Vita, morte e filosofia sul lato oscuro della Luna

3 gennaio 2019; Alle 3.26 (ora italiana) la sonda cinese Chang’e-4 atterra sulla luna. Sono passati cinquant’anni dallo sbarco dell’Apollo 11, cinquant’anni da quando il mondo ha levato, con stupore (e anche un po’ di diffidenza), il naso all’insù. Da allora si sono succedute altre corse sul suolo lunare, altri record, ma sempre sullo stesso lato. Si perché, ruotando come la terra, la luna ci ha mostrato sempre la stessa faccia. E “dietro”, sul lato nascosto, quello più lontano, cosa c’è?

La prima immagine inviata dalla missione Chang’e 4

Ebbene, non ci sono le lacrime e i sospiri degli amanti, né i voti, né le preghiere, né il senno di Astolfo. Non ci sono tutte le cose che l’uomo ha perso sulla terra, come immaginava Ariosto. Oggi lo sappiamo: le immagini provenienti dalla sonda Chang’e-4, la prima a toccare l’area sconosciuta, mostrano un cratere dal terreno relativamente piatto, con pochi ostacoli. Il dark side of the moon viene finalmente illuminato.

Quando Roger Waters, nel 1973, scriveva i testi per l’ottavo album dei Pink Floyd, probabilmente non pensava che il “lato oscuro della luna” potesse essere mai raggiunto dall’uomo, almeno, facendo uso delle sue facoltà razionali. Lì, su quel lato buio, si troverebbero infatti tutti quegli aspetti che l’animo e la mente non possono, o faticano a controllare: l’inconscio, il tempo con il suo trascorrere inesorabile, la morte, l’avidità, il rapporto con l’altro, fino ad arrivare alla follia.

Il concept album, primo nella storia del gruppo britannico, è un libro da leggere, oltre che disco da ascoltare: un saggio antropologico e filosofico che mira a esaurire in una quarantina di minuti le principali tappe e gli aspetti della vita di un uomo. Non solo: The dark side of the moon rappresenta la nascita e la consacrazione del rock progressivo e psichedelico, “alla Pink Floyd”, come si avrà a dire. E’ l’esito di una serie di audaci sperimentazioni musicali quali l’utilizzo di sintetizzatori analogici, volute cacofonie, frammenti parlati e rumori extradiegetici.

Al lavoro ci sono quattro musicisti. Syd Barrett, storico membro e cofondatore della band, è lontano, dopo l’inaspettato tracollo psichico, shone like a crazy diamond. Dell’alienazione di Barrett, Waters vuole parlare: un unico tema, un disco che parli della vita, delle pressioni e delle paure della gente e per questo “la faccia arrabbiare”. Questa è l’idea di partenza.
Il resto è leggenda, a cominciare dalla copertina: nessuna indicazione del titolo dell’album né del nome della band. Pubblicato in vinile, il disco risulta apribile. Lo studio fotografico Hipgnosis, già interpellato dalla band per i dischi precedenti, realizza su sfondo nero un prisma rifrangente un raggio bianco nei sei colori dello spettro luminoso, indaco escluso. I raggi non si interrompono: Waters suggerisce di estendere l’immagine all’interno, e poi sul retro. I colori proseguono, la banda verde si curva e si inarca, fino a divenire il tracciato di un elettrocardiogramma.

Il disegno si fa simbolo, il simbolo icona. Eppure cosa la copertina voglia esattamente significare resta ancora oggi un mistero, che gli stessi Pink Floyd hanno rifiutato di svelare. Che ruolo hanno i prismi? E le fotografie a infrarossi delle piramidi di Giza che accompagnano l’album? Varie sono le interpretazioni, qualcuna più valida delle altre. Ciò che si svela invece fin dal primo ascolto, è la rappresentazione del battito del cuore, che cattura e interroga dalla copertina.

L’uomo nasce. Con Speak to metraccia di apertura, un mix di effetti sonori che anticipano ciascuno un brano dell’album, il cuore comincia letteralmente a battere, prima di qualsiasi nota. Il ritmo cardiaco, incessante, si fonde con le lancette di un orologio, che ricorreranno in Time, i rumori di una cassa, presenti in Money, risate angoscianti (Brain damage) e urla. Il frastuono, a cui si aggiunge il volo di un elicottero, tocca l’apice prima di lasciare posto alla canzone successiva.

I’ve always been mad, I know I’ve been mad, like the most of us are. It’s very hard to explain why you’re mad, even if you’re not mad.

Altro che lato buio della luna. Lo stato di follia in cui ci sentiamo precipitare dall’inizio è più profondo di quanto ci si immagina, scuro, mortale. “Parlami”. Fin dalla nascita, dall’inizio della vita, si leva la domanda silenziosa di là da quello che, più avanti, i Pink Floyd definiranno “il muro“. L’ascoltatore, angosciato, non è incoraggiato emotivamente a continuare l’ascolto. Filosofia nichilista? Pessimismo esistenziale? Misantropia?

An expression of political, philosophical, humanitarian empathy that was desperate to get out (…), all the pressures and difficulties and questions that crop up in one’s life and create anxiety, and the potential you have to solve them or choose the path that you’re going to walk.

