Alla scoperta di Milano città d’arte attraverso dieci opere

Milan l’è semper Milan. Milano è molte cose, dalla città della moda e del design alla città Expo del 2015. Inoltre è anche un luogo d’arte, come tutte le città della nostra penisola. Le opere ospitate nel capoluogo lombardo sono molte e disperse negli innumerevoli musei, nelle case-museo e nelle fondazioni. Negli ultimi anni i meneghini hanno riscoperto il loro patrimonio artistico sostenendo iniziative dirette alla sua diffusione e invitando alla frequentazione dei siti d’arte. 

Il Duomo

Mediolanum è stata una città medievale molto importante nella storia europea e italiana, soprattutto come città comunale a partire dal XII secolo. Le grandi trasformazioni politiche dei secoli centrali dell’epoca medievale portarono il comune a una trasformazione politica ed economica importante. I milanesi si impegnarono in una delle opere più famose dell’arte gotica: il Duomo, dedicato al culto mariano. La volontà della città di restaurare la Chiesa di Santa Maria Maggiore diede vita al grande e lungo cantiere del Duomo che, di fatto, conservò soltanto l’altare della prima chiesa come simbolo di continuità. Dopo la perdita delle libertà comunali a vantaggio della famiglia Visconti, i cittadini vollero mostrarsi forti e difensori della propria politica attraverso una realizzazione monumentale nel già centro cittadino. Il grande cantiere venne aperto nel 1386 e coinvolse le risorse e le abilità degli abitanti di Milano e dei dintorni, fino all’apertura delle cave di Marmo di Candoglia (tutt’ora attive) e allo sfruttamento intensivo del Naviglio. Ben presto l’orgoglio cittadino, riflesso nella capacità organizzativa della Veneranda Fabbrica del Duomo (ancora esistente), entrò in contrasto con la politica centralista viscontea che inaugurò la costruzione della Certosa di Pavia con l’intento di celebrazione dinastica. 

L’Ultima Cena

Tra i rappresentanti d’arte giunti a Milano a cavallo tra la fine dell’epoca e il Rinascimento si colloca l’operato ventennale di Leonardo Da Vinci, che fu uno degli ingegneri dei Navigli. Proprio quest’anno verranno ricordati i cinquecento anni dalla sua morte. L’Ultima Cena venne commissionata dal signore di Milano Ludovico il Moro e realizzata tra il 1495 e il 1498 nell’aula dell’ex-refettorio del convento e santuario di Santa Maria delle Grazie. L’opera, com’è noto, è sottoposta a continui controlli di restauro a causa della sua tecnica di realizzazione: pittura a secco su intonaco. La fragilità dell’affresco fu fin da subito evidente a Leonardo e infatti l’opera è tuttora soggetta a uno dei restauri più impegnativi e duraturi di sempre. Una delle particolarità caratteristiche dell’Ultima Cena è la resa della figura centrale di Gesù Cristo. Il protagonismo del personaggio è sottolineato da una precisa composizione architettonica sia dell’ambiente che delle restanti figure.

Lo sposalizio della Vergine

La Pinacoteca di Brera è un luogo importante perché cuore dell’omonimo quartiere e sito a capo del liceo artistico e dell’Accademia di Belle Arti milanese. La Pinacoteca è stata recentemente rinnovata e ospita molte importanti opere tra cui il Cristo morto del Mantegna, la Cena in Emmaus di Caravaggio e Il bacio di Hayez. Tra queste è conservato anche Lo sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio. Risalente al 1504, la pala segna un importante momento di cambiamento nel corso artistico del pittore che entra nella sua stagione matura. Lo Sposalizio ricorda l’arte classica nella raffigurazione dei personaggi e dell’ambiente. La resa prospettica della scena ha la capacità di coinvolgere l’osservatore immediatamente partecipe al momento dell’unione di Maria e Giuseppe.

Nel cuore di Milano, la Pinacoteca di Brera

Ritratto di Giovane Dama

La quarta opera è il simbolo di uno dei musei della zona centrale. Ritratto di Giovane Dama è diventata l’icona del Museo Poldi Pezzoli grazie a una trasposizione dell’artista Italo Lupi, mentre il quadro è di Piero del Pollaio. La nobilissima figura rappresentata è di una giovane donna che esprime il ceto sociale attraverso il proprio abbigliamento e i gioielli. Realizzato tra il 1470 e il 1472, il ritratto s’ ispira alla pittura fiamminga per il gioco di luci utilizzato mentre il personaggio immortala la moda e l’aristocrazia italiana dell’epoca.

