L’amore filosofo: quando amore e filosofia si intrecciano

L’esperienza amorosa è ritenuta da tutte le persone, quasi senza eccezione, l’esperienza universale per eccellenza. Dell’amore si tratta in filosofia sin dai tempi più lontani e basterà citare il Simposio o il Fedro di Platone. Amare ed essere amati, secondo i filosofi che parlano dell’amore dopo averlo sperimentato, è quanto si discute in un libro di Manuel Cruz, L’amore filosofo. Questo filosofo Spagnolo ci introduce all’idea dell’amore, dell’esperienza amorosa e alla domanda di come hanno amato i filosofi che riflettono sull’amore: la filosofia ha prestato sufficiente attenzione all’amore?

Nel suo libro Cruz ricostruisce, attraverso le varie epoche, le vicende amorose di alcuni importanti filosofi e pensatori nel tentativo di disegnare una filosofia della storia dell’amore attraverso i loro scritti e le loro esperienze personali, dedicandoli a coloro che amano perché conoscono il segreto.

La scelta dei personaggi spazia nelle differenti visioni del mondo antico, medievale, moderno e contemporaneo. Il suo percorso filosofico si snoda dal modo di concepire l’amore per il filosofo greco Platone, sino all’analisi del pensatore francese Michel Foucault sul difficile amore tra eguali. La panoramica storica poi include Sant’Agostino e Spinoza, l’amore di Abelardo ed Eloisa e il rapporto di altre coppie di celebri filosofi come Nietzsche e Lou Andreas Salomè, Sartre e Simone de Beauvoir, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Su di essi Cruz si sofferma a dipanare il filo della sua critica e di come attraverso le loro esperienze e i loro scritti arrivano ad incidere sul nostro presente.

Il saggio parte ovviamente da Platone e dalla concezione platonica dell’amore che emerge dai suoi dialoghi. Inizia con l’esposizione della sua teoria della divisione dell’anima in tre parti, razionale, irascibile e concupiscibile, espressa dal Fedro, e nel mito della biga alata trainata dai due cavalli e tenuti dall’auriga che ne dovrebbe governare l’educazione al desiderio. Nel Simposio poi approfondisce il concetto di amore come eros e passione e definisce l’amore come “un parto della bellezza, sia secondo il corpo sia secondo l’anima”. Ma oltre la bellezza dei corpi c’è la bellezza dell’anima e ancora oltre c’è quello della conoscenza, in una scala di contemplazione che arriva fino al bello in sé, come idea appunto. Accanto a questo amore sublime c’è quello che Platone chiama mania, come una follia amorosa di origine divina. Si giunge in questo modo all’ideale platonico, amando le persone buone e belle, senza abdicare alle capacità razionali ma nella metamorfosi delle volontà di aspirare alla bellezza delle anime, come nuovo valore, che viene cercata dagli amanti più perfetti. Su questo impianto idealistico la riflessione di Cruz è quella di amare ed essere amati dove non si pone il prerequisito della corrispondenza tra gli amanti e in cui si esplica l’esempio del dono: l’amato è felice di donare non di ricevere doni, è dimenticarsi anche per un solo momento del proprio io.

Il medioevo viene rappresentato con lo scandaloso amore eretico ed erotico di Abelardo ed Eloisa. La passione fisica e sentimentale tra il già famoso filosofo e teologo quarantenne e la giovane ragazza è una storia piena di vicissitudini che si fa tragica e in cui Il rapporto intellettuale con l’attraente allieva si trasforma nel breve in una profonda sensualità. Si tratta di una vicenda che non precorre i tempi moderni ma evidenzia la rinuncia femminile di Eloisa a vivere quell’amore per consentire ad Abelardo di continuare ad essere uomo di studi. La nascita del figlio, la fuga in Bretagna, Il matrimonio consumato in segreto e poi vendicato dalla famiglia di lei fino alla vergogna dell’evirazione di Abelardo, si conclude nel tragico epilogo di Eloisa rinchiusa in un convento come badessa. Abelardo riscriverà la sua potente passione nella Storia delle mie disgrazie mentre Eloisa invierà ad Abelardo lettere appassionate in cui non rinnegherà mai il suo amore. Il loro scambio epistolare rimane la testimonianza di una passione, un innamoramento e un erotismo fisico e spirituale inedito per quei tempi.

Antonio Canova, Amore e Psiche (1793), museo del Louvre, Parigi

Tuttavia l’attenzione di Cruz si sposta sull’importanza dei corpi come occasione per il godimento, ma che nel tempo lascia che sia solo il desiderio a conservare la memoria del corpo, proprio e altrui, così come la parola è quella che conserva la memoria dell’anima. Il corpo ricorda quello che ha conosciuto ed un tempo è stato suo o ha posseduto: la fisicità dei suoi contorni, il suo fresco profumo, la lucentezza della pelle sui corpi, la cui memoria mantiene il coraggio della promessa di un desiderio eterno.

