“Once” dei Pearl Jam: c’era una volta l’autocontrollo

Depressione, solitudine, disturbi compulsivi. Un debutto abbastanza cupo per i Pearl Jam. Siamo nel 1991 e Ten costituisce per la neonata band di Seattle un vero e proprio trampolino di lancio. Nonostante le critiche e gli attacchi iniziali della stampa, Ten conquista in soli due anni, vincendo dodici dischi di platino e un disco d’oro, un posto d’onore nella storia del rock. Considerato da molti una pietra miliare tuttora insuperata nel movimento grunge, l’album del 1991 non è solo un concentrato di ballate psichedeliche e memorabili riff, ma è un’esplosione di rabbia, è carica lirica e contenutistica.

Pearl Jam, 1991

I testi di Ten si dimostrano incisivi e profondi nello scavare nel passato dei componenti della band, in particolare del vocalist, Eddie Vedder. Il primo brano suonato dal gruppo sembra essere infatti la celebre Alive, che si ispira alla biografia e ai traumi di Vedder: come lui, il protagonista della canzone scopre che l’uomo che ha da sempre considerato il padre biologico è in realtà il patrigno.

Nonostante questo, la biografia è solo un punto di partenza necessario alla band per tuffarsi a capofitto nel dramma dell’esistenza. Cosa racconta Vedder nelle prime canzoni? «Una storia basata su cose che erano accadute e altre che ho immaginato».

Alive sarebbe dunque da considerare il capitolo iniziale di una trilogia (a tratti biografica) progettata dal vocalist stesso. Si tratta della cosiddetta trilogia di Momma-Son che include, oltre alla traccia menzionata, anche Once e infine Footsteps (apparsa come b-side del singolo Jeremy). Si comincia da Alive in cui il protagonista, dopo aver scoperto la morte del padre naturale, avvia con la madre una relazione incestuosa. Dopo di che in Once impazzisce e in Footsteps attende in prigione il momento dell’esecuzione.

Compulsione

Una storia terrificante, una storia che urla, nel contenuto come nella forma. Cuore pulsante della trilogia è Once, feroce e intensa, che dà voce al flusso di coscienza di un uomo che, reduce da una serie di traumi, diventa un serial-killer.

La musica del singolo di apertura è firmata dal chitarrista Stone Gossard, le parole sono opera di Vedder. Il testo della canzone consiste in uno scorrere ininterrotto di pensieri. Mentre medita, l’anonimo protagonista guida con una pistola in tasca e una bomba di interrogativi e di istinti in procinto di esplodere nella mente. Poi, sul ciglio della strada appare una prostituta.

I admit it…what’s to say…yeah…
I’ll relive it…without pain…mmm…
Backstreet lover on the side of the road
I got a bomb in my temple that is gonna explode
I got a sixteen gauge buried under my clothes, I pray…

La donna viene allora caricata in macchina. Dalle parole del killer capiamo che non è la prima volta che questo accade.

Oh, try and mimic what’s insane…ooh, yeah…
I am in it…where do I stand?
Oh, Indian summer and I hate the heat
I got a backstreet lover on the passenger seat
I got my hand in my pocket, so determined, discreet…I pray…

Le frasi del protagonista sono frutto di un pensiero lucido perché, mentre compie l’azione di uccidere, la sua mano è ferma e determinata. Eppure allo stesso tempo il narratore si dichiara completamente fuori controllo. FolliaI am in it. Sembra un ossimoro: “follia lucida”. Tutta la carica, la rabbia di Eddie Vedder nelle spoglie del killer prorompe allora nel ritornello, ripetuto tre volte, chiave e nucleo della canzone come della trilogia.

Once upon a time I could control myself
Ooh, once upon a time I could lose myself

Controllo e smarrimento rappresentano un’altra contraddizione, un altro ossimoro. Il protagonista impazzisce e il killer diventa seriale quando le azioni, come i versi della canzone, cominciano a ripetersi sempre uguali. Nel momento in cui manca il controllo emerge la furia compulsiva dell’omicida. Attenzione: non si tratta di un attacco d’ira, un raptus momentaneo da una volta e mai più, ma di un impulso irrefrenabile che è ormai a tutti gli effetti uno stile di vita. Compulsivo è infatti il pensiero che conduce a un comportamento reiterato; un pensiero che non ha una base logica ma è vissuto in maniera intrusiva e condiziona drammaticamente l’esistenza. “Follia ragionata”.

You think I got my eyes closed
But I’m lookin’ at you the whole fuckin’ time…

Once, upon a time I could love myself, yeah…
Once upon a time I could love you, yeah, yeah, yeah…

C’era una volta l’autocontrollo. C’era una volta l’amore. In fondo il dramma è quello di aver perso ogni capacità di sentimento.

Orme

La storia del nostro omicida compulsivo si conclude in carcere, con uno sguardo al passato. Qui il protagonista, a un passo dalla condanna, racconta la storia di una caduta da cui non ha ormai possibilità di risollevarsi. Footsteps è registrata dai Pearl Jam in acustico: l’urlo di rabbia si attenua in una meditazione calma e sconsolata.

C’è stata dunque una ragione per questa lucida follia, per questa vita calpestata dagli impulsi più feroci? Non ci è dato sapere quale, non viene esplicitato nulla, anche se il titolo della trilogia non lascia dubbi: Momma-Son, madre-figlio. Una relazione incestuosa, malata, che lascia ora “cicatrici dappertutto”.

Don’t even think about gettin’ inside
Voices in my head
Oh, voices
I got scratches, all over my arms
One for each day, since I fell apart
I did, what I had to do
And if there was a reason, it was you, oh.

Footsteps si conclude così, ma la musica dei Pearl Jam è appena cominciata. Da Ten sono passati quasi ventotto anni e la band ha cambiato e ricambiato strada, lasciando orme diverse. Certo è che la potenza del primo album, graffiante nei temi e onesto nei tratti autobiografici, resta forse insuperabile.

Da ascoltare.

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