Dal dialogo platonico al monologo teatrale. Un Socrate appassionato per Christian Poggioni

Il 21 febbraio l’associazione Kerkis ha ospitato l’Apologia di Socrate di Platone, del regista, sceneggiatore e attore Christian Poggioni. Il testo filosofico è stato trasformato in un comico ma profondo monologo teatrale che, tra risate e perle di saggezza, ha portato l’acropoli di Atene presso il Teatro San Lorenzo alle Colonne di Milano. L’Apologia è il discorso che, secondo Platone, Socrate pronunciò nel 399 a.C. per difendersi dall’accusa di corrompere i giovani. Il filosofo fu condannato a morte, ma le sue parole immortali sono giunte sino a noi.

Abbiamo intervistato l’attore e regista per apprendere com’è nato lo spettacolo e i segreti relativi alla sua realizzazione. Christian Poggioni ha risposto alle nostre domande mentre si trovava in viaggio per Napoli, dove porterà in scena l’Apologia. L’artista è nato a San Paolo (Brasile) nel 1972 e ha studiato recitazione presso la Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Si è laureato con 110 e lode presso l’Università Statale di Milano e ha conseguito con il massimo dei voti un master in regia presso la School of Cinematic Arts, dell’University of Southern California di Los Angeles. Ha collaborato con Mediaset, RAI  e Radio Svizzera Italiana.

Vuoi parlarci del tuo ruolo nell’associazione Kerkis?

Sono vicepresidente dell’associazione, nata dopo la nostra attivazione dei laboratori di teatro presso l’Università Cattolica. Volevamo offrire agli studenti di tali laboratori, inseriti in un contesto accademico, l’opportunità di proseguire facendo teatro e ricerca con un’associazione come appoggio che fosse strettamente collegata all’università. All’università abbiamo dei percorsi di ricerca che ci portano a realizzare degli spettacoli di teatro antico classico greco e latino; i nostri spettacoli  vengono fatti vivere davanti a un pubblico e tenuti in vita in repertorio proprio grazie a Kerkis. L’associazione dispone del Teatro San Lorenzo alle Colonne di Milano, dove organizza ogni anno una stagione teatrale con i titoli di teatro antico. Per l’associazione io conduco i laboratori, ma l’Apologia è un mio spettacolo autonomo, che l’associazione ha ospitato.

Com’è nata l’idea dello spettacolo dell’Apologia di Socrate?

Sono un’amante del teatro classico, inoltre, nel nostro repertorio trovano grande spazio i monologhi, anche se a me non piace chiamare questo genere teatrale con tale termine perché un monologo è comunque un dialogo con il pubblico. Quando mi sono imbattuto nell’Apologia ho scoperto un testo adatto alle mie caratteristiche; il discorso di Socrate viene chiamato da Platone dialogo, perché il protagonista interloquisce con altre persone anziché fare un monologo. Nell’Apologia in particolare il dialogo è tra Socrate e i cinquecento giudici presso cui si difende e tra il filosofo e il suo accusatore Meleto. Infatti, io coinvolgo a sorpresa un personaggio del pubblico nei panni di Meleto.

Come hai interpretato il testo?

Ho realizzato una mia versione dell’Apologia: non ho modificato il testo, l’ho solo tagliato lasciando i punti fondamentali, evitando così le ripetizioni. Il testo compare dunque integralmente, nella sua forma originale.

Com’è stato trasformato un testo filosofico in un monologo teatrale?

Ho cercato di trovare un linguaggio colloquiale con il pubblico e contemporaneo. Le traduzioni sono scritte con un linguaggio più aulico, io le ho “tradotte” per adeguarle al pubblico. Una volta semplificato il linguaggio di Platone e la sintassi della frase, scegliendo parole semplici, il testo è molto teatrale, è un monologo già pronto, perché Socrate dopotutto parla in prima persona. Essendo il testo platonico una sorta di monologo, il riadattamento è stato più semplice rispetto per esempio alla trasposizione in teatro di un romanzo.

Tu hai inserito della comicità in un testo che comico non è. L’Apologia infatti è un’opera molto solenne, seria, composta. Qual è il segreto per trasformare così radicalmente un testo?

E’ vero che è un testo solenne, però Socrate usa l’ironia per parlare con gli ateniesi. Quando si usa l’ironia, il sorriso è sempre in agguato, dopotutto Socrate prende in giro i propri interlocutori o, almeno, quelli non degni come Meleto, per smascherarli. Anche per questo è stato ucciso, proprio perché gli ateniesi si sono sentiti derisi. Socrate provoca il pubblico, per esempio, quando chiede ai concittadini di essere mantenuto a pubbliche spese. Ciò non significa che Socrate faccia il comico, però c’è un’ironia di base che ho voluto sfruttare. Nel dialogo con Meleto concedo alla teatralità uno spazio che non compare nel testo platonico. Socrate parla in modo semplice ma costruisce un discorso denso, per questo motivo cerco di alleggerire la tensione di uno spettacolo che il pubblico deve seguire per un’ora inserendo della comicità. L’intermezzo comico di Meleto costituisce una pausa prima di riprendere a ragionare, ma in fondo non è una vera e propria pausa perché si parla di filosofia anche in quella scena. Nelle più grandi tragedie c’è sempre un momento di allentamento della tensione, altrimenti il pubblico cessa di seguire.

