Ma che si fotta la dieta! The F*ck It Diet, di Caroline Dooner

Ormai dovrei essere più avanti.
Non dovrei lottare con il cibo.
Non dovrei portare questa taglia.
Non dovrei mangiare così.
[…]
Non dovrei essere infelice.
[…]
Dovrei mangiare di meno.
[…]
È tutta colpa mia.
[…]
Se non sono magro, vuol dire che sto fallendo.
[…]
Non merito di prendermi cura di me stesso se sono grasso.
Non posso accettare il mio peso attuale.
Essere grassi è orribile.
[…]
Nessuno mi prenderà sul serio se ingrasso.
La maggior parte dei cibi mi fa male.
Aumentare di peso è un segno di fallimento.
Il mio peso è colpa mia.
[…]
Essere magro mi renderà felice.

Alzi la mano chi nella propria vita non si è mai detto una di queste frasi. Chi non ha mai demonizzato se stesso e soprattutto il proprio corpo, disgustato dall’amara percezione di abitare una massa ingombrante di carne e di grasso, troppo pesante e voluminosa? Chi non si è mai sentito colpevole di esistere per la sua estensione non conforme a quelli che non soltanto sono i canoni estetici dominanti, ma veri e propri valori di vita, categorie salutari basate non su quanto è alto il colesterolo nel sangue o il tasso glicemico, ma sulle tacche di una bilancia?

Ogni volta che si avanza la rivendicazione che i corpi grassi meritino di essere rappresentati esattamente come quelli magri, parte subitanea l’obiezione salutista, trita e ritrita: «Eh, ma così si incentiva l’ideale dell’obesità (?), si spinge la gente a adottare stili di vita nocivi per la salute, esattamente come le modelle magre diffondono l’ideale dell’anoressia». Tale obiezione, però, manca clamorosamente il punto nevralgico del problema che i movimenti bodypositive vogliono risolvere: il fatto, cioè, che le persone abbiano diritto di esistere, di essere considerate con rispetto e dignità a prescindere dal loro peso. E che, in definitiva, la porzione di spazio che un individuo occupa non è affare di nessun altro fuorché il diretto interessato.

the f*ck it dietA queste e altre «credenze limitanti» cerca di dare una risposta The F*ck It Diet, di Caroline Dooner, pubblicato da Sonzogno ad aprile 2019. Un manuale per liberarsi dalla cosiddetta diet-culture, che può essere efficacemente riassunto in due semplici e laconiche parole: fanculo tutto. E quest’azione, così liberatoria e anche – se si vuole – aggressiva, non nasce da un impulso acritico, ma poggia su solide basi, in primo luogo scientifiche. Dooner infatti costruisce il suo discorso e il suo metodo (è da ricordare il fatto che la scrittrice ha fondato una vera scuola online chiamata proprio The Fuck It Diet) servendosi dell’ausilio di ricerche scientifiche, di medici e nutrizionisti che hanno scoperto una sconcertante e troppo poco conosciuta verità: essere grassi non significa necessariamente essere in ”cattiva salute”. Le due cose possono essere correlate, nel senso che una persona con un corpo grasso può avere dei problemi di salute esattamente come una persona con un corpo magro, ma non c’è un nesso causale tra il peso e la salute.

In altre parole, per dirla alla Dooner, potete smetterla di stracciare i gameti al prossimo con le tirate sul fatto che magrezza : salute = grasso : morte-certa. Ciò che invece è sicuro, è che lo stress dovuto alla necessità di essere magri per essere ritenuti minimamente degni di rispetto in una società altamente ossessionata dal corpo e dalla performance come la nostra può peggiorare sensibilmente lo stato di salute di una persona, convincendola di essere perennemente inadeguata e cooptandola nella spirale morbosa delle diete. Diete che, teoricamente, dovrebbero migliorare la salute, e invece la peggiorano, perché costringono il corpo in uno stato di carestia perenne in cui la fame e il cibo diventano un’ossessione, il meccanismo metabolico si altera e si passa dall’astinenza coatta all’abbuffata intrisa di sensi di colpa.

Il corpo non è un guscio inerte staccato dalla mente che lo abita, e si nutre dei nostri pensieri, delle emozioni che proviamo e non vogliamo provare, di tutta quella massa emotiva che cerchiamo di soffocare per rientrare negli ideali preconfezionati che la società attuale ci somministra come caramelle per la gola. E, somatizzando lo stress, il corpo deperisce, si ammala – nei casi estremi, muore.

La soluzione di Dooner a tutto questo è difficilissima nella sua semplicità: per guarire dalla cultura della dieta, bisogna mangiare. Mangiare tanto, tutto quello di cui il corpo ha bisogno. La fame non è il nemico, è un dispositivo fisiologico che ci avverte del nostro bisogno di nutrirci. Ignorarla, cercare di sopprimerla, fa sprofondare ancora di più nel malessere e nella malattia. Lo scopo non deve essere quello di pesare di meno, ma quello di stare bene. E per stare bene, bisogna mangiare.

In questo senso, l’approccio di Dooner si avvicina alla corrente di pensiero ”intuitiva”: il nostro corpo sa di cosa ha bisogno, e se abbiamo voglia di scofanarci un tegame di patatine fritte o una scatola di pancake ai mirtilli, abbiamo il diritto e il dovere di farlo. Secondo Dooner, è necessario abituare il corpo all’idea che la carestia in cui lo abbiamo costretto durante la dieta è finita. Perché questo sono le abbuffate: una reazione fisiologica alla carestia, in cui il nostro corpo vuole immagazzinare più nutrienti possibili in previsione di astinenze future. L’unico modo per convincere il corpo che la privazione è finita, è quello di assecondare le abbuffate. Mangiare tanto, concedersi ogni cosa in precedenza proibita, fino al momento in cui il cibo non sarà più qualcosa di proibito e pericoloso, ma… semplicemente cibo.