Lou von Salomè, vissuta nell’Ottocento, era una donna di una bellezza magnetica e dotata di una ottima istruzione filosofica e teologica tale da metterla in contatto con i migliori uomini dell’intellighenzia del tempo. Dopo una relazione intellettuale col filosofo tedesco Paul Rée, discepolo di Schopenhauer, conosce Friedrich Nietzsche che si invaghisce anch’esso di lei. Entrambi i filosofi, che le chiedono di sposarla, vengono però rifiutati e invitati da Salomè a far parte di una “trinità intellettuale”, poiché l’attrazione della donna per i due filosofi tedeschi non è fisica ma puramente intellettuale. Il tentativo è destinato a fallire e spinge Nietzsche, deluso dal rifiuto di Lou, a ritirarsi a Rapallo dove inizierà la stesura di Così parlò Zarathustra.   Dopo di loro, Salomè lascerà una scia di parecchi pensatori e filosofi, diversi dei quali suicidi, annientati per il suo rifiuto di voler vivere in libertà la sua vita sentimentale con amori e attrazioni passionali che coinvolgeranno anche il poeta Rainer Maria Rilke e Sigmund Freud. La sua figura rimane ancora oggi avvolta dal mistero di come così tanti uomini eccezionali siano arrivati al punto di struggersi d’amore e spesso di morirne, ma anche, folgorati dalla sua seduzione, spinti a produrre opere di grande valore intellettuale.

Anche Nietzsche, nella sua vita sempre circondato da donne, viene irretito dal fascino di Lou che conosce a Roma nel 1882 in San Pietro. Egli capitola subito di fronte all’intelligenza di lei identificandola nei momenti di massima esaltazione cerebrale come un’anima gemella, in uno svolgimento passionale in cui la sfera amorosa non viene mai separata da quella intellettuale. L’incomprensione di Nietzsche per gli ostinati rifiuti di lei ad un loro matrimonio e dopo l’idillio passionale con lo scandalo di una convivenza di pochi mesi con Lou e Paul a Milano e in Svizzera, lo portano, al culmine della gelosia e della delusione, ad abbandonarsi all’isolamento per recuperare il proprio io perduto.

È su questa complessa vicenda esistenziale che Cruz imposta la sua riflessione sulla promessa impossibile di amore eterno. L’amore come perenne creazione e conservazione intenzionale di ciò che amiamo è anche il mezzo per sapere qualcosa di sé stessi che viene data come forma di esperienza attraverso l’altro. Quando l’amato scompare o se ne va e lo perdiamo. esso porta via con sé qualcosa di sostanziale della nostra realtà personale. La loro morte è simbolicamente il nostro suicidio per la perdita del nostro io non più recuperabile o la difficile risalita dalla sua dissoluzione, per chi osa tristemente raccontarlo dopo averlo recuperato.

Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre a Pechino

La contemporaneità del Novecento ci viene presentata da Cruz con la coppia filosofica di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir durata per oltre cinquant’anni, senza sposarsi né convivere e con un accordo di reciproca infedeltà, come antitesi al matrimonio borghese e le sue ipocrisie. Circondati da una folta presenza di discepoli e amanti vivranno le loro passioni, Simone senza distinzione tra uomini e donne, mantenendo ininterrotto il filo della loro relazione, vissuta sul doppio binario del loro amore necessario e di quello contingente senza importanza. La Beauvoir estremamente anticonformista e femminista, fu una delle prime intellettuali a teorizzare la necessità delle donne di ribellarsi al loro destino biologico ed alle convenzioni sociali. Sartre non potrà che accettare le sue condizioni, rimanendo comunque sempre dipendente dal suo giudizio intellettuale a cui sottoporrà ogni sua opera. Lei gli rimarrà accanto sino alla sua morte, pur dandogli del Lei in pubblico per tutta la vita, mentre lui le scriverà parole come: “la mia vita non appartiene a me solo, voi siete me, l’essere stesso del mio essere, il cuore del mio cuore”.

Rimangono un esempio di coppia aperta unita nel pensiero, che filosofano l’uno sull’altro e in cui la loro necessità sentimentale mette in primo piano la complicità intellettuale e la sintonia spirituale rispetto alla routine di coppia convenzionale. Lei scriverà un‘opera importante sul tema dell’amore, Il secondo sesso, in cui espone la sua filosofia coerente con le sue scelte di vita come donna. Sartre parlerà dell’amore nella sua opera filosofica L’essere e il nulla, senza però avere una idea precisa dell’amore e di un suo modello da difendere, se non quello “dell’impegno non impegnato” vissuto appunto con la Beauvoir.

