Fuori dal corpo e dentro la mente

Oggi sentiamo parlare sempre più spesso di neuroscienze cognitive come ultima frontiera della scienza della mente che si occupa di capire le basi biologiche della coscienza ed i processi mentali attraverso cui l’essere umano percepisce, impara e ricorda. Il funzionamento della mente ed il suo rapporto con il cervello possono essere monitorati con l’utilizzo di tecnologie estremamente sofisticate, come quelle di neuroimaging, che osservano l’attività cerebrale di un cervello attivo mentre esegue dei compiti specifici. Dalle tecniche sperimentali di fine secolo a quelle innovative oggi in uso della risonanza magnetica o della tomografia a emissioni di positroni,  l’esplorazione della mente umana procede e vengono messe in relazione specifiche aree del cervello con il comportamento, le abilità e gli stati psicologici dell’individuo.

Si tratta di uno studio e una disciplina che coinvolge oltre agli scienziati anche i filosofi della scienza che contribuiscono a porre domande sulla natura della mente e della coscienza, seguendo un approccio fenomenologico di esperienza del soggetto per riformulare ipotesi sul concetto di coscienza e identità personale. Uno di questi studiosi, il filosofo tedesco Thomas Metzinger, propone la tesi provocatoria, basata su esperimenti empirici, secondo cui l’io psicologico sarebbe un oggetto fenomenico del sé attivato dal cervello per consentire all’organismo di concepire sé stesso e la sua interazione con l’ambiente. Una tesi che si basa su esperimenti condotti con l’utilizzo di illusioni percettive, create in determinate circostanze, come quella di potersi muoversi al di fuori del proprio corpo fisico.

Metzinger usa la metafora del “tunnel della coscienza” per descrivere l’esperienza cosciente che non è solo una costruzione interna dell’organismo biologico ma una modalità selettiva con cui le informazioni vengono rappresentate. Il cervello, sostanzialmente, simula al suo interno la coscienza e ciascuno vive la propria vita cosciente nel proprio “tunnel dell’io” di una realtà interna al cervello, temporale, come rappresentazione di una catena di momenti individuali. Metzinger non nega l’esistenza del mondo esterno, ma vuole mostrarci che siamo macchine evolute che possiedono un cervello in grado di modellare il mondo, capace di farci credere che percepiamo cose fuori di noi e che siamo in contatto con un io dentro di noi.

La sensazione di possedere il nostro corpo è fondamentale al nostro io per sentire di essere qualcuno. Tuttavia, questo senso di proprietà viene alterato e messo in discussione negli stati di Out of body experiences (OBE), ovvero le esperienze fuori dal corpo (EFC), che indicano la possibilità che possano esistere aspetti della natura della nostra coscienza ancora inesplorati dalla scienza. Le ricerche pionieristiche di Metzinger su questi stati, in cui una persona prova l’illusione molto realistica di abbandonare il proprio corpo fisico e di muoversi fuori da esso, cercano di rispondere al quesito che da tempo si pone la neuroscienza e la filosofia: come emerge l’autocoscienza? Il nostro senso del sé, che risiede nei nostri corpi ed è nelle nostre convinzioni assolutamente coincidente con essi, viene messo in discussione da questi fenomeni che sollevano interrogativi inquietanti sulla natura della nostra coscienza. Chi siamo? La nostra coscienza può esistere, pensare o agire indipendentemente dal cervello e dal corpo fisico?

Oltrepassando il concetto di spirito in senso religioso o di esperienza mistico trascendentale, Metzinger ha effettuato degli esperimenti su l’osservazione di stati alterati di coscienza, come la meditazione, il sogno lucido, le esperienze extracorporee, ma anche di sindromi psichiatriche (come quella di Cotard nella quale i pazienti arrivano a credere di non esistere), con l’utilizzo di corpi virtuali e arti fantasma. Le sue ricerche hanno spaziato dal fenomeno dell’illusione per un individuo di possedere una mano che in realtà è fatta di gomma come se fosse la propria, alla rappresentazione visiva di esperienze fuori dal corpo, in cui la persona si sente galleggiare e fluttuare nell’aria e si localizza nelle vicinanze – al di sopra o di fronte – del corpo fisico. In modo particolare per le EFC, la teoria di Metzinger su questo corpo etereo (associato dalle varie religioni all’anima, corpo sottile o astrale) è che si tratti di una pura informazione che fluisce dal cervello come modello cerebrale del sé.