Se si neutralizza il cibo, se cioè si arriva a concepire il cibo come qualcosa di neutro, allora la fame non sarà più un’ossessione, e il desiderio di abbuffarsi si annullerà. Dooner ribadisce più volte che il nostro corpo sa di cosa ha bisogno, ed è quindi nostro compito ascoltarlo, e dargli ciò che chiede. Il paradosso è che solo mangiando si può guarire dall’ossessione del cibo. Ma, allo stesso tempo, il lavoro sul corpo e sulla fame non è sufficiente. Poiché il corpo, come si accennava prima, non è un qualcosa di scisso dalla mente, bisogna lavorare anche sulla parte emotiva e su quella più ”cerebrale”, cioè il dominio dei pensieri condizionati dalle credenze che la società in cui viviamo ci impone come verità assolute.

A queste due sfere sono dedicati gli ultimi capitoli di questo manuale, forse i più interessanti perché si staccano dal discorso più strettamente ”nutrizionale”, per affrontare problematiche che possono coinvolgere anche chi non è ossessionato dal proprio peso. Secondo Dooner, fa tutto parte del processo di guarigione, perché la Fuck It Diet in realtà è un vero e proprio stile di vita, che parte dal presupposto che non esista un modello di vita valido per tutti e che per tutti vada bene. L’approccio intuitivo infatti insegna che ogni persona è un mondo a sé stante con bisogni specifici e diversi, e ciò che vale per l’uno può essere nocivo per l’altro. Tuttavia, la malattia può presentare simili sintomi, quando non le medesime cause.

Una delle cause del malessere, che prescinde dalla dieta, è la caratteristica tutta umana di escludere le proprie emozioni perché si ha paura di viverle, seppur solo vivendo l’emozione ci si può liberare del suo potere. Scindersi dal corpo significa anche rifiutarsi di provare tutti i sentimenti negativi che le sfide di ogni giorno ci provocano: il dolore, la vergogna, il senso di inadeguatezza, la perdita. E dunque, per guarire dalle ferite della diet-culture, ma anche per guarire da ogni lutto che affrontiamo nella nostra vita, dobbiamo disseppellire le emozioni negative, rivivere i ricordi che le hanno scatenate, sentirle nel corpo, respirarle per elaborarle, lasciarle andare. Il corpo è sempre centrale in questo processo, che mira a ristabilire i circuiti che lo collegano alla mente. Basta cercare di uscire dal proprio corpo, afferma Dooner, dobbiamo abitarlo fino in fondo, perché è il corpo che ci rende esseri umani.

The f*ck it diet
Caroline Dooner

Infine, ciò che reputiamo una verità assoluta, anche se magari non lo diciamo apertamente, eppure è sempre nel fondo del nostro cervello: la magrezza è felicità. Chiunque non sia magro, non è felice, anzi, è malato. Inutile. Indegno di esistere. Da questo assunto, propagato da qualunque media e pubblicità, deriva la grassofobia imperante. Essa è talmente pervasiva che spesso non ci accorgiamo neppure di quanto condizioni la nostra vita. Non ci rendiamo conto dei privilegi che abbiamo se la fortuna ci ha concesso di avere un corpo conforme ai canoni. Non ci accorgiamo di tutte le piccole spine che quotidianamente conficchiamo, in buona fede o meno, nelle persone che quei privilegi non li hanno:

Se siete grassi, sapete fin troppo bene che non state beneficiando della fortuna dei magri. Non avete il privilegio di attraversare la vita senza che gli altri si curino della vostra taglia. Avvertite il giudizio costante, le occhiate, le alzate d’occhi, la maleducazione, la freddezza, la disapprovazione. Può darsi che abbiate paura di andare dal medico, di volare, o di uscire semplicemente nel mondo per affrontare tutta quella gente che pensa di sapere qualcosa su di voi – come vivete, come mangiate – o che vi fornisce la sua opinione su di voi mascherata da preoccupazione per la vostra salute. […] Perché [la grassofobia] non è una cosa di dominio pubblico? Be’, se lo fosse, non saremmo in grado di incolpare certi individui per i loro problemi di salute o di peso. Saremmo obbligati a varare riforme sociali e, finalmente, ad ammettere quanto sia importante la qualità della vita, la gentilezza, e l’accettazione nell’equazione generale della salute.

Con uno stile semplice ma irriverente, capace di scandagliare le pieghe più vulnerabili e nascoste del comportamento umano, Dooner realizza un manuale che amalgama scienza e cultura, femminismo e (auto)biografismo, mirante non soltanto a portare il singolo individuo alla guarigione dalla tirannia delle diete, ma anche a diffondere la consapevolezza che, sì, la grassofobia esiste e condiziona tutti, consciamente o meno. Il tutto è accompagnato da una serie di esercizi pratici e semplici, che non si incentrano solo sul cibo, ma anche sul rapporto con il sé perduto, che viene rivitalizzato proprio attraverso la scrittura.

Ovviamente non basta amare se stessi e accettarsi come si è per avere un’esperienza decente del mondo, perché la paura del grasso è, a oggi, ancora troppo pervasiva; amare se stessi non impedirà alle altre persone di trattarci di merda perché non abbiamo un corpo conforme agli standard. Però, per cambiare le cose, anche nel proprio piccolo, da qualcosa si deve pur cominciare. Per tale motivo, questo libro è proprio per tutti: per chi è ossessionato dalle diete e per chi sente di non averne bisogno, ma non si accorge di quanto la sua percezione degli altri sia intrisa della paura del grasso.

 


FONTI

C. Dooner, The F*ck It Diet, Sonzogno, 2019

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.