Nomofobia: la sindrome da disconnessione

Il cellulare è oramai parte integrante delle nostre vite. Se inizialmente possederne uno era un privilegio per pochi, adesso è uno strumento alla portata di tutti, adulti e bambini. Innegabilmente il cellulare ha migliorato le nostre vite, permettendoci di essere facilmente in contatto con il mondo e di svolgere attività come prenotare viaggi, acquistare oggetti di vario tipo e così via. Tuttavia, c’è anche il rovescio della medaglia: la nostra società, infatti, sembra essere sempre più “ossessionata” dall’utilizzo del cellulare, al punto che molte persone non riescono a fare a meno di portare sempre con loro lo smartphone e controllarlo in maniera compulsiva e, molto spesso, involontaria.

Sempre più studiosi sono concordi nel dire che negli ultimi anni sono aumentati i casi di vere e proprie forme di dipendenza nei confronti dei cellulari. A partire da uno studio condotto su un campione di 2.163 persone e commissionato da Post Office Ldt a YouGov, un celebre ente di ricerca britannico, è stato coniato il termine inglese Nomophobia (Nomofobia in italiano). Il neologismo, nato dall’abbreviazione di “no-mobile-phone” unitamente al termine greco fobia, indica il terrore di rimanere sconnessi dalla rete mobile.
Durante questa analisi è emerso che più di sei ragazzi su dieci tra i diciotto e i ventinove anni vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (quasi il 53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria o di credito, o senza copertura di rete oppure senza il cellulare.

Dipendenza da smartphone
Nonostante nel nome compaia la sigla “fobia” e che i sintomi siano molto similari a quelli dell’ansia, uno studio condotto nel 2010 da ricercatori del Panic and Respiration Laboratory, dell’Università Federale di Rio de Janeiro sembra indicare che la Nomofobia sia da considerare una dipendenza patologica piuttosto che un disturbo d’ansia.
I ricercatori avrebbero infatti sperimentato che un approccio terapeutico mirato a ridurre l’ansia non sia efficace nel trattamento della Nomofobia, ma che i soggetti affetti da questo tipo di psicopatologia rispondano meglio ad un trattamento specifico per le dipendenze patologiche. Secondo David Greenfield, professore di psichiatria presso l’Università del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze o compulsioni, in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere. Così, ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare, il livello di dopamina sale, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi una novità. Il problema però è che, non potendo sapere in anticipo se accadrà davvero qualche cosa di bello, si ha l’impulso di controllare in continuazione il dispositivo, dando vita ad una vera e propria dipendenza. Questa dipendenza porta ad una serie di comportamenti altamente disfunzionali, come controllare in maniera ossessiva il cellulare, onde evitare di perdere qualche aggiornamento sui social o qualche messaggio; non spegnere mai il dispositivo neanche nelle ore notturne, svegliarsi di notte per controllarlo e portare lo smartphone in luoghi non appropriati (es. bagno, chiesa ecc), esattamente come accade con droghe e alcol. Inoltre, si può parlare di Nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili ad un attacco di panico come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.

Nomofobia: come riconoscere la sindrome
In Italia, importanti studi sono stati condotti da Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, che avevano proposto di inserire la Nomofobia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), recentemente revisionato. Gli studiosi tracciano un profilo molto preciso di questo disturbo che sarebbe caratterizzato da “ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un telefono cellulare o un computer”. Inoltre la Nomofobia funge da guscio protettivo, permettendo a coloro che ne sono affetti di estraniarsi dalla realtà, rifugiandosi in una dimensione “parallela” in cui poter facilmente evitare la comunicazione sociale.

I ricercatori italiani descrivono alcuni campanelli d’allarme per poter riconoscere se si è affetti in questa sindrome:

  • Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso;

  • Avere uno o più dispositivi;

  • Portare sempre un caricabatterie con sé per evitare che il cellulare si scarichi;

  • Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio portatile, quando il telefono cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c’è mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto possibile, i luoghi e le situazioni in cui è vietato l’uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e aeroporti);

  • Mantenere sempre il credito;

  • Dare a familiari e amici un numero alternativo di contatto e portando sempre con sé una carta telefonica prepagata per effettuare chiamate di emergenza se il cellulare dovesse rompersi o perdersi o, ancora, se venisse rubato;

  • Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate. In questo caso si parla di un particolare disturbo che definito ringxiety, mettendo insieme la parola “squillo” in inglese e la parola ansia.

  • Controllo costante del livello di batteria del dispositivo per assicurarsi che non si possa scaricare per eventuali operazioni importanti;

  • Mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno);

  • Dormire con cellulare o tablet a letto;

  • Utilizzare lo smartphone in posti poco pertinenti.

I ricercatori raccomandano di evitare di considerare tutti i comportamenti sopracitati come patologici.

Ma chi sono i soggetti a rischio?

Ulteriori importanti studi che indagano i soggetti a rischio della Nomofobia sono stati portati avanti da Francisca Lopez Torrecillas, docente presso il Dipartimento di personalità e di valutazione psicologica e trattamento delle dipendenze dell’Università di Granada. Grazie ad una ricerca su campo con giovani adulti tra i diciotto e i venticinque anni, si è scoperto che la maggior parte delle persone colpite da questa condizione sarebbero giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali, che sentono il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare e che di solito mostrano noia quando si effettuano altre attività ricreative derivati da un uso patologico di telefoni cellulari. La ricerca evidenzia inoltre come gli uomini tendano ad essere più ansiosi delle donne e che circa il 58% degli uomini e il 48% delle donne della popolazione soffrono di questa nuova fobia. Gli adolescenti, dunque, appaiono i soggetti prevalentemente a rischio di sviluppare questa nuova forma di dipendenza patologica.

Non bisogna, tuttavia, sottovalutare l’impatto che la tecnologia può avere anche nei soggetti di età infantile. Secondo una ricerca del 2012, oltre il 50% dei bambini tra i due e i cinque anni di età, sa già come giocare con un gioco per tablet di livello base, mentre appena l’11% di loro sa come allacciarsi le scarpe. Il pericolo non è tanto per l’utilizzo precoce di questi dispositivi, i quali possono essere anche importanti per sviluppare le capacità cognitive del bambino, quanto piuttosto il prolungato utilizzo di smartphone e tablet che, a lungo andare, potrebbe provocarne la dipendenza. Non vi sono attualmente ricerche che considerano l’utilizzo eccessivo dei cellulari da parte dei bambini un fattore predittivo di una futura Nomofobia in quanto la sindrome è nuova e ancora poco studiata, ciò però non toglie che un collegamento possa essere possibile o creare un fattore di fragilità.

Fonti:

State of Mind

Insidemarketing

ANSA Canale salute

Greenfield D.N., Davis R.A., Lost in cyberspace: the web @ work. Cyberpsychol Behav., 2002.

Bragazzi N.L., Del Puente G., Aiuto sono sconnesso! No.mo.fobia e altre dipendenze telematiche, Manfredonia, Andrea Pacilli Editore, 2016.

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