Man Ray: l’uomo raggio

Uomo raggio non è lo pseudonimo di un supereroe, ma di un uomo d’arte: Emmanuel Radnitzky. Pittore e grafico ma anche, e soprattutto, fotografo, Emmanuel nasce nel 1890 a Filadelfia da una famiglia di immigrati russi di origine ebraica. Nel 1912 inizia a firmare le sue opere con lo pseudonimo di Man Ray, che significa, appunto, ‘uomo raggio’.

«Non ha senso continuare a chiedersi se la fotografia sia o meno una forma d’arte, perché l’arte è fuori moda e noi abbiamo bisogno di altro.»

È il 1914 quando Man Ray acquista la sua prima macchina fotografica e in quello stesso anno sposa la poetessa belga Adon Lacroix. Nel 1914 Emmanuel incontra l’artista francese Marcel Duchamp. Questo incontro è fondamentale nella vita di Man poiché con Marcel e con un collezionista fonda la Society of Independent Artists. In questo periodo si sviluppa il dadaismo in Europa e negli Stati Uniti durante la Prima guerra mondiale. Questa tendenza culturale rifiutava gli standard artistici: il Dada era l’anti-arte, lo scopo era di distruggere ogni cosa, compresi se stessi, proprio perché la guerra aveva cambiato e stava cambiando la mentalità, le convinzioni dell’uomo e l’armonia. Lo strumento usato dagli artisti dadaisti era l’ironia e provocazione e creavano opere apparentemente incomprensibili in quanto usavano oggetti inconsueti in maniera totalmente fuori dagli schemi per esternare il grave peso e gli squilibri del periodo storico. 

L’opera di Duchamp Self-Portait, un’opera del 1926, proto-Dada assemblata con un campanello non funzionante, delle ‘effe’ di violino e l’impronta di una mano, esposta alla Daniel Gallery di New York impressiona positivamente Man Ray, che da quel momento decide di dedicarsi completamente a questa tendenza, creando prodotti con tutti i materiali disponibili anche se contrari all’estetica artistica, come chiodi, orinatoi, ruote di biciclette, dando sfogo alla propria creatività. Un esempio efficace è l’opera Cadeau del 1921, dove Man Ray inserisce 14 chiodi sul fondo di un ferro da stiro in ghisa. Dopo alcuni anni e alcuni tentativi di diffondere il movimento Dada a New York, Duchamp torna a Parigi e Man Ray lo segue. 

Noire et Blanche, 1926.    

A Parigi inizia a frequentare Alice Prin, soprannominata anche Kiki de Montpasse, che  diventerà la sua compagna e la protagonista di alcuni scatti celebri e di sperimentazioni. In Le violon d’ingres, fotografia del 1924, il corpo di Kiki è trasformato in uno strumento musicale, una viola o violino, grazie sopratutto alle due ‘effe’ sulla schiena. «Io non fotografo la natura» afferma Man Ray, «ma le mie visioni». Infatti Ray partecipa alla prima esposizione del Surrealismo alla galleria Pierre a Parigi nel 1925 e inizia anche a lavorare per prestigiose riviste di moda, come Vogue. Nella capitale francese il fotografo entra a contatto con celebrità come Andrè Breton e riesce ad avere successo grazie alla sua abilità di ritrattista. In questi stessi anni, Man Ray inventa, per caso, le rayografie. Questo termine, costruito partendo dallo stesso nome dell’artista, evoca il disegno luminoso:

«Un foglio di carta sensibile intatto, finito inavvertitamente tra quelli già esposti, era stato sottoposto al bagno di sviluppo. Mentre aspettavo invano che comparisse un’immagine, con un gesto meccanico poggiai un piccolo imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro nella bacinella sopra la carta bagnata. Accesi la luce; sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’immagine: non una semplice silhouette degli oggetti, ma un’immagine deformata e rifratta dal vetro, a seconda che gli oggetti fossero più o meno a contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero».

Le violon d’ingres

Le rayografie, in parole semplici, sono immagini nate grazie a un processo chimico e sono conosciute comunemente come fotogrammi. Un’altra tecnica spesso usata è la solarizzazione, ottenuta in camera oscura, dove, prima di terminare lo sviluppo, Ray velava il negativo con un colpo di luce. Man Ray, quindi, si serve della sua Kodak, delle rayografie e della tecnica di solarizzazione. Questi strumenti gli consentirono di essere il maestro della sperimentazione, di riuscire a esprimere l’ambiguità del reale: la sua fotografia è, infatti, tipicamente e strettamente surreale, con uno stile onirico: i soggetti sono infatti circondati da un alone misterioso come se fossero parte di un sogno. Il surrealismo, al quale Man Ray aderisce nel 1924, infatti è un movimento artistico d’avanguardia che coglie il senso dei sogni e dell’inconscio per raggiungere uno stato che è ‘oltre’ la realtà. Man Ray con i suoi lavori  vuole «divertire, annoiare, sconcertare, confondere e ispirare alla riflessione».

«Non sapevo quello che stavo facendo finché non arrivavo alla fine.»

esempio di rayografia

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, fu costretto a ritornare negli Stati Uniti a causa delle sue origini: qui Man Ray si impegnò prevalentemente nella pittura, ma non riuscì a dimenticarsi di Montparnasse, che oramai considerava la sua casa, e ci ritornò alla fine del conflitto dove morì nel 1976 all’età di 86 anni e dove fu sepolto. Il suo epitaffio recita: «Noncurante ma non indifferente».

Le fotografie di Man Ray sono curate in ogni singolo dettaglio, non sono improvvisate: tutti i soggetti e i messaggi, come il rapporto tra fotografia e pittura, che l’artista vuole trasmettere sono sapientemente studiati. Ray nelle sue opere pone l’attenzione sui corpi, sui simboli  e sui significati: lo scardinamento dell’ovvio, la ricerca del paradosso e delle stranezze, mostrando, a noi spettatori, un lato del reale dissacratore che non siamo abituati a vedere: ciò avviene in molte sue fotografie, dove i contrasti, i capovolgimenti, le ombreggiature svolgono il ruolo principale di mostrare la distanza dalla normalità e, soprattutto, dalla società industrializzata.

Così in The girl with the long hair, opera molto vicina allo stile Dada, la donna è mostrata al contrario: la posizione del suo corpo non è chiara, i capelli formano delle piccole onde come se avesse avuto le trecce per molto tempo, le punte dei capelli sono molto rovinate, le braccia non si vedono, quasi come se siano state amputate. Si crea un’atmosfera spettrale, una sensazione di insicurezza proprio perché quest’opera è lontana da ciò che dovrebbe essere un ritratto ordinario, ed è lo spettatore a sentirsi spiazzato, confuso e fuori luogo . A Man Ray non interessa rappresentare la realtà così come si presenta oggettivamente, ma, in maniera anticonformista, parte dai corpi per far parlare la sua immaginazione

 «Se ne avessi avuto il fegato sarei diventato un ladro o un delinquente, ma non avendo coraggio sono diventato un fotografo.»

 


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