Attraverso i suoi esperimenti di induzione alle esperienze fuori dal corpo, che in determinate condizioni sono sostenibili da tutti i cervelli degli esseri umani, Metzinger associa le EFC a spazi comportamentali e come simulazione cosciente del mondo organizzata spazialmente in terza persona e in cui sono contemporaneamente attivi due modelli del sé: il luogo di identità dove agisce l’entità e il corpo fisico che viene osservato dall’entità e che non corrisponde più al soggetto dell’esperienza cosciente.

René Magritte

Metzinger, che tra l’altro ha avuto modo di vivere personalmente situazioni di EFC, ha cercato di riprodurre queste esperienze, che possono accadere in circostanze particolari (durante il sonno, in anestesia di operazioni chirurgiche o durante la perdita di coscienza per incidenti), in un fenomeno replicabile in soggetti sani. Con le sue ricerche, effettuate in laboratorio con protocolli sperimentali e strumenti della realtà virtuale, ha cercato di dimostrare attraverso simulazioni di EFC come il sé osservante e il sé corporeo possano essere separati. Al fine di sostenere la sua teoria della conoscenza, Metzinger ritiene importante collocare queste esperienze EFC come il risultato di una elaborazione del cervello allo stesso modo di tutte le altre forme di esperienza che sono vissute dalla coscienza con la finalità biogenetica di una migliore gestione delle attività dell’organismo.

La coscienza quindi, per Metzinger, è l’apparire di un mondo, e il suo contenuto è in realtà un mondo simulato all’interno del cervello umano, che ricrea continuamente l’esperienza di un io presente in un mondo al di fuori del cervello. È grazie a questo modello fenomenico del sé (ovvero un meccanismo neurodinamico creato dal cervello) che facciamo esperienza della proprietà del nostro corpo e della nostra mente, dei pensieri e della volontà di compiere azioni. Come Metzinger riassume, si tratta di «un sé pensante che sarebbe nato da un sé corporeo con la simulazione dei movimenti corporei in uno spazio astratto e mentale».

Si tratta di una tesi affascinante ma che provoca parecchio scetticismo negli ambienti scientifici, anche se vi è una attenzione sempre più spinta verso l’indagine filosofica che superi i modelli dominanti della scienza ufficiale. Metzinger infatti – da filosofo della mente – concepisce la filosofia come un’attività in continuità con la scienza e nella quale si intrecciano molto strettamente la ricerca empirica e l’analisi concettuale, senza trascurare le implicazioni indotte da tale ricerca. D’altronde, come suggerisce alla fine del suo libro, la sua teoria della coscienza e le intuizioni sulla capacità di sviluppare nuovi strumenti sempre più sofisticati che possono alterare l’esperienza soggettiva, portano alla necessità di definire una nuova “etica della coscienza”. La scelta di privilegiare, coltivare o bandire determinati stati di coscienza impone la ricerca di una nuova filosofia etica (neuroetica) e una cultura della coscienza che proceda nell’esplorazione della mente e del cervello tramite l’utilizzo di tutti gli strumenti delle neurotecnologie. Tale ricerca dovrà quindi essere sostenuta dall’impegno etico, diretto a salvaguardare le finalità universali di ridurre la sofferenza cosciente nell’universo, aumentare l’autonomia dell’individuo e proteggerlo dalle crescenti possibilità di manipolazione.

 

 

 

Fonti:

Thomas Metzinger, Il tunnel dell’io, trad. di M. Baccarini, Raffaello cortina editore, Milano, 2015.

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