La Nasa ha inviato spermatozoi umani nello spazio: primi passi per l’uomo galattico del futuro

La nostra specie sta rapidamente consumando le risorse disponibili sul nostro pianeta, la Terra, e avrà bisogno di capire se nel futuro sarà possibile concepire e far nascere nuove generazioni lassù, nel cosmo.

Per cominciare a confrontarsi con la questione la Nasa ha inviato, ad aprile dello scorso 2018, del seme umano e di toro congelati in orbita per studiare gli effetti della microgravità sulle cellule spermatiche. Il progetto, che si chiama Micro-11, è condotto dall’Ames Research Center, che ha sede in Silicon Valley ed è uno dei maggiori centri dell’agenzia americana spaziale; il vettore utilizzato è stato un Falcon 9 di Space X. Le attenzioni maggiori sono indirizzate verso la motilità dello spermatozoo umano in in condizioni di microgravità: quello che i ricercatori stanno facendo è aggiungere ai campioni una soluzione chimica in grado di attivare la cellula spermatica umana, e riprendere il tutto in un video che sarà poi ben studiato. Esperimenti precedenti avevano fatto notare come il processo di attivazione dello spermatozoo, critico ai fini della fecondazione, in condizioni di gravità ridotta sia più veloce, e come invece la fusione con la cellula uovo sia più lenta.

La presenza dello sperma di toro, naturalmente, ha una funzione ben precisa, come spiega la stessa Nasa: “Lo sperma di toro mostra cambiamenti nel movimento e in altri marcatori della fertilità simili a quelli che avvengono nello sperma umano”. “Tuttavia, – continua l’agenzia – lo sperma umano è intrinsecamente più vario nel movimento e nell’aspetto. Quindi, le misurazioni sullo sperma di toro fungeranno da controllo qualità per garantire che i ricercatori possano rilevare le minime differenze nel comportamento dello sperma di entrambe le specie”.

La tematica della fecondazione tra le stelle era stata già affrontata in passato anche da parte di Jeffrey Alberts, ricercatore dell’Indiana University. In uno dei test Alberts ha mandato delle cavie animali incinte nello spazio, e queste avevano generato una prole con problemi al sistema vestibolare, il sistema del corpo deputato all’equilibrio e al riconoscimento dell’alto e del basso. Successivamente sono state mandate in orbita numerose specie animali, dagli uccelli ai ricci di mare, ma i dati attualmente disponibili ancora non ci permettono di trarre conclusioni particolarmente soddisfacenti.

Tornando sulle problematiche legate alla cresciuta di un embrione umano, questo aspetto di deficit legato ai sistemi ed apparati vitali viene sottolineato da pubblicazioni scientifiche che sottolineano l’importanza del peso della gravità terrestre: il feto, nello spazio, crescerebbe con ossa troppo lunghe, un cuore congestionato e muscoli della gambe praticamente assenti. “Non sappiamo ancora quanto il volo spaziale di lunga durata influenzi la salute riproduttiva umana e questa indagine sarebbe il primo passo per comprendere la potenziale vitalità della riproduzione in condizioni di gravità ridotta“, continua quindi la Nasa. E aggiunge: “Studiare la biologia riproduttiva nello spazio è utile perché l’ambiente unico della microgravità può rivelare processi e connessioni non visibili con la gravità della Terra”.

Un primo passo perciò, assolutamente necessario prima o poi: esperimenti di questo tipo sono molto importanti per il nostro futuro, dal momento che la nostra specie è naturalmente portata ad espandere i propri orizzonti. E cosa può essere più eccitante se non l’esplorazione del misterioso “là fuori” cosmologico?

 

 

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