La nostra “Povera Patria”

Italia, anno 1991. Un anno prima della serie di inchieste giudiziarie denominate “Mani Pulite”, un anno prima della morte di Falcone e Borsellino, un anno prima dell’ingresso della Lega Nord in Parlamento, un anno prima di quello che viene visto come l’anno del cambiamento. Questi eventi determineranno quella che poi verrà indicata come Seconda Repubblica.

In quegli anni anche i grandi cantautori hanno voluto esprimere il proprio parere sulla situazione e su come i governanti la stessero gestendo. Nel 1978 ci aveva pensato Rino Gaetano con la famosa Nuntereggae più e ci aveva pensato anche Franco Battiato nel 1991 con Povera Patria.

Nonostante da Povera Patria siano passati ventotto anni, nonostante il pezzo denunciasse in modo critico il non saper governare dei politici di allora, sia di destra che sinistra, il brano risulta ancora oggi attuale. Rispecchia al meglio quello che sta succedendo in Italia ora. Reddito di cittadinanza, emigrazione, no tax, argomenti che irrompono tutti i giorni nelle nostre case.

Già allora, come molte canzoni che affrontano temi politici, il significato del pezzo di Battiato non era stato colto da tutti allo stesso modo. Alcuni avevano travisato il messaggio che il cantautore catanese voleva trasmettere.

Lo stesso Battiato aveva affermato in un’intervista: «Se ho scritto Povera Patria è perché sono coinvolto. Ogni sera guardare il telegiornale è una sofferenza, a meno che non si resti indifferenti a questo passare». Di certo questo non è nulla di nuovo, dato che le stesse emozioni le proviamo anche noi ogni giorno.

Analizzando il brano si evince che ogni parola, ogni frase, ogni verbo ha un significato profondo. Oltre a mettere nero su bianco la situazione politica di quegli anni, la parola che ha fatto riflettere tutti è stata Patria. Per la prima volta dal ventennio fascista si risentiva parlare di Patria.

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos’è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.

Siamo nel 1991, eppure se facessimo leggere queste parole a un ragazzino o a una persona che non conosce il brano potrebbe pensare che sia stata scritta oggi. Battiato esprime il suo pensiero verso quel Paese che vede cambiato. Come per ogni governo, ovviamente, non tutti apprezzano quello che viene stabilito. Sembra quasi di essere tornati agli anni del fascismo o alle rivoluzioni del ’68. Un paese nettamente diviso tra esponenti di destra ed esponenti di sinistra. Ovviamente questa non è una novità, questa distinzione è sempre esistita. Però dieci anni fa chi l’avrebbe detto che una buona fetta del Sud Italia avrebbe aderito alla Lega Nord? O che un comico potesse essere a capo di un movimento politico?

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
Questo paese è devastato dal dolore…
ma non vi danno un po’ di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?

Questa strofa non ha bisogno di spiegazioni. Il concetto di governo di Battiato vede i governanti come investiti da un senso del dovere che non viene però rispettato. Battiato ha sempre ribadito la sua estraneità al mondo politico, eppure sa cogliere bene le problematiche. Si noti come questa parte del brano si avvicini ancora di più alla situazione politica odierna: quanto è collegato il tutto alla questione emigrazione? Parecchio. Battiato afferma che nulla cambierà poiché chiunque andrà al governo godrà degli stessi privilegi del governo precedente e sarà sempre pronto ad accusare e incolpare chi lo ha preceduto.

Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po’ da vivere.

In questa ultima parte del brano, Battiato apre uno spiraglio di speranza, o forse lo vede come un obbligo, una sorta di adattamento. A ogni cambiamento, il popolo –in questo caso la Patria– deve adattarsi ai nuovi governanti, anche contro la propria volontà. Questa ideologia ricorda vagamente quella contenuta in 1984 di George Orwell, quella di un popolo che si adatta a un regime totalitario tenuto da una singola persona, o più persone in questo caso, e che non può avere pensieri propri. Sarà un caso?

Il cantautore può essere considerato un visionario? Un profeta? O semplicemente la situazione non evolve ma degenera? Battiato, come ogni cittadino, si vergogna.

La primavera intanto tarda ad arrivare.

Con questa ultima frase il cantautore spiazza tutti. Noi votiamo, diamo speranza, ma la primavera non arriva mai. Forse la colpa è nostra, forse siamo noi che non ci comportiamo da “buona Patria”. Di certo però i governanti non ce ne danno modo. Come pretendiamo di parlare di cambiamento se non sappiamo fare la rivoluzione?

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