Nel suo saggio Cruz si prefigge di individuare anche le incongruenze tra la vita e il pensiero degli autori che tratta, e in cui la relazione di Sartre e Beauvoir emerge come esempio di immoralità soprattutto nei confronti di Sartre. Egli, infatti, da convinto moralista volle giustificarsi delle numerose relazioni, avute con molte donne che poi abbandonerà in modo disinvolto, etichettandole, appunto ipocritamente, come una “morale transitoria”.

Una ricerca della contraddizione che Cruz evidenzia, per altri versi, anche in un’altra celebre coppia di amanti filosofi, Hannah Arendt e Martin Heidegger. La Arendt, allieva diciottenne alle sue lezioni all’Università di Marburgo nel 1924, si innamora di questo filosofo trentaseienne sposato e con figli. Colti dalla passione dell’amore e uniti dal fascino del pensiero filosofico vissero però la loro relazione in clandestinità e in un intreccio di felicità e tragedia. Lei ebrea costretta all’esilio, lui accusato di simpatie filonaziste e antisemite, avranno vite lontane e diverse pur mantenendo dentro di sé viva la fiamma dell’amore impossibile, come emerge dai loro carteggi. Hannah diventerà filosofa e giornalista, con due matrimoni e un grande amore vissuto nell’oscurità che avrebbe potuto annientarla e da cui si proteggerà solo col suo secondo felice matrimonio. Le molteplici zone d’ombra, sotto cui si svolge la vicenda amorosa tra i due filosofi, lasciano trapelare le tre fasi in cui si sviluppò il loro rapporto: gli anni in cui furono amanti clandestini, l’allontanamento e la questione antisemita (che Heidegger cercò inutilmente di negare) e la ripresa dei contatti nel 1950 fino alla morte di lei nel 1975, e a distanza di pochi mesi quella di lui.

Cosa distingue questa storia di passione sentimentale e intellettuale dalle migliaia di infatuazioni che allieve e allievi hanno per i loro docenti? Forse la differenza sta nel coraggio che fa perdonare alla Arendt le debolezze e le vigliaccherie di un uomo isolato nella sua baita nella foresta nera sotto l’influenza dominante di una moglie possessiva. Una prova che è il frutto proprio dell’amore che rimane nonostante tutto. Essa stessa, infatti, rispondendo ad una giornalista, sul suo rapporto col filosofo tedesco, dichiarerà di aver perdonato per amore l’affiliazione nazista di Heidegger: “L’Amore è quello che fa perdonare molte cose.”

Si tratta di due esistenze consapevoli della passione del pensiero che richiede l’ancoraggio dell’amore, anche come dimensione materiale, per non cristallizzarsi nella solitudine di chi pensa. Per la Arendt, infatti, la vita interiore acquisisce realtà solo quando viene allo scoperto e si mostra in una forma pubblica. Non farlo significa rinunciare alla propria specificità nel mondo e (come un rimprovero ad Heidegger) nel non lasciare apparire i nostri sentimenti.

Su queste affermazioni Arendtiane si sovrappone la riflessione di Cruz che mostra la solitudine come “l’esperienza, spesso insopportabile, di non contare per coloro che contano per noi” e, detto altrimenti, nella forma più crudele di sentirsi soli quando “non contiamo nel modo in cui vorremmo contare per coloro che contano per noi”. La parte ineludibile di solitudine, connaturata al fatto di vivere con altre persone, riguarda certamente anche il rapporto amoroso. Allo stesso modo di come viene esemplificato nella concezione della Arendt che amorevolmente giustificava anche l’isolamento in cui si era rinchiuso Heidegger. Il suo pensiero si espresse nella nota dichiarazione d’amore indiretto che fece per lui, capace di cogliere la sintonia intellettuale che ancora li univa: “nella sua vita con gli altri si deve nascondere da loro e non può contare nemmeno su sé stesso per quello che fa, in definitiva non è solitario, ma solo”. Radicalmente solo, aggiunge e sottolinea Cruz.

 

FONTI:

Manuel Cruz. L’amore filosofo, trad. di F. Niola, Einaudi, Torino, 2015

Platone, Fedro, Feltrinelli, Milano, 2013

Platone, Simposio, Adelphi, Milano, 1979

Pietro Abelardo, Storia delle mie disgrazie – Lettere d’amore di Abelardo ed Eloisa, Garzanti, Milano, 2007

Lou Andreas Salomè, Ricordando la mia vita, trad. U. Olivieri, Castelvecchi, Roma, 2015

Simone de Beauvoir, La cerimonia degli addii, trad. E. De Angeli, Einaudi, Torino, 2008

Antonia Grunemberg, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Storia di un amore, trad. U. Gandini, Longanesi, Milano, 2009

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