“12 anni schiavo”, la terribile storia di Solomon Northup

12 anni schiavo racconta la storia di uomini privati di tutti i diritti civili fondamentali e ridotti ad oggetti o animali: si tratta degli schiavi americani, una vergognosa macchia nel passato degli Stati Uniti.
Solomon Northup fu un afroamericano ridotto in schiavitù dopo essere stato rapito da alcuni trafficanti. Dopo dodici anni di soprusi riuscì a riacquistare la propria libertà e scrisse l’autobiografia Twelve Years a Slave, in cui racconta la sua tragica avventura. L’opera fu pubblicata nel 1853 e nella stesura fu assistito dall’avvocato David Wilson; l’autobiografia vendette trentamila copie, perciò può essere considerata un best seller.

Dall’autobiografia è stato tratto un omonimo film (2013), che vinse l’Oscar come miglior film nel 2014. Solomon Northup è stato interpretato da Chiwetel Ejiofor; nel cast compaiono anche Michael Fassbender nei panni del bestiale Edwin Epps, Benedict Cumberbatch nelle vesti del Padron Ford (sì, esatto, è l’attore che ha interpretato Sherlock Holmes nel celebre telefilm), Paul Dano per il crudele Tibeats, Paul Giamatti ha interpretato Freeman, e Lupita Nyong’o, nei panni della povera Patsey, ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Interpretato il ruolo secondario di Samuel Bass da Brad Pitt, oltre che produttore dell’opera.

Il film non racconta nulla dei genitori di Solomon, ma sappiamo che era figlio di uno schiavo liberato e di una donna libera. Oltre ad essere un violinista, era anche un contadino e un falegname; sua moglie Anne, cuoca nell’autobiografia come nel film, era mulatta e insieme ebbero tre figli, non due come viene raccontato nel lungometraggio: Margaret e Alonzo, i cui nomi sono stati mantenuti anche nella pellicola, ed Elisabeth, eliminata dalla sceneggiatura.

I rapitori erano veramente impresari di un circo, ma le versioni delle due opere divergono circa l’inganno di cui Solomon fu vittima. Nel film Solomon partì per diversi giorni senza avvisare la moglie, che lavorava fuori città, e, dopo essere stato trattato con tutti i riguardi, venne drogato e catturato; nel libro invece Solomon accettò un incarico di una notte, perciò non avvisò la moglie della partenza: dopo essere rimasto deluso dai banali giochi di magia, accettò di raggiungere un circo di Washington in cambio di un lauto compenso. A Washington la schiavitù era legale, così fu facile drogarlo con della Belladonna, privarlo dei documenti e venderlo, spacciandolo per uno schiavo fuggiasco. Per impedirgli di dichiarare di essere un uomo libero, Solomon fu pestato per alcune ore, i dolori della ferita furono paragonati alle “fiamme dell’inferno”. Anche nel film troviamo un’agghiacciante scena di pestaggio, in cui Solomon non prova solo sofferenza fisica, ma anche il dolore per la perdita della propria dignità dovuta alla negazione coatta della propria identità.

Solomon fece realmente un viaggio in nave e venne chiamato Platt, nelle memorie gli fu assegnato anche il cognome Hamilton. Da 33 anni, la sua età fu abbassata a 26 per venderlo ad un prezzo più alto. I compagni di viaggio di Solomon sono inventati mentre è stato omesso un tentativo di ammutinamento fallito a causa di un’epidemia di vaiolo: nel film infatti si vocifera semplicemente di attaccare la nave, ma non si organizza alcun piano concreto. Nelle memorie Solomon pregò un marinaio di scrivere una lettera per ottenere la liberazione, ma riuscì nel proprio intento solo dopo undici anni.

La nave era diretta a New Orleans, dove Solomon si ammalò di vaiolo, un altro episodio della vicenda che lo sceneggiatore ha omesso. Il primo proprietario fu William Ford, una persona molto umana anche nell’autobiografia, infatti Solomon scrive: «Non c’è mai stato un uomo più gentile nobile, schietto e cristiano di William Ford». Secondo l’autore, lo schiavista si ritrovò a schiavizzare esseri umani semplicemente a causa delle circostanze e dell’educazione ricevuta. La disavventura che portò Solomon ad essere quasi impiccato e a restare appeso per ore senza essere soccorso è veramente accaduta, solo che il suo aguzzino non era un dipendente di Ford, ma una persona a cui lo schiavista lo aveva prestato per questioni di affari. Per salvargli la vita, Ford cedette in prestito l’uomo prima al cognato, poi a Eldret, infine lo vendette a Edwin Epps, che detenne la proprietà di Solomon per dieci anni. Sadico e amante delle più crudeli tra le torture, Epps frustava proprio come nel film gli schiavi che non raccoglievano la quantità di cotone da lui prefissata. Nelle memorie di Solomon, la fattoria risonava ogni giorno dello schiocco delle frustate. Compare anche il personaggio della povera Patsey, abusata sessualmente dal padrone e maltrattata dalla signora, gelosa delle attenzioni che il marito aveva per la ragazza, nonostante la giovane fosse un’efficiente raccoglitrice di cotone.

Solomon diventò un attivo abolizionista, raccontò la propria vicenda alla stampa prima di scrivere le proprie memorie e tenne diverse conferenze contro la schiavitù. Sparì pochi anni dopo la liberazione in circostanze misteriose.
Il film è fedele per quanto riguarda la trama, anche se alcuni personaggi sono stati inseriti dallo sceneggiatore probabilmente per ritrarre al meglio la condizione degli schiavi. E’ il caso della madre separata dai propri figli, dei sorveglianti degli schiavi e del giudice cui Solomon fu prestato durante l’avvento di parassiti nella piantagione di Epps. Il film si sofferma non solo sulla violazione dei diritti umani fondamentali, ma anche sulla privazione della dignità dell’uomo, infatti, Solomon per sopravvivere è costretto a fingersi ignorante e a reprimere la propria volontà e identità. Sono molto efficaci le colonne sonore, in particolari i canti intonati dagli schiavi nelle piantagioni che mostrano come anche in una condizione infima come la schiavitù l’uomo riesca a produrre cultura di qualità.
Il film è molto crudo: non vengono mostrate scene particolarmente cruente, eppure lo spettatore prova un’indignazione profonda per ciò cui assiste, soprattutto grazie ai primi piani sul volto del protagonista segnato da una sofferenza indicibile e per i dialoghi bestiali che schiavisti e sorveglianti intrattengono con le proprie vittime. L’ambientazione è stata ricreata meticolosamente: campi di cotone a perdita d’occhio, fattorie e ville coloniali, la selvaggia e rigogliosa vegetazione del Sud degli USA e, per quanto riguarda il Nord da cui Solomon proviene, cittadine d’epoca curate nel minimo dettaglio.

FONTI

filmtv.it

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