Il battito della follia. 4.48 Psychosis di Sarah Kane

Qual è il ritmo della follia? A farcelo scoprire è la drammaturga britannica Sarah Kane con la sua opera 4.48 Psychosis. Uno stream of consciousness spietato e nudo che mira dritto al lettore: punta il grilletto e tende la mano, alla ricerca di comunanza, vendetta e contatto.

In occasione del ventesimo anniversario della scomparsa dell’autrice, morta suicida nel 1999 all’età di 29 anni, il Teatro Out Off di Milano ha omaggiato la drammaturga portando in scena dall’ 8 al 27 gennaio 4.48 Psychosis. Ultimo testo dell’autrice, è un’opera dai tanti volti: manifesto poetico, epitaffio e testamento di vita. La Kane ci lascia in eredità un concentrato magmatico di rabbia, sofferenza, inadeguatezza e amore. Una ricerca, richiesta, lamento di amore che si fa strada, di pagina in pagina, in un accavallarsi labirintico di parole.

Esponente del cosiddetto in-yer-face theatre – corrente teatrale degli anni 90, caratterizzata dai contenuti forti, al limite e spesso detestati e considerati volgari dalla critica – Sarah Kane è autrice di cinque testi teatrali: Blasted, Pahedra’s Love, Cleansed, Crave e 4.48 Psiychosis. Suo anche un cortometraggio, Skin, prodotto dalla British Screen/Channel Four nel 1997. La sua prima opera, Blasted, porta già il marchio di fabbrica della Kane: temi forti e controversi, un linguaggio vigoroso, quasi violento, sempre denso di potere poetico.

Il contenuto bruciante e la ricerca di suono sono elementi che in 4.48 Psychisos, libero da ogni filtro e velo – l’opera è priva di didascalia e paratesto –, raggiungono il culmine e lo scritto si rivela in tutta la sua forza. Una preghiera poco convenzionale, un’orazione fragorosa dai toni potenti e dai ritmi perfetti. In questa monodia, a solo symphony, la Kane stringe un patto con il lettore, gli chiede aiuto per abbandonarsi a un atto d’amore bellissimo, commovente e totalizzante. L’atto d’amore più grande che c’è: si spalanca a noi e ci dona se stessa. Dono che sembra quasi la risposta alla domanda ricorrente che apre e chiude la piece:

«What do you offer your friend to make them so supportive?»

«Che cosa offri ai tuoi amici per renderli così solidali?».

Le pagine di 4.48 Psychosis rappresentano la struggle quotidiana a cui l’autrice è costretta, condannata – la Kane ha combattuto per anni contro la depressione. Ogni giorno è un travaglio che gode solo di un’ora e dodici minuti di lucidità:

«At 4.48
when sanity visits
for one hour and twelve minutes I am in my right mind
»

«Alle 4.48
quando la sanità mentale viene in visita
per un’ora e dodici minuti torno a essere lucida
».

Una sanità mentale tanto desiderata ma che subito si sfuma e diventata fantasma astratto, irraggiungibile e impossibile.

«Sanity is found in the mountain of the Lord’s house on the horizon of the soul that eternally recedes.»

«La sanità si trova nella montagna della casa del Signore, sull’orizzonte dell’anima che retrocede eternamente.»

Al punto che la differenza tra follia e saviezza si lima sempre più, fino ad annullarsi, per diventare «the chronic insanity of the sane» – «la follia cronica del sano». In 4.48 Psiychosis la Kane scardina i confini tra realtà oggettiva e soggettiva, tra razionale e irrazionale, abbatte ogni limite e tutto si compenetra:

«Psychiatrich voice of reason which tells me there is an objective reality in which my body and mind are one. But I am not here and never have been»

«La voce psichiatrica della ragione che mi dice che sono la realtà oggettiva in cui il mio corpo e la mia mente sono una cosa sola. Ma io non sono qui e non ci sono mai stata».

La mortalità diventa allora condizione impossibile da vivere; se soggettivo e oggettivo coincidono, la realtà sarà quindi infinitamente frammentata, quanto è irrimediabilmente frammentato l’ego:

«And my mind is the subject of these bewildered fragments»

«E la mia mente è il soggetto di questi frammenti sfasati»

«The piecemal crumple of my mind»

«Il frammentario spiegazzarsi della mia mente».

Il testo è percorso da domande incalzanti, martellanti, alle quali si alternano dialoghi serrati, monosillabici, in un ritmo frenetico e convulso, dove la forma aderisce completamente ai vortici interiori. Non ci sono spiragli tra interno e esterno, la materia di 4.48 Psychosis è tutt’una. La parola riveste e compenetra la materia viva. La scrittura quindi diventa espressione corrispondente al proprio cammino interiore attorcigliato, fino a farsi atto universale e voce corale:

«Just a word on a page and there is the drama.

I write for the dead 
the unborn»

«Una sola parola sulla pagina ed ecco il dramma

Io scrivo per il morto
il non nato».

La Kane soppesa e sceglie ogni parola con cura – perciò si ritiene fortemente auspicabile leggere l’opera in lingua originale –, all’interno di una perfetta simmetria di richiami e corrispondenze sonore. Le parole si muovono sulle pagine come urla, tra accelerazioni violente e momenti di bianca quiete. Parole che vanno a ritmo; a un ritmo perfetto.

«And this is the rhythm of madness.»

«E questo è il ritmo della pazzia.»

 


FONTI

Sarah Kane, 4:48 Psychosis, Bloomsbury, 2002.

Livia Grossi, Nella mente di Sarah Kane, Corriere della Sera.


 

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