resilienza, ad indicare proprio la capacità di adempiere bene ai compiti di sviluppo del ciclo di vita nonostante l’esposizione ad avversità e significativi fattori di rischio. A partire da questi studi, dunque, il termine resilienza è stato utilizzato anche per gli adulti, in riferimento alla capacità di recuperare una condizione psicologica positiva a seguito dell’esposizione a eventi stressanti se non addirittura traumatici.

In alcuni casi fronteggiare gli eventi stressanti non porta semplicemente al recupero della condizione di benessere antecedente (resilienza), ma ad una trasformazione positiva dell’individuo che supera le avversità sviluppando una nuova e più significativa visione della vita, il desiderio e la coltivazione di relazioni migliori, l’accettazione dei propri limiti, la capacità di apprezzare ogni giorno vissuto, stabilendo nuove priorità: sono questi i tratti principali della crescita post-traumatica.

Le premesse affinché vi sia tale crescita non vanno cercate in tratti statici dell’individuo, ma in un processo dinamico nel quale tanto i fattori protettivi quanto quelli di rischio hanno la loro importanza: le caratteristiche psicologiche individuali, le qualità e vulnerabilità dell’ambiente familiare, e l’insieme delle risorse o pericoli del più ampio contesto sociale nel quale la persona è immersa. La capacità di fronteggiare un evento molto stressante sembrano essere frutto di: quanto i fattori individuali, familiari, sociali, sono in grado di proteggere o esporre l’individuo a situazioni di rischio; dell’intensità e quantità degli stressor percepiti, in relazione ai fattori protettivi attivabili. Questa componente è estremamente soggettiva perché a determinare se qualcosa sia stressante o meno (e quanto lo sia) spesso non è la situazione in sé ma come questa viene interpretata dalla persona.

La psicologia del benessere ha cercato così di focalizzasi sui non rari casi nei quali agli eventi traumatici segue appunto una crescita che sfocia nel benessere psicologico, per capire quali siano le skills che la persona può coltivare, se adeguatamente supportata nel suo ambiente, affinché non crolli di fronte alle sfide poste dalla vita, ma anzi faccia di queste sfide delle occasioni di crescita. La crescita post-traumatica rientra tra le caratteristiche del benessere eudaimonico: si parla di benessere eudaimonico, integrando il concetto di benessere edonico (legato ai sensi), con riferimento a un’idea di felicità che non può prescindere dall’avere dei solidi valori, e dalla coltivazione di una vita significativa in cui si sfruttano le proprie capacità, trasformandole in talenti messi al servizio di uno scopo che trascende il singolo individuo. Il riferimento è al concetto di daimon di cui parlava già Aristotele, intendendo con esso quella sorta di demone che ci spinge a essere in un modo che rispecchi la nostra peculiare individualità: ne segue che il benessere eudaimonico non coincide necessariamente con frequenti stati affettivi positivi, nella misura in cui la persona può sentirsi soddisfatta di sé anche in periodi bui, come quelli che seguono un episodio traumatico, se è coerente con i propri valori e allineata al proprio daimon, oppure se proprio l’episodio in quanto tale la avvicina ad essi.

Lo stress post-traumatico è, in questa prospettiva, ciò che può innescare il cambiamento; modelli teorici diversi attribuiscono allo stress indotto da trauma funzioni abbastanza simili: secondo Janoff-Bulman il trauma ha come conseguenza livelli di stress tali da distruggere le convinzioni di sicurezza che ciascuno di noi coltiva nel profondo, costringendoci a una profonda ristrutturazione cognitiva; Tedeschi e Calhoun ritengono che la ristrutturazione cognitiva sia conseguenza degli abnormi processi di ruminazione cui l’individuo è esposto per elaborare il trauma (ma qualitativamente diversi da quelli tipici della ruminazione depressiva); Linley e Joseph considerano la ristrutturazione cognitiva come frutto di un processo di accomodamento seguente al trauma, nel quale vengono ripensati i propri valori.

Il cuore della ristrutturazione cognitiva è la nuova narrazione che costruiamo della nostra vita a seguito degli episodi traumatici: attraverso lo storytelling ridefiniamo le nostre credenze e i nostri scopi di vita, attivando la crescita, oppure no. In questo processo di riscrittura della nostra vita gli elementi facilitanti sono: valutare le risorse che si hanno e che si possono acquisire, coltivare la speranza, dare significati nuovi a vecchi episodi della propria vita, notare e celebrare i piccoli passi verso il cambiamento, coltivandoli nel tempo, cercare il supporto sociale.

Sembra inoltre che la crescita post-traumatica sia più facile per le persone che credono in qualche religione e per quelle appartenenti alle minoranze etniche – almeno rispetto alla popolazione nordamericana. Le ricerche sembrano evidenziare, inoltre, che la crescita post-traumatica sia possibile a patto di sperimentare eventi traumatici d’intensità intermedia: in altre parole né eventi poco traumatici né troppo gravi hanno molte possibilità di stimolarla.


FONTI
Calhoun, L.G., Tedeschi, R.G. (a cura di), (2006). Handbook of Posttraumatic Growth,
New York (NY), Psychology Press.

Janoff-Bulman, R. (1992). Shattered Assumptions: Towards a New Psychology of
Trauma, New York (NY), Free Press – Simon & Schuster.

Joseph, S. (2011). What doesn’t Kill Us – The New Psychology of Posttraumatic
Growth, New York (NY), Basic Books.


 

 

 

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