Xenofemminismo, ovvero il femminismo inclusivo di cui avevamo bisogno.

È il 2015 e il collettivo femminista Laboria Cuboniks (del quale fan parte Amy Ireland, Diann Bauer, Helen Hester, Katrina Burch, Lucca Fraser e Patricia Reed) pubblica il Manifesto dello Xenofemminismo, «una politica per l’alienazione», che promuove

«un futuro nel quale la realizzazione della giustizia di genere e l’emancipazione femminista contribuiranno a una politica universalista assemblata a partire dalle esigenze di ogni essere umano, trascendendo razza, (normo-)abilità, capacità economica e posizione geografica».

Alcuni anni dopo, nel 2018, Helen Hester riprende alcuni dei concetti del Manifesto e pubblica il saggio Xenofemminismo, edito in Italia da Produzioni Nero e uscito lo scorso Dicembre. Hester – professoressa in Media e Comunicazione alla University of West London e fondatrice del collettivo Laboria Cuboniks – approfondisce alcune delle premesse espresse nel Manifesto, toccando le tematiche che, tra tutte quelle trattate dal collettivo, le stanno più a cuore.

Parlando di Xenofemminismo si intende una forma di femminismo tecno-materialista, anti-naturalista e abolizionista del genere che considera

«la tecnologia (le famose tecnologie di riproduzione assistita, ma anche alcune forme di automazione domestica e informatizzazione industriale) come il fulcro degli sforzi di trasformare le condizioni socio-biologiche oppressive».

Secondo i principi basilari del movimento infatti, non bisogna credere nel naturalismo che vede la realtà come qualcosa di fisso, permanente o “dato”, sia per quanto riguarda le condizioni materiali, sia nel caso delle forme sociali:

«Chiunque sia stat* ritenut* “innaturale” a fronte delle norme biologiche dominanti, chiunque abbia sperimentato le ingiustizie compiute in nome dell’ordine naturale, si renderà conto che il culto della “natura” non ha nulla da offrirci – le persone queer e trans tra di noi, le diversamente abili, così come chi ha sofferto discriminazioni a causa di gravidanze o doveri relativi alle cure parentali. XF è veementemente anti-naturalista. Il naturalismo essenzialista puzza di teologia – prima viene esorcizzato, meglio è».

La tecnologia infatti, lungi dall’essere un costrutto patriarcale, è una potenziale sfera di intervento attivista e il movimento vuole «schierare strategicamente le tecnologie esistenti per riprogettare il mondo»; grazie alla prospettiva antinaturalista, ciò che prima era visto come intoccabile è ora «terreno di intervento e azione».

Potente e spiazzante, il saggio di Hester propone una politica abolizionista del genere sessuale sintetizzando esperienze del secolo passato come il Femminismo degli anni Settanta, post-Umanesimo e Cyberfemminismo in un tentativo di dare una nuova risposta non solo in merito alla “questione femminile” ma prendendo anche in considerazione il concetto di transfemminismo e quindi la visione transessuale, transgender e intersessuale; secondo l’autrice infatti, la colpa del Femminismo Storico era stata quella di non saper essere “intersezionale”, avendo immaginato il corpo della donna solo in quanto bianco, normo-abile e cis-gender.

Uno dei punti principali dell’opera, su cui Hester concentra di più l’attenzione, è senza dubbio la  questione dell’abolizione del genere; non si tratta di cancellare le differenze tra le persone, quanto piuttosto smettere di vederle come «indicatori dell’identità sociale», che definiscono gli individui in identità stereotipate e, di conseguenza, assegnano loro determinati privilegi – si pensi al caso del maschio bianco, cis-gender, etero.

Nello Xenofemminismo invece, genere, razza classe non devono garantire alcun privilegio straordinario, così come essere “diversi” non deve essere un fattore di oppressione.

Helen Hester

Di conseguenza anche il rapporto con il proprio corpo va rivisto, anche in luce delle nuove esperienze di attivismo queer. Le moderne tecnologie e i sistemi di autogestione del corpo infatti (e si prendono come esempio alcune pratiche nate negli anni Settanta, come lo Speculum e il De-Em, usato per auto-praticarsi l’aborto) possono, secondo il saggio, facilitare l’accesso alle cure mediche per alcune comunità, per cui l’establishment medico è percepito come patriarcale e opprimente:

«Il risultato è un femminismo tecnologicamente alfabetizzato e ri-propositivo che si rivolge ai bisogni sanitari specifici delle persone, anziché a un’idea di genere naturalizzata e dicotomica».

Muovendo le mosse da questi concetti, Hester si sposta poi sul tema del bambino e della riproduzione; la coppia etero-sessuale, in cui la donna ha il ruolo di madre e potenza generatrice, è ormai superata. Lo Xenofemminismo auspica infatti

«il generare parentele come un riorientamento dei vincoli genetici e non genetici, un modo di privilegiare la xeno-ospitalità rispetto e in contrapposizione sia al controllo della popolazione sia al futurismo riproduttivo naturalizzato».

Tutto il saggio, insomma, gira attorno al concetto di “altro”, che è esplicito già dal nome scelto per il movimento. Xeno, dal greco ξένος – straniero, indica una sostanziale rottura con tutto quello che è venuto prima e, allo stesso tempo, una politica di inclusione di chi finora non era stato preso in considerazione dai movimenti femministi e non solo.

Con uno stile lucido e un afflato rivoluzionario potente e distruttivo, Hester ci insegna che inclusività, rispetto dell’altro, rifiuto degli stereotipi e dei privilegi delle identità sociali prestabilite sono concetti  urgenti e attuali che oggi più che mai andrebbero interiorizzati e fatti propri. Colto e mai banale, Xenofemminismo è un saggio complesso, denso, che va letto con molta attenzione (e a volte con fatica) per capire in che direzione si stia muovendo – non solo il movimento femminista – ma anche e soprattutto la nostra società in questi anni.

 


FONTI

Laboria Cuboniks, Xenofemminismo, una politica per l’alienazione, 2015

H. Hester, Xenofemminismo, Produzioni Nero, 2018


 

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