Federico Borromeo

Nell’età barocca Milano fu sotto il dominio politico spagnolo e il movimento artistico dell’epoca conobbe uno sviluppo significativo. L’opera che ora ricordiamo è doppiamente degna di nota perché celebra un personaggio importantissimo per gli avvenimenti a lui contemporanei e per la storia di Milano: il cardinale Federico Borromeo. Il suo celebre ritratto di Giulio Cesare Procaccini è situato nel Museo diocesano, aperto nel 2001 ma fortemente voluto già negli anni Trenta del secolo scorso da un altro cardinale-simbolo della città: Ildefonso Shuster. Figlio di due delle casate aristocratiche storiche di Milano (i Borromeo e i Trivulzio), il cardinale venne immortalato nel 1610 in tutta la serietà del suo personaggio, capace di disciplinare il clero e di essere partecipe come ecclesiastico a quell’evento di massima importanza per la storia della Chiesa di Roma: il Concilio di Trento. Federico Borromeo fa parte dell’immaginario collettivo della storia di Milano anche grazie al ruolo assegnatogli da Alessandro Manzoni nel romanzo I Promessi Sposi, in cui celebra la rettitudine del cardinale e la sua benevolenza; proprio come vuole esprimere il quadro.

Palazzo Serbelloni

Milano, geograficamente vicino alla Francia e in generale all’Europa, visse un’intensa stagione intellettuale nel XVII secolo. La città era pronta a recepire il messaggio dell’Illuminismo e tra produzioni come «Il Caffè», curato dai fratelli Verri, e Dei delitti e delle pene di Beccaria, si distinse per la presenza di una borghesia vivace e intraprendente. Palazzo Serbelloni, appartenente all’omonima famiglia, venne vissuto nel suo splendore da questi personaggi, e altri ancora: Giuseppe Parini, Napoleone I e III, il principe di Metternich e Vittorio Emanuele II. L’atmosfera del palazzo sembra riportare il visitatore a quei giorni fatti di caffè fumante per accompagnare i dialoghi degli invitati di feste e balli, per mettere in mostra i propri vestiti e casata. La rifinitura delle decorazioni degli ambienti principali esprimono la raffinatezza della famiglia che utilizzò la propria dimora come simbolo e residenza stabile. Come ogni casa di aristocratici del XVII secolo, vi era anche un giardino ampio che oggi viene a mancare a causa dell’utilizzo urbanistico fatto per aprire l’accesso anche su via Mozart, dove ha sede un altro importantissimo edificio di epoca successiva: Villa Necchi Campiglio (XIX secolo e con importanti disegni dell’architetto Piero Portalupi). La storicità del palazzo è stata messa anche in relazione al presente della città di Milano nell’essere stato spazio del Fuorisalone; nel 2018 accanto ai lampadari settecenteschi sono state posizionate delle opere luminose moderne caratterizzate da colori vivaci.

Il cortile di Palazzo Serbelloni, ormai tra i ”luoghi” della moda della città

Centrotavola di Napoleone

Una chicca che si può trovare a Milano come testimonianza storica delle grandi personalità che hanno calpestato le vie del centro cittadino è il centrotavola che venne realizzato appositamente per l’arrivo del grande Napoleone Bonaparte. Ormai distinto personaggio e noto a tutta Europa, già vincitore nella sua campagna in Italia, Napoleone arrivò trionfante a Milano proprio nel periodo in cui prendevano forma definitiva le province italiane direttamente legate allo stato francese e veniva iniziata la stesura dei celebri codici del futuro imperatore.

Risalente al 1804, il centrotavola è di notevole lunghezza e composto da materiali pregiati. L’intento è quello di celebrare i fasti dell’età antica che vengono ripresi in occasione della nascita di un nuovo impero. Questo gioiello si trova all’interno delle stanze di Palazzo Reale che fu residenza di Napoleone, principi austriaci e spagnoli prima, Visconti e Sforza in origine.

Sotto l’influenza francese, venne realizzato anche l’Arco della Pace, simbolo molto più conosciuto della città e di perfetta collocazione perché in prospettiva guarda direttamente al parco Sempione e al Castello Sforzesco che nasconde il Duomo di Milano. Tutta la traiettoria infine indica la direzione verso il percorso maestro che conduce al cuore dell’Europa: la Francia.

Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini bambina

La GAM, propriamente detta Galleria d’arte moderna di Milano, presenta una delle più importanti e complete collezioni per conoscere l’arte lombarda del XIX secolo. La stessa sede della Galleria risale all’epoca Neoclassica, quando venne fatta edificare dall’importante famiglia Belgioiso nel centro storico della città. La villa venne costruita tra il 1790 e il 1796 e successivamente divenne polo museale per volere degli stessi cittadini. Tra le opere custodite vi sono degli importanti lavori di ritrattistica del già citato Francesco Hayez. Tra le tre, una è dedicata ad Alessandro Manzoni, allora già famoso e uomo maturo, e un’altra è il ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini bambina, commissionato dal nobile padre nel 1858.

Quest’opera viene ricordata perché la bambina non fu costretta a posare per l’artista, che decise invece di utilizzare come modello delle fotografie. Quest’ultime mostravano un senso di smarrimento nella piccola che Hayez non volle nascondere ma riproporre, allontanandosi dai canoni di ritrattistica infantile tradizionale che richiedevano la serenità nel volto del giovane protagonista del dipinto.

Nel 1982, in occasione del ricordo del pittore, vennero emessi dei francobolli ufficiali di Poste Italiane che riproducevano il ritratto; infatti Francesco Hayez fu importante sia a livello artistico che politico-culturale nella storia del paese avendo raffigurato la drammaticità, la speranza e la forza del Risorgimento italiano. Alla morte del pittore, originariamente nato a Venezia, la sua salma venne collocata nel più illustre cimitero della città: il Monumentale. Infatti Hayez passò molto tempo della sua vita nel capoluogo lombardo dove divenne anche insegnante presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera. Sottolineiamo che presso il monumentale riposa anche Alessandro Manzoni, ricordato da un’opera scultorea funebre imponente.

Il Quarto Stato    

Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo è conservato al Museo del Novecento e in occasione di Milano Museo City di quest’anno è stato l’ispiratore della creazione del visual show Il Quinto Stato, Milano, città di musei, realizzato dal già citato Palazzo Reale. È un omaggio alle opere che hanno attraversato i secoli e gli stili divenendo celebri e gioiello della comunità milanese. La video installazione è stata collocata, per tutto il mese di marzo, nell’affascinante Sala delle Cariatidi. Quest’ultima fu progettata da Piermarini e fu prima una sala teatrale e poi sala da ballo frequentata dalle corti spagnole, austriache e francesi. La Sala delle Cariatidi venne utilizzata nel periodo francese per l’incoronazione di Napoleone.

Torniamo al Quarto Stato. L’opera venne realizzata dopo varie prove e bozzetti e un quadro precedente (Fiumana), ma l’ispirazione venne dalla partecipazione visiva a una manifestazione di protesta da parte di un gruppo di operai nel 1891. Siamo nell’Italia post-unitaria che si avvia all’età contemporanea insieme a tutto il resto d’Europa inaugurando il periodo giolittiano che darà sfogo alle prime manifestazioni e scioperi che impauriscono la classe dirigente per le progressive conquiste della classe lavoratrice. Pellizza lavorò al bozzetto degli Ambasciatori della fame restituendoci una visione di taglio cinematografico che rimanda all’impressione esperienziale che lo stesso artista deve aver provato. L’avanzamento della folla, di quel nuovo soggetto massa, avviene con determinazione e preceduto solamente dal carico storico-culturale che la classe lavoratrice italiana dell’epoca portava con sé. I braccianti avanzano con determinazione ma non violenti e la presenza della donna, con il bambino e la sua gestualità nell’invito della folla a seguirla, esprimono la storicità della grande opera.

I Sette Palazzi Celesti

Arrivando ai giorni nostri, abbiamo scelto uno dei musei più innovativi: il Pirelli Hangar Bicocca. Il quartiere della Bicocca, rivalutato negli ultimi anni e divenuto sede dell’omonima università, non ha rinnegato la sua tradizione commerciale, come dimostra la presenza del Pirelli. Il museo è gratuito e con un’ottima offerta d’intrattenimento per bambini, e vanta la presenza di artisti internazionali ogni anno e stagione. Tra questi vi è l’artista di un’opera permanente e oramai divenuta iconica: i Sette palazzi celesti di Anselm Kiefer. L’opera è stata realizzata specificatamente per il sito nel 2004 ed è di forte impatto sui visitatori. Infatti si tratta di un complesso di sette torri di altezza variabile tra i 14 e i 18 metri. Ogni torre ha un peso di novanta tonnellate ciascuno a causa della realizzazione in cemento armato ed elementi in piombo. Oltre alla monumentalità, l’opera ricorda alcuni tratti specifici della tradizione ebraica, infatti ogni torre ha un proprio nome e significato.

I Sette Palazzi esposti permanentemente all’Hangar Bicocca

 


CREDITS

Copertina by Lo Sbuffo

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