Anche Shakespeare inserisce dei momenti di comicità nelle sue tragedie più buie …

Esatto, volevo fare proprio questo esempio. Shakespeare in particolare sceglie queste strategie. Il Bardo non forza tali momenti come ho fatto io, ma nelle sue tragedie ad una scena di lacrime segue una battuta o una situazione estremamente divertente.

Come convinci le tue “vittime” a salire sul palco e ad interpretare Meleto? Con quale criterio scegli la persona?

Pochi minuti prima dello spettacolo scelgo di solito un ragazzo dall’aria simpatica, perché un uomo più adulto potrebbe imbarazzarsi a salire sul palco, i ragazzi inoltre sono più disponibili. Io tuttavia inganno il ragazzo perché, per convincerlo, affermo che non dovrà parlare e sarà semplicemente sufficiente la sua silenziosa presenza sul palcoscenico. In realtà gli pongo delle domande e gli chiedo di ripetere delle frasi.

In effetti il ragazzo che hai chiamato sul palco era proprio buffo e carismatico …

Replica per replica, bisogna essere fortunati scegliendo il ragazzo giusto. Io tento la sorte, poi scopro cosa mi aspetta. Alcuni sono più preparati, altri più imbarazzati, ma l’imbarazzo fa ridere il pubblico.

Ti andrebbe di descrivere la personalità del tuo Socrate?

Ha molta passione per quello in cui crede: la ricerca della verità. Una delle frasi più emblematiche è “una vita senza ricerche non è degna di essere vissuta”. Socrate non è distaccato, infatti, nel Simposio, presto in scena, il filosofo è descritto da Alcibiade sia come il migliore nel digiunare con atteggiamento ascetico sia nel bere e nel banchettare in allegria. Il filosofo però non si ubriaca mai perché è un superuomo o, almeno, tale lo considerano i suoi discepoli. Nonostante ciò Socrate è anche umano, infatti, ha una moglie e tre figli, quindi la sua filosofia e le sue discussioni sono soprattutto passione. Socrate ha settant’anni, ma il suo messaggio è così universale che lo posso veicolare alla mia età. Il mio personaggio infatti non indossa la tunica e manifesta l’ironia e l’energia di un mio coetaneo.

I costumi sono molto moderni …

E’ una scelta precisa, che vuole avvicinare a noi un filosofo che pronuncia delle affermazioni che valgono oggi come allora. Io amo rendere il personaggio vicino alla contemporaneità con costumi semplici, simbolici, evocativi e non propriamente quotidiani, ma moderni.

In alcuni atteggiamenti Socrate è un oratore classico, infatti, ti esprimevi in modo forte e chiaro, scandendo bene le parole come se ti rivolgessi al pubblico della Boulè, ma in altri momenti la tua recitazione era, come hai detto tu stesso, molto appassionata. Ti sei ispirato alla retorica classica?

Certo, il discorso è scritto con questa retorica. Ho voluto ispirarmi a questo modo di recitare che non appartiene più a noi ma alla retorica classica. Sicuramente questo mi porta in alcuni momenti ad avere quello stile, ma deve emergere anche la passione perché Socrate non è solo un retore. Socrate ha due volti: uno cristallino nel pensiero e uno passionale.

A me è piaciuta molto la scena in cui mostravi il cellulare di uno spettatore riferendoti ai prodotti degli artigiani. Era una scena improvvisata o premeditata?

Mentre parlo degli artigiani io scelgo sempre un oggetto in mano ad uno del pubblico, chiedo sempre l’oggetto che può inserirsi meglio nella scena. Se trovo un cellulare lo prendo in prestito, ma non sempre riesco a individuarne uno. Ieri sera, per esempio, ho scelto un cappello come prodotto degli artigiani e l’ho indossato davanti al pubblico. Ho un margine di improvvisazione, ma ormai so quello che può succedere mentre, sera per sera, cerco un oggetto interessante in platea.

Ti andrebbe di raccontare qualche improvvisazione particolare che si è verificata durante i tuoi spettacoli o un evento memorabile che è accaduto?

Quando ho chiesto al ragazzo che interpretava Meleto quale creatura nascesse dall’incrocio tra un cavallo e un asino, la risposta è stata una capra. Le risposte a questa domanda sono state varie, non di rado strampalate. Quando chiedi inaspettatamente ad una persona di parlare su un palco, puoi aspettarti di tutto.

Quali altri spettacoli stai preparando?

Io sto lavorando su un altro dialogo platonico il Simposio. Il tema è Eros, l’amore, e parlerà ancora di Socrate, ma ci saranno anche altri personaggi. Sto già proponendo lo spettacolo durante la mattinata nei licei, ma non so ancora quando andrà in scena la sera, probabilmente la prossima stagione.

CREDITS

Foto di copertina dell’associazione Kerkis

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