Non sono colui che credi. Perché oggi ha ancora un senso leggere Dante?

1321-2021. Sono passati ormai quasi 700 anni dalla morte di una delle pietre miliari della letteratura italiana. Ebbene sì, nel 2021, tra poco più di 2 anni, celebreremo l’anniversario della morte di Dante Alighieri. Proprio in occasione di questa importante ricorrenza l’intero mondo accademico si sta muovendo e organizzando eventi, conferenze, progetti e molto altro. L’Università degli Studi di Milano non poteva astenersi dal partecipare a questa celebrazione che sta raggiungendo ormai i caratteri di un giubileo. È proprio all’interno dell’ateneo milanese che nasce il gruppo di ricerca Coordinate Dantesche, nel quale operano filologi, italianisti, linguisti e mediolatinisti. Tutte discipline che ci aiutano, adottando diverse prospettive e punti di vista, a riscoprire l’opera dantesca.

Obiettivo del gruppo? Sviluppare negli anni che precedono le celebrazioni del 2021 una serie di iniziative dantesche con uno sguardo innovativo, che le renda in qualche modo riconoscibili tra le molte iniziative che ruotano intorno al centenario e che sia allo stesso tempo coerente con la missione dell’Università. Una delle iniziative proposte riguarda il ciclo di incontri dal titolo Non sono colui che credi. Questa serie di conferenze offre la possibilità di approcciarsi all’opera dantesca con una prospettiva inedita, in linea con gli obiettivi che si pone il gruppo. Il titolo scelto è tratto dal XIX canto dell’Inferno e vuole ancora una volta sottolineare come l’opera di Dante non si limiti unicamente agli aspetti più comunemente noti ma racchiuda in realtà molto altro.

L’incontro Attualità del pensiero politico di Dante, tenuto nel mese di dicembre presso l’Università degli Studi di Milano dal docente Paolo Chiesa, in particolar modo ci porta a considerare l’opera dantesca sotto una luce diversa. Infatti non è possibile considerare Dante solo e unicamente in quanto letterato. La componente politica rappresenta un elemento essenziale sia nella sua opera sia nella sua biografia. La politica appare in modo trasversale in quasi tutta l’opera dantesca, mentre costituisce l’argomento principe del De Monarchia. Nei tre trattati che compongono il corpus Dante si pone principalmente tre domande. Per ognuna delle tre parti cerca di dare delle risposte ricorrendo ad argomentazioni sia di tipo filosofico che di tipo teologico.

Appare chiaro che l’opera non può a oggi essere considerata attuale. È un testo figlio del suo tempo, che rispecchia la visione e la realtà di un’epoca molto distante dalla nostra. Il Medioevo è infatti un periodo storico che poco condivide per credenze, convinzioni e prospettive con l’epoca in cui stiamo vivendo. Certo non ci appartiene più quel modo di vedere la realtà e di interpretarla attraverso il filtro della religione. Così non si può più ritenere valida la trattazione di Dante poiché basata su uno scenario politico, storico e sociale totalmente diverso da quello odierno.

Queste considerazioni sono corrette se ci si attiene, come si dovrebbe fare, a una lettura prettamente filologica dell’opera. Ma siccome le “grandi opere” sono ritenute “grandi” proprio in vigore di ciò che esse possono dire al lettore in qualsiasi epoca, attraverso i secoli e gli scenari, è possibile trarre comunque degli importanti insegnamenti. Se si pongono in secondo piano gli elementi che ci appaiono oggi più anacronistici, si nota come ancora nel 2019 Dante sia capace di parlare al lettore moderno.

Una delle prime questioni poste nel De Monarchia, trasversale in tutta l’opera dantesca, è quella della suddivisione dei poteri. Se per la maggior parte dell’opinione pubblica e il senso comune, sembra ormai scontato che potere religioso e potere politico debbano essere esercitati da due entità diverse e indipendenti, ancora oggi si riscontrano situazioni poco chiare in cui l’uno e l’altro potere finiscono per esondare. I confini tra trono e altare spesso non sono così netti come si nota per esempio in certi scenari politici.

Senza andare troppo lontano, in Italia si possono osservare situazioni in cui religione e Stato sembrano fondersi e dimenticare quale sia la loro reciproca giurisdizione. Non sempre appaiono interdipendenti e svincolati l’uno dall’altra, forse eccessivamente accomunati in seguito a secoli di confusione e condivisione. Anche in altri casi, possiamo osservare una rischiosa sovrapposizione. Nonostante esistano paesi definiti “a democrazia islamica”, ci sono invece altri stati in cui l’Islam è sinonimo di teocrazia e in questi casi si può osservare la perfetta coincidenza tra potere politico, legislativo e spirituale. Forse in casi come questi la rilettura dell’opera dantesca, nonostante il suo anacronismo, potrebbe aprire gli occhi a molti su rischi e problematiche di governi che si conformano al modello medievale.

Una seconda importante questione riguarda l’egualitarismo. Può essere Dante, uomo del Medioevo e figlio del suo secolo, considerato egualitarista? Probabilmente questa definizione non è quella che più lo caratterizza. Ma ancora una volta è possibile trarre un insegnamento fondamentale dalle sue parole.

«Sembra che tutti gli uomini che sono stati indotti dalla natura superiore ad amare la verità si riconoscano in questo supremo dovere: come si sono arricchiti del lavoro degli antichi, così dovrebbero lavorare essi stessi per i posteri, affinché essi stessi ricevano da loro nuova ricchezza. Infatti è ben lontano dal compiere il proprio dovere chi, informato di questioni sociali, non si preoccupa di recare un contributo allo Stato.»

Nell’incipit del De Monarchia Dante sostiene che coloro che la natura (cioè Dio) ha dotato di qualità superiori hanno il dovere di adoperarsi affinché i posteri si arricchiscano così come loro si sono arricchiti grazie agli antichi. La convinzione alla base di tutto ciò non fa intendere al lettore che tutti gli uomini sono uguali, tutt’altro. Tutti gli uomini sono diversi, profondamente diversi tra di loro. Non per un loro merito ma perché la Provvidenza ha dato ad alcuni maggiori capacità, ad altri meno. Alla luce di questa casualità, coloro che meglio si posizionano nella scala sociale hanno il dovere di adoperarsi per quelli che invece sono in basso.

La diseguaglianza allora esiste, e deve essere compensata con il maggior impegno da parte dei fortunati che hanno avuto in dono più di altri. L’egualitarismo si pone dunque qui come un principio unificatore, collante nel mare della diversità. Niente potrebbe essere oggi più attuale: la diversità può essere una risorsa e l’uguaglianza una conquista.

Nonostante la distanza storica che separa il 2019 da Dante e dal tempo in cui visse, una rilettura più attenta e forse in parte decontestualizzata delle sue opere può portare l’uomo moderno a importanti riflessioni che vanno da tematiche prettamente istituzionali a temi che invece riguardano l’umanità in quanto tale. E sono proprio iniziative come quella promossa dall’Università degli Studi di Milano e dal gruppo Coordinate Dantesche a fornire l’opportunità di riavvicinare il lettore a opere che sembrano ormai desuete ma che in realtà non finiranno mai di dire qualcosa di grande.

 


FONTI

UniMi

Interno

Brain Mind Life

Coordinate Dantesche

De Monarchia, Dante Alighieri, a cura di F. Sanguineti, Garzanti, 2006

 

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