Medea: perché la donna non può essere potenza distruttrice?

La Medea di Euripide è una delle tragedie greche più dilanianti e impressionanti.  Luca Ronconi, venuto a mancare nel 2015, presentò al Teatro Piccolo di Milano la sua versione della Medea euripidea, rendendola attuale ed incisiva, facendone uno dei propri cavalli di battaglia. La prima rappresentazione fu nel 1996 e fin da allora Franco Branciaroli era stato l’attore (o l’attrice) protagonista nei panni di Medea. Continua ad esserlo anche oggi che la regia di Ronconi è stata ripresa da Daniele Salvo, rispettando le indicazioni e le scelte stilistiche messe a punto dal celebre regista nell’arco di quasi 20 anni.

Lo stile recitativo ronconiano è sublime e unico nell’attenzione alla musicalità, efficace nel far vibrare le parole con suoni nuovi e inconsueti, atti a risvegliare l’attenzione dello spettatore; ciò che rende questo dramma insolito tuttavia è la scelta di affidare ad un uomo il personaggio femminile per eccellenza: Medea.

A detta dello stesso Ronconi in un’intervista, tale scelta è motivata dal fatto che secondo lui Medea “costruisce il proprio agire su valori eminentemente maschili”. Perché una donna non dovrebbe essere forte, perché non dovrebbe voler vendicare la propria dignità, il proprio orgoglio traditi? Medea è una donna potente, una semi-dea (è la nipote del Sole!) e secondo alcune attestazioni è riconducibile ad un’antica figura di Dea-madre, potenza vivificatrice e distruttrice allo stesso tempo, preesistente agli dei dell’Olimpo greco, dai quali è poi stata spodestata.

La scelta di far interpretare Medea ad un uomo, anzi ad un attore di ineguagliabile bravura come Franco Branciaroli, può d’altronde offrire dei vantaggi, come quello di rendere il personaggio misterioso, androgino, al di là dei concetti di uomo e donna, quasi divino. Inoltre, sempre secondo Ronconi: “Medea tende a presentarsi non tanto come una donna lacerata dall’amore o come una femminista ante litteram, quanto piuttosto come una “minaccia”, e per di più come una “minaccia” che incombe imminente sul pubblico.”

Tuttavia anche una donna, come un uomo, può essere superiore a questioni meramente amorose o di genere; in tal caso, come afferma Ronconi, essa rappresenta una “minaccia” per la società e si eleva infatti a dea.

Il ruolo di Medea è stato memorabilmente interpretato anche da Mariangela Melato, con un risultato di straziante e lacerante realismo, poiché la potenza distruttrice è parte anche dell’essere femminile. Ridurre il dramma di Medea a questioni di gelosia femminile implica una non completa comprensione dell’opera e del mito. Una donna può avere sentimenti nobili e forti tanto quanto un uomo, così come può desiderare il potere ed essere pronta a distruggere e fare stragi per ottenerlo.

In ogni caso, la Medea ronconiana è uno spettacolo magistralmente orchestrato: la nutrice apre suggestivamente il dramma con antichi e misteriosi canti etnografici e le donne di Corinto sanno ben armonizzare le loro voci rendendo cruciali le battute del coro.

Giasone – il personaggio forse più attuale – appare un millantantore, un buffone bravo con le parole, l’ometto che grazie alle sue abilità nel gestire le relazioni riesce ad ottenere la mano della figlia del re di Corinto, senza preoccuparsi di essere già sposato con la principessa della Colchide, la nipote del Sole. Medea, essendo una barbara, è da lui greco considerata di minor importanza. Grande sarà dunque la vendetta dell’umiliata Medea che, uccidendo i figli concepiti con il greco, compie una sorta di sacrificio per espiare il tradimento degli antichi valori.

Medea nella scena finale appare in tutta la sua forza e distruttività, divinità ctonia che ascende al cielo dopo aver fatto giustizia sulla terra.

 

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