Gli Igloos di Mario Merz in mostra all’Hangar Bicocca

Trenta sculture si intrecciano in un percorso suggestivo dove l’artista traspone nell’immagine simbolica dell’Igloo le sue memorie, permettendo una riflessione sull’interazione tra uomo e spazio da lui abitato.

La goccia d’acqua (1987)

Lo spazio espositivo Pirelli Hangar Bicocca omaggia l’artista Mario Merz con una personale intitolata Igloos. La mostra, a cura di Vincente Todoli, in collaborazione con la Fondazione Merz, ha aperto i battenti il 25 ottobre 2018 e sarà disponibile gratuitamente al grande pubblico fino al 24 febbraio 2019 con un progetto incentrato sull’immagine simbolica dell’Igloo, la cui natura tridimensionale e semisferica delimita uno spazio idealmente abitabile dall’uomo. L’originale idea si evolve in un percorso artistico dove si intrecciano le storie di trenta igloos, realizzati nell’arco di circa un quarantennio, dal 1968 al 2003, e basati sullo sfruttamento creativo di materiali naturali e industriali. La loro combinazione spaziale evoca una città onirica, un villaggio trasposto in una realtà parallela, trasudante di ricordi e memorie dell’artista, metafora di come l’uomo contemporaneo si orienta nel mondo di oggi. Sono  sculture che irraggiano attorno a sé atmosfere differenti e in ogni opera riecheggia la potenza combinatoria di più elementi uniti in una sola immagine sintetica, come la definisce Merz.

Architettura fondata dal tempo, architettura sfondata dal tempo (1981)

L’intreccio di volumi tridimensionali è alla base dell’opera La goccia d’acqua (1987), la più grande realizzata da Merz per uno spazio chiuso e costruita attorno a un diametro di 10 metri, da cui emerge una struttura semisferica reticolata in metallo e avvolta da lastre di vetro di diverse dimensioni, intervallate da una sequenza di numeri in neon. La scultura è attraversata da un tavolo triangolare, al cui vertice è installato un rubinetto riversante acqua in un secchio. Ciò che contraddistingue l’opera è il concetto fisico di tensione superficiale, come il fattore che permette la coesione molecolare all’interno di una goccia d’acqua, una piccola particella che si perde nell’infinità del vortice acquatico che fuoriesce dal rubinetto e vi ritorna secondo un movimento ciclico dettato dalla presenza di un tubo connettore. Si genera così un movimento intrinseco all’opera, la cui rappresentazione si ritrova anche nel gioco di specchi innestato dai vetri disposti circolarmente attorno alla scultura.

Così come la tavola che attraversa la composizione, anche la luce trafigge la superficie e rimbalza sulle sue pareti interne in un gioco di attraversamento superficiale che contraddistingue anche l’opera Architettura fondata dal tempo, architettura sfondata dal tempo (1981), in cui l’artista vuole coniugare la sua passione per la costruzione architettonica con quella per la tradizione pittorica. Per questo motivo lascia attraversare il suo Igloo da una tela rappresentante un animale primitivo e fondata sulla triade cromatica di Kandinkskij: giallo, rosso e blu. La composizione si completa con l’accostamento a un nido, promotore di un nuovo uso del materiale.

Chiaro oscuro/oscuro chiaro (1983)

