L’ospitalità provvida in “Alcesti”, teatro Kerkìs

Le luci si spengono, inizia il prologo. Apollo entra in scena con un costume maestoso, un vero Dio. Il pubblico si immerge in un arcaico clima greco, nell’atmosfera senza tempo del mito. Il teatro Kerkìs porta in scena Alcesti, l’ibrida opera di Euripide. Il Kerkìs è un’associazione teatrale nata a Milano nel 2011 per opera di docenti, studenti, ex studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’obiettivo è quello di promuovere la diffusione della cultura classica. Opera sul territorio milanese nella ricerca drammaturgica di testi greci e latini e nella loro successiva messa in scena. La tendenza è quella della lettura filologica del testo e di una messa in scena piuttosto conservativa di personaggi e struttura. L’associazione, quindi, costituisce un unicum nel suo genere: l’attenzione al testo classico non è cosa diffusa nella contemporaneità, soprattutto in un’epoca protesa verso la performance.

Alcesti, come già accennato, è un dramma ibrido. In Grecia veniva collocato nella posizione di “quarto dramma”. La tradizione spettacolare greca prevedeva la presentazione durante l’agone drammatico (la giornata dedicata agli spettacoli), di tre tragedie e un dramma satiresco (il “quarto dramma”). Tuttavia, nonostante la coincidenza, Alcesti non appartiene al genere del dramma satiresco: il Coro, infatti, non è composto da satiri, ma dai cittadini di Fere. Allo stesso tempo, l’opera non può essere considerata una tragedia poiché l’evento tragico appare in apertura, si evolve e conduce a un esito positivo nel finale. Inoltre, la presenza del personaggio di Eracle introduce un elemento satirico e grottesco, che avvolge la tragedia in un’aura comica. Degno di nota è anche Ade, la Morte, tipico della tradizione popolare o folklorica, che di certo non si addice a una tragedia.

Alcesti deve morire. Ade esige l’anima di un uomo. L’aver risparmiato Admeto non implica un atto di carità, bensì uno scambio equo: anima per anima. Nessuno è disponibile a sacrificarsi per Admeto: né il vecchio padre, né la madre. Solo Alcesti, la giovane moglie fedele, madre di due figli, è pronta a morire. Così, il dramma si apre con una tragedia. Ade giunge per portare con sé Alcesti: non valgono le suppliche del marito, né le invocazioni pietose delle ancelle. La donna muore in scena, nel momento di massima suspance. Proprio in questa scena, Ade dimostra la sua massima potenza. Il Kerkìs, a questo proposito, crea un personaggio “osservatore”. La Morte, infatti, non agisce fisicamente, ma si manifesta con la sua energia drammatica. La sua caratteristica è la maestosità e la potenza dello sguardo. Perciò, nonostante la quasi totale assenza di mobilità, il personaggio incombe sulla scena con un’energia pesante, parecchio rilevante.

Il tema del sacrificio, così imponente nel dramma, comunica molto alla società contemporanea, sempre più egoista e concentrata sul sé. La spontaneità con cui Alcesti si avvia verso la morte non è istintività, ma è un atto d’amore, è volere il bene dell’altro in senso autentico. Lo spettacolo, quindi, apre profonde dinamiche d’esplorazione, che sono rese ben manifeste dalla messa in scena del Kerkìs. Alcesti, infatti, è una vittima sacrificale. La sua purezza è sottolineata dall’abito bianco e casto, contrapposto al vestito nero e trasandato di Ade. La donna, inoltre, muore sdraiata su una sorta di altare, similmente a un dono offerto agli dei. In punto di morte protende le mani verso il cielo, Ade l’attrae a sé, Alcesti vede l’oltretomba:

Vedo, vedo nella palude la barca/ e il traghettatore dei morti, Caronte/ impugna una lunga pertica/ mi chiama: «Perché indugi? Sbrìgati/ tu mi sottrai tempo». Mi fa fretta/ irosamente.

Proprio all’apice della tragicità, entra in scena Eracle, che produce un rilevante effetto di straniamento. Eracle (il semidio) è, infatti, un personaggio grottesco, adatto alla satira e alla comicità rozza. Il Kerkìs enfatizza i tratti burleschi del personaggio, creando un costume sfarzoso, contrapposto ai tratti casti degli altri individui a lutto: tra le mani ha un grappolo d’uva e un otre di vino, simbolo dell’edonismo. Appare subito chiaro, quindi, il cambio di rotta dell’opera teatrale: l’introduzione di quel personaggio crea un immediato spostamento di focus, e nella tragedia si apre uno spiraglio di positività. Con Eracle si introduce il secondo, rilevante, tema di Alcesti: l’ospitalità. Admeto, infatti, nonostante il lutto, non esita ad accogliere in casa lo straniero, offrendogli i migliori agi e mantenendolo estraneo dalla notizia del lutto.

Perché, mi avreste apprezzato di più se cacciavo un amico giunto nella mia città, nel mio palazzo? No di certo: il mio lutto non diventava meno grave e io sarei passato per un individuo poco socievole. Avrei aggiunto disgrazia a disgrazia: sentir definire inospitale casa mia!

L’ospitalità dello straniero costituisce il nodo drammatico della vicenda: è solo grazie ad Eracle che Alcesti torna alla vita. Il concetto di ospitalità, nella società greca, aveva un valore sacro. Negarla a uno straniero significava attirare a sé l’ira di Zeus. Inoltre, secondo la tradizione, chi veniva ospitato aveva il dovere di ricambiare. Appare più chiaro, sotto questa luce, l’episodio di Alcesti: Admeto non salva Alcesti mosso dalla carità o compassione (o meglio, non solo!), ma poiché ciò rispondeva a una tradizione consolidata, a un principio antropologico indiscutibile.

La messa in scena è quasi del tutto filologica, a parte una breve inserzione durante l’ingresso di Eracle. Il semidio, infatti, entra in scena cantando il “canto carnascialesco” La canzone di Bacco e Arianna di Lorenzo il Magnifico. Ciò è chiaramente anacronistico, ma coerente con il personaggio carnevalesco. D’altra parte, l’adattamento del testo classico è una dei filoni di ricerca più attivi della contemporaneità. E se è difficile trovare le ragioni per mettere in scena un testo vecchio millenni, è altrettanto semplice ascoltarne la voce e percepire quello che, ogni giorno, un classico ha da raccontare. Lo insegna Italo Calvino, in Perché leggere i classici:

Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

CREDITS

Copertina – Kerkìs

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