Quando l’Italia tornò in Africa

L’Italia, dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, perse tutte le colonie che aveva acquisito nel tempo. Dovette lasciare Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia. Nel 1948 l’Organizzazione delle Nazioni Unite entrò in giocò gestendo la decolonizzazione di questi territori. Il governo De Gasperi tuttavia chiese di poter ritornare nelle colonie che non erano state frutto della conquista fascista ma che erano state prese ben prima. In queste richieste ovviamente non si menzionavano affatto tutti i diritti negati ai colonizzati, le violenze e la segregazione razziale. Il tema di fondo era invece la buona civilizzazione portata alle popolazioni che prima dell’arrivo italiano erano considerate barbare.

Dopo breve tempo, ci si rese conto che l’unico spiraglio verso il ritorno in Africa era la Somalia. Questo perché era considerata dalle potenze mondiali come un paese strategicamente non importante e quindi le richieste italiane potevano essere parzialmente accolte. Finita la guerra, iniziarono a nascere i primi partiti nazionalisti somali come la Somali Youth League, che voleva un governo totalmente indipendente e una modernizzazione della società tramite l’abbandono dei legami clanici tradizionali (il mondo somalo era diviso in clan, a cui si apparteneva dalla nascita). In risposta alla Syl, molti partiti si unirono formando la Conferenza di Somalia, legata fortemente all’Italia e ai suoi interessi. La conferenza infatti voleva un ritorno italiano nell’amministrazione per poter guidare il paese ad una più efficace indipendenza. Questi due partiti divergevano molto per idee e programmi politici, la Syl infatti non voleva assolutamente gli ex colonizzatori ma chiedeva un’immediata transizione del potere.

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Bandiera della Somali Youth League

Con l’entrata dell’Italia nella Nato nel 1949 e con il crescere dell’ala moderata all’interno della Syl, che si opponeva ad un’amministrazione italiana ma che non avrebbe scatenato sommosse nella sua eventualità, tutti i presupposti erano soddisfatti. Nel 1950 così si venne a creare l’Afis (Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia) con lo scopo di transitare il paese verso l’indipendenza tramite un mandato di 10 anni. Nell’Afis venne utilizzato un personale che già aveva avuto esperienza coloniale in Africa. In questo modo si ripeterono maltrattamenti e comportamenti arbitrari da parte dei vecchi funzionari. L’amministrazione italiana, una volta ottenuto ciò che voleva, abbandonò i rapporti con la Conferenza di Somalia cercando di avvicinarsi ai moderati della Syl. Una serie di concessioni reciproche favorirono un clima di collaborazione che portò alle prime elezioni politiche del 1956, dove la Syl stravinse.

Nel 1959 poi si tennero nuove elezioni che riconfermarono il partito al potere in Somalia. Le opposizioni tuttavia non si erano presentate alla competizione politica perché denunciavano misure repressive intraprese dalla Syl durante la campagna elettorale. Si venne quindi a creare un governo a partito unico che redasse la costituzione in prospettiva della fine del mandato italiano nel 1960. In quest’anno i poteri rimasti all’Afis passarono alle istituzioni somale, che erano state create grazie alle collaborazione dei funzionari italiani.

Calanka Soomaaliyaعلم الصومال
Bandiera della Somalia adottata dal 1954

Nacque così la Somalia, una nazione finalmente sovrana ma portatrice di una serie di problemi che si ripresentarono poco dopo nella sua storia, come il colpo di stato del 1969 di Siad Barre o la guerra civile scoppiata nel 1991. L’Italia infatti aveva creato si svariate istituzioni ma esse erano sostanzialmente deboli. Inoltre il piano di declanizzazione, per costruire una società moderna, era fallito a causa del continuo appoggio sia dell’Afis che della Syl ai clan per controllare il territorio. Questi, al posto di essere superati, si insediarono nello Stato in maniera decisa, acquisendo una forza che difficilmente poteva essere ridimensionata. Infine, al momento dell’abbandono della Somalia, nel paese era presente una gestione autoritaria del potere, dove un partito unico decideva per tutta la popolazione. L’Italia non era riuscita a garantire un passaggio democratico che fosse realmente tale.

 

FONTI

Antonio M. Morone, L’ultima colonia, Laterza 2011

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