Ci sono riforme che fanno la storia e altre che suscitano più che altro il sorriso. Per molti la proposta, che è ritornata a circolare negli ambienti del Parlamento, di vietare l’utilizzo degli smartphone in classe è qualcosa di risolutivo, che finalmente spazzerà via gli atavici problemi del panorama scolastico italiano. Passando dal mondo della scuola a quello del lavoro, anche la cumulabilità nell’utilizzo dei ticket restaurant, permessa solo da pochi anni, è stata salutata da diversi media come una rivoluzione che finalmente ha permesso ai lavoratori di poter usufruire di una possibilità finora risolutamente negata.
Ma in entrambi i casi la realtà dei fatti è sempre stata esattamente quella prevista dalle norme? Chiunque abbia mai ottenuto come benefit lavorativo dei ticket restaurant probabilmente avrà letto i roboanti divieti che sistematicamente venivano stampati sul retro di quei buoni pasto: il ticket restaurant non è cumulabile, né cedibile, né commerciabile, né convertibile in denaro: può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dall’utilizzatore per usufruire di un servizio di somministrazione alimenti e bevande o cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato. Secondo quanto previsto dalle norme, quindi, non si sarebbe potuto usare che un solo buono pasto per volta, ognuno utilizzabile esclusivamente per un pranzo o una cena in orari di pausa lavorativa, e questi buoni pasto sarebbero dovuti essere spendibili limitatamente a bar, tavole calde ecc., e non in supermercati, centri commerciali o nei più svariati punti vendita. La realtà dei fatti però ha sempre visto un quadro completamente opposto a quanto previsto sul piano legislativo: è diventata pratica pressoché comune quella di utilizzare dei buoni pasto come valuta a tutti gli effetti, spendibile per i più disparati usi e nemmeno dal titolare stesso. Tanto che, quando negli ultimi anni i ticket restaurant sono diventati elettronici, e quindi caricati su apposite carte magnetiche in linea di principio tracciabili, il grido d’allarme di molti giornali è stato proprio sul problema della possibile mancata cumulabilità e della minore libertà d’utilizzo, tutte cose in realtà però proibite. Quale migliore soluzione italiana quindi per risolvere il problema, se non una sanatoria? Ecco così arrivare il decreto che alla fine ha dovuto far capitolare la norma per adeguarla alla realtà dei fatti.
È tempo di vere riforme, che siano capaci di anticipare i tempi, guidare i cambiamenti, non farsene travolgere per incapacità di comprensione. Più ci si dice progressisti a parole e più nella realtà dei fatti ci si mostra inadeguati a comprendere le nuove traiettorie, che sembrano quasi una marea inesorabile sotto cui tutti sono destinati a soccombere. Il coraggio delle vere riforme sta semmai nel guardare lontano per capire come salvare ciò che rischia di andare perduto per sempre.