La moda ai tempi del surriscaldamento globale

Non si può continuare a pensare di consumare le risorse della Terra e di inquinare continuamente. Questo dato si è venuto a confermare con il passare degli anni e mai come oggi risulta importante. Negli anni del boom consumistico, infatti, si tendeva a non avere una visione a lungo termine. Oggi la situazione è diversa: siamo bombardati ogni giorno da articoli sul cambiamento climatico, sull’inquinamento e sul surriscaldamento globale. Tutti i settori, alcuni prima, alcuni dopo, hanno dovuto reagire, moda compresa.

L’approccio all’ecosostenibilità è un nuovo modo di pensare la moda e si basa su due principi fondamentali: l‘etica e la sostenibilità. Il problema che ci si pone è quindi duplice. In primo luogo troviamo una rinnovata attenzione alle condizioni dei lavoratori: scarse condizioni di sicurezza, salari ingiusti e orari di lavoro insostenibili sono stati la normalità per un lungo periodo. Dagli anni ’90 ci si batte per migliori condizioni e salari, oltre che per la tutela dei minori.

Dall’altro lato invece, il punto di interesse è la filiera di produzione. Importante il concetto di riciclo: diminuire lo scarto il più possibile, trasformandolo in un nuovo prodotto. Negli ultimi anni,  moltissime aziende si sono impegnate su questo fronte, dalle più piccole case di moda fino ai giganti delle multinazionali. Ovviamente non sono mancati gli influencers. Kim Kardashian, Adrian Grenier ma anche Gisele Bünchen, tuonano sui social contro la plastica. Borse “No plastic“, borracce (ora tempestate di Swarowski) e moltissimi altri sono gli accessori da sfoggiare davanti ai paparazzi.

Diversi brand hanno deciso di prendere le distanze dal derivato del petrolio, lasciandosi alle spalle il glorioso passato, dominato dal binomio plastica-modernitàBurberry, Inditex, H&M, hanno fatto notizia aderendo al New Plastic Economy Global Commitment della Ellen MacArthur Foundation, per una forte riduzione del consumo di plastica e derivati. Anche Zadig & Voltaire ha preso posizione, abbracciando il progetto “No More Plastic“, progetto in difesa degli oceani. Questa iniziativa è finanziata dalla vendita di una simpatica spilla a forma di tartaruga marina. Stella McCartney rinuncerà al nylon in favore dell’Econyl, una fibra tessile sintetica che nasce dal riciclaggio delle reti marine abbandonate negli oceani. Ma le frontiere dell’ecosostenibilità non si fermano qui.

Parley for the oceans, un network di aziende che si riuniscono attorno al comune obiettivo di salvaguardare gli oceani, combattono l’inquinamento causato dalla plastica. Il primo prodotto di moda è stato lanciato da Net-a-porter: un paio di occhiali limited edition in plastica riciclata. Successivamente, il brand Julian Schnabel ha proposto una borsa prodotta con circa 5 bottiglie in plastica riciclate l’una. Anche Adidas ha abbracciato questa iniziativa, promuovendo la sneaker modello NMD_R1, un enorme successo commerciale. Nel complesso, Parley for the oceans contribuisce a rimuovere la plastica e a promuovere l’educazione all’ecosostenibilità, tramite interessanti iniziative. Da non dimenticare sono anche altri marchi come Zara, Puma, Adidas, Valentino e Levi’s che si sono uniti a questa visione rivoluzionaria grazie al contributo di Greenpeace con la sua campagna Detox.

Ma non solo grandi marchi e brand internazionali: spesso infatti le spinte più interessanti arrivano dagli astri nascenti della moda. Bethany Williams, dal Regno Unito, ha deciso di coniugare alla sostenibilità un impegno sociale. Il suo motto? Fare la differenza e ispirare nuovi modi di lavorare nel mondo della moda. Un altro interessante contributo arriva dalla Svizzera, dove Kevin Germanier con il suo brand ha rivoluzionato il concetto di progettazione di un abito:

Prima vedo cosa ho in magazzino, solo allora inizio a sviluppare l’indumento. Non so mai se un vestito sarà blu o giallo finché non controllo cosa sia disponibile.

Tutto il suo processo di lavorazione è eco-friendly ed etico: “buona la prima”, diventa una regola generale per evitare sprechi.

Arriva dalla Nuova Zelanda, invece, Maggie Marilyn, che grazie a una collaborazione con fornitori indiani, ha sviluppato un tessuto a partire dai petali di rosa, come sostituto della seta. L’impegno ambientale, secondo lei, sopratutto nella moda, si coniuga non solo nel riconoscimento dell’importanza del riciclo. Risulta, infatti, più che mai fondamentale arrivare a dimostrare come un abito riciclato, possa avere pari bellezza rispetto agli abiti nuovi. Interessati non solo alla biodegradabilità del prodotto, ma anche all’etica, sono i ragazzi di Bite Studios, brand della Nuova Zelanda. Tutti i lavoratori ricevono un compenso adeguato, hanno orari di lavoro normali e godono di ottime condizioni lavorative.

Ma servirà molto più di una semplice riduzione della plastica per bilanciare la parte che l’industria fashion ha avuto in ciò che è stata definita da Erik Solheim come la “calamità della plastica“. Stiamo parlando infatti di uno dei settori più inquinanti, che estrae la maggior parte dei  materiali grezzi dalla terra per creare anche prodotti con plastica vergine. Dai tessuti sintetici, zips, bottoni e molti componenti delle scarpe fino alle borse, che rischiano di finire sui fondali degli oceani, dove impiegheranno secoli per decomporsi. Nonostante la strada sia lunga, l’importante è comunque aver iniziato a percorrerla.


FONTI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.