Quando la moda si fa virtuale

Il concetto di supermodella nasce ufficialmente a cavallo dei brillanti anni Ottanta e Novanta, durante i quali raggiunge la vetta di massimo splendore. Grazie a donne di grande bellezza e fascino, come Linda Evangelista, Naomi Campbell e molte altre ancora, il fenomeno si è fatto strada fino ai giorni nostri. Ma come ogni cosa, pur persistendo, è destinata a cambiare, ad adattarsi. Inizialmente anche la musica, in particolare quella di George Micheal, è stata un grande catalizzatore per il fenomeno delle top model. Basti pensare al video di Freedom! ’90: ospitando donne del calibro di Cindy Crawford e Christy Turlington, infatti, il video segna una vera e propria rivoluzione, nella musica come nella moda. Inutile sottolineare, dunque, come il fenomeno della multimedialità sia se non da sempre, almeno da qualche decennio, la base dell’espansione in senso trasversale, e oggi multimedia e moda riescono a creare dei binomi sempre più interessanti e diversificati.

Da un lato troviamo le influencer e le top model, ruoli che spesso in realtà sono ricoperti da un’unica figura. Esempio brillante di questo matrimonio tra social media e grande rilevanza nell’industria fashion è rappresentato dalla famiglia Karadshian. Kendall Jenner, in particolare, ci permette di coniugare il concetto di top model in senso molto contemporaneo. Grande uso dei social, ma non senza una riflessione importante, come emerge nel numero 822 di Vogue Italia:

“Tutti quanti prendiamo i momenti d’oro della nostra esistenza e li condividiamo, e consapevolmente o no resta un modo per ingannare gli altri, o quantomeno confondere. Non fatevi abbindolare. Nessuno è perfetto, a cominciare da me”

Una presa di coscienza, questa, che non deve lasciare indifferenti: ciò che vediamo sui social non è necessariamente ingannevole, ma è il risultato di una selezione effettuata, più o meno attentamente, sugli eventi della nostra vita.

Tuttavia i social e internet in generale non rimangono esenti dalle critiche circa l’artificiosità dei contenuti. Photoshop è ciò su cui l’opinione pubblica tende a puntare maggiormente il dito. Con il suo operato pare che gli standard della moda contemporanea siano diventati irraggiungibili. L’accusa è quella di manipolare non solo le foto, ma anche, di riflesso, la mente di chi si osserva, che si paragona alla star. Labbra gonfiate, fianchi assottigliati all’inverosimile, corpi scolpiti spopolano sui social. Questo ha portato le persone a un dubbio costante: quanto è vero ciò che sto visualizzando sul mio smartphone? Quanto si avvicina alla realtà dei fatti? Quanto c’è di virtuale? Questa continua riflessione sulla realtà ha portato a uno sviluppo indubbiamente interessante nel campo delle modelle. Quasi come un’esagerazione del fenomeno di top model, della bellezza perfetta e irraggiungibile, sono nate le modelle virtuali.

Pronte a rispondere a degli ideali di bellezza stavolta davvero impossibili e a farsi amare dal grande pubblico. Già, amare perché dichiaratamente non esistono, non si pongono come un modello per il confronto con ciò che vediamo una volta davanti allo specchio. Con lo sviluppo sempre più rapido della computer grafica, non c’è da stupirsi di questa espansione. Imma (su Instagram imma.gram), è una modella totalmente computer-generated e arriva dal Giappone. Il suo nome deriva dal termine nipponico “ima”, il cui significato è “ora”, in quanto nasce per rappresentare al meglio i nostri giorni e ha preso letteralmente d’assalto l’industria della moda. La sua carriera è già avviata: copertina su CGWorld,  più di 30.000 followers su Instagram e una bio di Twitter nel quale dice di voler attrarre gli umani.

Un altro esempio, che questa volta ha travolto anche il bel paese è sicuramente Noonoouri. A gennaio 2019, infatti, Lorenzo Serafini per il suo brand Philosohy ha deciso di utilizzare un testimonial d’eccezione. Nulla di strano sulla carta: con i suoi 216mila followers su Instagram garantisce un’ottima visibilità. Tutto normale, se non fosse che anche Noonoouri è un avatar. Piccola, magrolina, grandi occhi da manga, pronta anche a lasciare simpatici commenti sotto le foto del brand che la vedono protagonista. A detta di Serafini, è stata scelta perché si sarebbe generato un bel contrasto tra il romanticismo pervasivo del suo brand e l’artificialità della modella.  Dietro a Noonoouri c’è in realtà una persona in carne ed ossa: Joerg Zuber, direttore creativo dell’agenzia di branding e design Opium. Il suo scopo? Una digital haute couture.

Dagli avatar ai robot, anche Erica viene dal Giappone e si è fatta spazio grazie a una campagna marketing di Gucci su WeChat dal titolo “Why are you scared of me?”. È dotata di intelligenza artificiale e ha già imparato a utilizzare espressioni facciali complesse. Sembra quasi che la moda stia accettando e coniugando creativamente la più frequente delle critiche: l’artificialità, l’artificiosità, che si fanno tratto caratteristico. Che sia questa la strada giusta? Una giusta dose di autoironia e autocritica sicuramente non fanno male, ma solo il tempo sarà il giudice definitivo di queste tendenze.


 

 

 

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