Soko: la ragazza che pensava di essere un alieno

“We met one day when I thought I was an alien…. Con queste parole si apre I thought I was an alien, brano contenuto nell’omonimo album di Stéphanie Sokolinski, in arte Soko, artista francese dalle origine russe, polacche e italiane. Soko è nota al grande pubblico per la sua musica, per il ruolo d’attrice in diversi film (tra cui The Dancer del 2016) ed in buona parte per la relazione amorosa con l’attrice Kirsten Stewart (quella di Twilight, già).

L’artista classe 1985 ha davvero le sembianze di un essere proveniente da un altro pianeta: carnagione dal pallore spettrale, sguardo triste e distante, look spesso eccentrico e capelli dal colore mutevole. Sembra un po’ giocare e talvolta marcare forzatamente questo suo aspetto lugubre che lei stessa definisce white goth, misto ad una personalità che ama far apparire come freak, strana, asociale, poco incline al contatto con il prossimo:

“Sono ferocemente solitaria. Per esempio, sono incapace di cenare con più di tre persone, ho delle crisi d’ansia negli aereoporti… Ho qualche problema con la gente”

dichiara in un’intervista.

Nel suo primo album, I thought I was an alien, ci trasporta con candore e malinconia nel suo mondo interiore tormentato, nella sua vita di giovane ragazza apertamente bisessuale. Si tratta di un album estremamente intimo ed introspettivo: Soko sembra quasi sussurrarci all’orecchio le sue storie, i suoi drammi, stati d’animo e sentimenti. E’ un disco capace di smuovere: difficile rimanere impassibili all’ascolto di brani come For Marlon, in cui viene trattata la sofferta relazione con una presunta ragazza tossicodipendente, o We could be dead by tomorrow, canzone in cui la cantautrice incita l’amata/amato a godere pienamente del presente poiché la vita è breve. E’ un disco delicato: a partire dalla dolcezza della voce dell’artista, al sound fatto di chitarre gentili e violini, alle tematiche affrontate, quali la paura della morte e relazioni amorose che ti spezzano il cuore, capace di infondere una strana pace interiore.

My dreams dictate my reality, suo secondo disco, è un’opera dai toni decisamente più punk, da cui si evince tutto il suo amore per la new wave anni ’80 (evidente l’influenza di The Cure, Depeche Mode, ma anche Joy Division). Musicalmente si propone come un lavoro più ricco e vario del precedente: chitarre elettriche sembrano sostituire quelle acustiche e si mescolano al suono di synth ed effetti sonori elettronici. Tema portante dell’album sono proprio i sogni, gli incubi che invadono le sue notti: Soko perde il padre a causa di un aneurisma fulminante a soli cinque anni ed il tragico evento trasforma irrimediabilmente la sua percezione della morte e condiziona, per l’appunto, i suoi incubi, fatti di fantasmi e morti improvvise, tanto da portarla a non riuscire quasi più a distinguere il mondo reale da quello onirico. Tuttavia, mentre nel primo album la ragazza si crogiola nel suo dolore e nella nostalgia, questa volta sembra voler affrontare coraggiosamente i suoi demoni.

I dischi di Soko sono opere brutalmente oneste e ci fanno capire che, probabilmente, la ragazza non sta interpretando un personaggio ma è realmente l’alieno che dice di essere. Soko non utilizza metafore nelle sue canzoni, i suoi testi non sono ermetici, va dritta al punto. Tramite la scrittura esorcizza le sue angosce, le sue paure, e le offre agli ascoltatori per farne quello che vogliono. Lei stessa spiega il suo intento nella prima strofa di I just want to make it new with you, prima canzone del suo album di debutto:

You will discover me through my songs
Learn my heartbreaks and fears and depression
Hear all the cracks and the lack of talent
And I hope that you don’t hate me by then”

 


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