Sono gli anni Ottanta, a introdurre,  accanto al vetro e al metallo, l’argilla, il legno e la pietra in un originale uso del materiale direzionato al polimaterico. Merz è interessato all’interazione di elementi apparentemente in contrasto, ma in grado di unirsi armoniosamente nella loro diversità e li omaggia nella sua opera Chiaro oscuro/oscuro chiaro (1983), dove l’apertura e la luminosità di un igloo in reti metalliche si accosta alla chiusura e all’oscurità del suo contraltare in fascine di legno. Il messaggio veicolato esalta la dualità, la contrapposizione di elementi differenti e concretizza una nota importante nella poetica di Merz: il collegamento tra spazio interno e spazio esterno, di cui la forma dell’Igloo è un’efficace rappresentazione. Tale concetto si adatta perfettamente agli Igloos disposti a scatole cinesi, affidati all’intreccio di più volumi e separati da uno spazio vuoto, colmato unicamente dalla luce che riflette sui vetri delle loro superfici. Si innesca così un interessante gioco ottico, coadiuvato dalla luce dei numeri a neon che si intervallano nella sequenza di Fibonacci, molto cara all’artista e presente ossessivamente in molti suoi Igloos, primo tra tutti il Senza Titolo del 1985, interamente attraversato da una sequenza numerica lineare che arriva fino al numero 10946. Lo stesso numero dipinto sul corpo del cervo in cima al Doppio Igloo di Porto (1998).

If the hoar frost grip thy tent Thou will give thanks when night is spent (1978)

Oltre al linguaggio matematico, Merz sfrutta però anche la peculiarità del messaggio poetico, che costituisce forse l’aspetto più interessante della sua attività creativa. Molti suoi Igloos sono pertanto attraversati da frasi scritte con la calligrafia dell’artista e illuminate dalle luci a neon, che si rifanno a citazioni storiche e letterarie. Ne è un avvincente esempio l’Igloo di Giap, il primo realizzato dallo scultore, sulla cui superficie è riportata la frase del generale Vietcong Giap «Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde la forza», una citazione così efficace da conferire suggestioni meditative all’opera e al tempo stesso valorizzarne il contenuto simbolico se contestualizzata nell’epoca rivoluzionaria in cui la scultura è stata realizzata. Affine è lo slogan di contestazione consumistica sessantottina presente sull’Igloo Object Cache-Toi, letteralmente oggetto vai via, nasconditi, e rievocatore di una frase scritta sulle pareti dell’Università Sorbona.

Si tratta di un’analisi sulla scomparsa dell’oggetto nella sua concretezza di fronte all’Igloo, concepito come immagine sintetica, quindi come unione del materico accanto alla natura volatile della parola. Una parola che però l’artista vuole ricordare, come parte della sua esperienza e come lascito per il suo osservatore, a cui sceglie di dedicare le parole dell’amico e poeta Ezra Pound. L’espressione «If the hoar frost grip thy tent thou will give thanks when night is spent» (Se la brina afferra la tua tenda, renderai grazie che la notte è consumata) accompagna l’opera omonima e rievoca il periodo in cui Pound fu detenuto presso un campo di prigionia pisano nel 1945, destino che lo lega all’artista, imprigionato nello stesso anno per la sua partecipazione alla resistenza antifascista. La frase assume particolare forza emotiva se si concepisce l’igloo come spazio abitato, quindi come rifugio, come nascondiglio privato per sfuggire alla sofferenza del mondo esterno. La sua natura si estende quindi trasversalmente al concetto di abitazione, di tenda, sancendo un ulteriore motivo di separazione di un interno da un esterno.

Le cose girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle cose? (1994)

Il percorso espositivo permette allo spettatore di addentrarsi così nel campo esperienziale di un artista dalle infinite sfaccettature grazie a una mappa che accompagna la brochure dell’evento e scandisce efficientemente la disposizione delle opere, affidate a una numerazione in ordine temporale. Il tutto è immerso in un’atmosfera riflessiva, dalle tinte cupe, che permette alle sculture di emergere tra le accattivanti luci a neon, come nel caso del rosso fiammeggiante che accompagna la frase «Le cose girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle cose?». Ogni Igloo genera un differente motivo di riflessione esistenziale e la natura semisferica permette all’osservatore di muoversi intorno, potendo concepire la completezza delle sculture solo nell’insieme dei punti di vista da cui sono osservate. La mostra si propone come il compendio del lavoro di una vita, che invita a una riflessione sulla natura poliedrica dello spazio e sul suo ruolo di rifugio della memoria nel tempo.

 


FONTI

Mostra visitata dall’autrice

Brochure dell’evento

CREDITS

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