Michele Mari, Dalla cripta: la riscoperta della tradizione poetica

Michele Mari, grande autore della scena letteraria contemporanea italiana, è tornato a stupire i suoi lettori con una seconda opera poetica. Uscita lo scorso 12 febbraio, Dalla cripta si colloca nella vasta produzione dell’autore.

Conosciuto soprattutto come prosatore, Mari si dedica anche alla scrittura poetica. La sua prima raccolta Cento poesie d’amore a Ladyhawke pubblicata nel 2007 da Einaudi rappresenta sicuramente un caso letterario. Sebbene sia un libro di poesie – quindi generalmente rivolto a una nicchia di lettori -, esso è diventato presto un longseller, occupando a lungo le vette delle classifiche di vendita e raggiungendo un vasto pubblico.

La precedente raccolta di componimenti è inoltre diventata un fenomeno anche sul web. Molti versi e citazioni dalle Cento poesie, infatti, sono spesso adoperati sui social  come didascalie descrittive per le foto e condivisi innumerevoli volte grazie alla loro istantaneità e immediatezza. Suo malgrado Mari è entrato a far parte del fenomeno dell’instapoetry, pur non essendone intenzionato. I suoi componimenti dopo una rapida lettura possono risultare di facile comprensione, tuttavia uno sguardo più attento può far emergere numerosi riferimenti alla tradizione letteraria italiana (e non solo), che inizialmente erano passati inosservati.

Dalla cripta è invece apparentemente molto lontana dalla precedente raccolta. I richiami ai modelli della tradizione letteraria italiana non sono più così celati ma appaiono palesi, quasi ostentati. Potremmo quasi definirla una raccolta manierista, sia per forme sia per contenuti. Lo scrittore infatti fa proprie le strutture metriche tipiche della tradizione, adoperando per esempio sonetto, canzone, sestine e settenari, arrivando persino a cimentarsi nella riscrittura del XXIV canto dell’Iliade in endecasillabi sciolti.

Mari dunque non solo riprende la tradizione della lirica italiana ma ci gioca, la manipola e mostra così di avere dimestichezza con una materia che ai più appare ostica, talvolta invece esageratamente semplice e frutto di una mera imitazione meccanica. Ma oltre al fare manieristico c’è soprattutto una profonda conoscenza della poesia e dei suoi strumenti, che vengono piegati alle esigenze espressive della poesia contemporanea.

Così come nelle Cento poesie d’amore a Ladyhawke, anche in Dalla cripta emergono temi tradizionali. Accanto al topos dell’amore stilnovistico, che nasce dagli occhi e sedimenta poi nel cuore, si aggiungono altre tematiche importanti. La donna gentile che si nega all’amato e fugge da lui, i sospiri appassionati che portano il poeta quasi a morire, il sentimento amoroso come epifania e miracolo; questi i motivi che caratterizzano la prima delle sezioni della raccolta, Rime amorose.

Le prime e intense rime sono seguite da altri componimenti, suddivisi a loro volta in sezioni: Altre rime, Esercitazioni comiche, Scherzi, Versi d’occasione, Atleide e Versione del canto XXIV dell’Iliade di Omero in endecasillabi sciolti. Dai titoli delle diverse parti si può notare come l’amore non sia l’unico tema trattato, anche se certamente predomina sugli altri. Il filo conduttore è rappresentato dalla morte, che compare in diversi modi: la fine dell’esperienza amorosa, la fine dell’esperienza letteraria o della vita.

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Sicuramente questi riferimenti innescano una reazione nel lettore, che non potrà fare a meno di riportare alla mente poeti come Dante, Petrarca, Foscolo e Leopardi. Dalla cameretta come luogo sicuro in cui rifugiarsi, ai riferimenti alla poesia cavalcantiana del Duecento, alle menzioni dirette come le allocuzioni a Flaubert o Jane Austen. Ma non solo: si trovano per esempio anche poesie oscene, secondo il modello comico-realistico. La raccolta di Mari appare perciò come un’intricata tela di riferimenti letterari impliciti e non. E per parlare al meglio di questioni così antiche non si può fare altro che adoperare un linguaggio altrettanto arcaico.

Il lettore può infatti essere inizialmente spaesato davanti a versi come: «Donna gentile a l’amoroso guardo/ ch’ognor beltade e più severe mostra». O, ancora: «E ancor rivedo la tua falsa imago/ e il lampo nero del tuo sguardo chiaro». Sicuramente da poesie come queste è possibile comprendere il perché di un titolo come Dalla cripta. È da un passato lontano, da un tempo già vissuto che vengono questi versi, dalla cripta della letteratura. Manca forse in questo caso, rispetto alla precedente raccolta, il tentativo di portare la lirica tradizionale nella contemporaneità.

Ma è insito proprio in questa componente l’aspetto più affascinante e interessante dell’opera: non si tratta più di tentare di portare la poesia tradizionale nel mondo del lettore del terzo millennio ma si chiede al pubblico di fare un salto all’indietro, di muoversi verso una poesia che sembra ormai desueta, antica, incomprensibile, di scendere nella cripta, dove si trovano le fondamenta della nostra cultura letteraria, per apprezzarla nuovamente.

 


FONTI
M. Mari, Dalla Cripta, Einaudi, 2019
Il Libraio

 

 

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