Pink Floyd, 1973

Roger Waters, interpellato, ha definito con queste parole il contenuto dell’album. Il viaggio comincia e, una dopo l’altra, tutte le domande, le pressioni, le difficoltà in cui l’uomo si imbatte nel corso della vita vengono musicalmente delineate. Breathe, che si lega senza interruzioni all’ouverture, invita l’uomo a respirare, a non affrettare la corsa verso un “prematuro cimitero“. “Vivi per oggi, domani è andato“, annuncia una voce di donna registrata in aeroporto, nel brano successivo, mentre si odono i passi di qualcuno che corre. Una risata, lunga, straziante, sembra incitare a fuggire, a mettersi al riparo dallo scorrere del tempo.

E’ proprio il tempo il tema più noto e sviluppato dai Pink Floyd in The dark side of the moon.

Ten years have got behind you
No one told you when to run
You missed the starting gun

And you run, and you run to catch up with the sun,
but it’s sinking
Racing around to come up behind you again
The sun is the same in a relative way,
but you’re older
Shorter of breath and one day closer to death

Ticchettii di orologi a pendolo e trilli di sveglie introducono, tra accordi di chitarra e basso, in un’atmosfera quasi eterea, atemporale. L’illusione viene interrotta bruscamente dopo due minuti e mezzo. Ecco che il tempo irrompe, eccome: il tempo si è portato via la gioventù dell’anonimo protagonista, con i suoi vani progetti e qualche riga scarabocchiata su un foglio. Il testo, che mette a tema una drammatica riflessione sulla fugacità della vita e, in modo più velato, sull’alienazione e la noia giovanile, si fa universaleNulla di nuovo sotto il sole avremmo letto nella Bibbia: il sole è lo stesso, tu no, scrivono i Pink Floyd.

Nonostante ciò, è bello consolarsi attorno al fuoco, quando si è infreddoliti e stanchi. La riflessione sul tempo non è nuova nella filosofia e nella poesia occidentale: si pensi al noto Carpe Diem oraziano, ma ancor prima alla lirica greca, alle suggestioni di Alceo e dei canti conviviali.

Zeus manda pioggia. Un grande inverno
dal cielo. Son ghiacciati i corsi d’acqua (…)
E ammazzalo l’inverno. Butta fuoco,
mesci senza risparmio vino buono,
gira la lana morbida sul capo.

Time è dunque un brano concettualmente elevato. E The great gig in the sky è il suo ideale proseguimento. Cosa accadrà alla fine?

And I am not frightened of dying 
Any time will do, I don’t mind 

La morte va accettata. E non importa se i progetti non sono stati realizzati: la fine, per tutti, non può che essere il “grande spettacolo del cielo”. Così si conclude il lato A dell’album. Ogni lato del disco costituisce infatti un’opera musicale continua e autosufficiente: dal primo respiro alla rappresentazione della morte.

Il lato B si fa invece più specifico e spazia dal consumismo, alla guerra, al confronto con l’altro. Il lancio promozionale di The dark side of the moon è affidato a Money, una delle tracce probabilmente più note dell’intera discografia. Registratori di cassa o slot machines (le opinioni divergono ancora), introducono, a tempo irregolare 7/4, un’ironica critica all’attaccamento al denaro.

Ma l’avidità è solo un aspetto dell’umanità, o della disumanità, ci dicono i Pink Floyd.

Us and them
and after all we’re only ordinary men
me and you
God only knows it’s not what we would choose to do

Mentre i generali danno ordini impassibili, la guerra imperversa in ogni dove e la gente muore. E chi sono i good men? Il tema è caro ai membri della band, che scelgono di chiudere il loro album, dopo un delicato omaggio a Syd Barrett attraverso una riflessione sul tema dell’alienazione mentale, con un invito a riconoscere l’umanità in toto e le sue caratteristiche.

And everything under the sun is in tune
But the sun is eclipsed by the moon

La straordinarietà di Eclipse sta nel riassumere tutta la filosofia del concept album in pochi versi: puoi toccare, amare, odiare, comprare. Tutto ciò che tocchi, ami, odi, compri è perfetto, perché in armonia, alla luce il sole. Il problema sta nell’eclissi: ciò che noi percepiamo è eclissato dalla luna, da tutto quello che di irrazionale ci portiamo dentro, che sfugge al controllo e resta lì, oscuro. Un ultimo battito chiude l’opera. Termina la vita dell’uomo così come era cominciata, mentre una voce in sottofondo, talmente impercettibile che, se non si alzasse il volume al massimo, non ce ne si accorgerebbe, sembra sostenere che in realtà non ci sia nessun lato oscuro, ma che tutto sia buio.

Liquidare The dark side of the moon a una cinica metafora sull’irrazionalità dell’esistenza parrebbe tuttavia riduttivo, e sbagliato. Dopo quaranta minuti di ascolto, universali nei cenni individuali e individuali nelle tematiche universali, ciò che resta al pubblico è solo grande commozione. Ascoltare i Pink Floyd nel 2018 fa ancora quest’effetto: la poesia diventa emozione, l’emozione poesia.

E’ un collage che intriga (…) per tutta la trama di voci, rumori, effetti sonori di cui è intessuto, come un sogno a occhi aperti. Il pubblico se ne innamora (…). Quando verranno lanciati i CD, negli anni ’80, l’album godrà dell’ennesimo revival e una fabbrica in Germania stamperà per un anno, per tener dietro gli ordini, solo dischetti argentati di The dark side of the moon.

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