Spettacolo dal vivo, fuori dal consumo degli italiani

I dati ISTAT sono chiari: nel 2016 solo il 20% degli italiani, di età maggiore ai 6 anni, è stata a teatro almeno una volta. L’allarme rosso rispecchia, purtroppo, una situazione prevedibile. Gli interessi degli italiani si sono spostati verso altri ambiti. Più della metà della popolazione italiana assiste abitualmente a spettacoli cinematografici, aumentano sempre di più le spese relative all’elettronica e al web. Non è una novità, quindi, trovare sale teatrali semivuote.

Il teatro sembra rimanere estraneo alla società del consumo che, da qualche decennio, si sta radicando nel “Bel Paese”. Appare conservatore di un universo idilliaco soppiantato dai media e dalla pubblicità. A partire dalla metà degli anni ’50, fenomeni cooperanti hanno contribuito allo sviluppo del cosiddetto “consumismo”. L’interesse dei cittadini verso l’acquisto di beni secondari è cresciuto esponenzialmente, sul modello della società americana. Ciò ha coinvolto anche l’impiego del tempo libero e della cultura. Gli italiani hanno, infatti, preferito mezzi di fruizione più comodi e immediati.

Andare a teatro è diventato “fuori moda”. La standardizzazione degli interessi e l’omologazione di  comportamenti e gusti sono solo alcuni dei danneggiamenti provocati dalla società di massa. L’influenza pubblicitaria e l’utilizzo scorretto del web inducono all’esclusione delle attitudini e a preferenze più caratterizzanti il singolo. L’uomo è disposto e invogliato alla spesa di grandi quantità di denaro per oggetti con cui è quotidianamente e maggiormente a contatto. Per questo, la digitalizzazione si è presto sostituita alla visione dal vivo. Il contatto quotidiano con televisori e schermi digitali, la libera fruizione di piattaforme elettroniche e connessioni wireless, conducono a un’inevitabile perdita d’interesse nei confronti del teatro. John Updike scrive:

“Sono sempre più facilmente disgustato dal fatto che stiamo vivendo in questa società impegnata a farci spendere più di quanto abbiamo, o più di quanto dovremmo, per cose di cui non abbiamo realmente bisogno o che vogliamo, e che inoltre ci sta uccidendo lentamente mentre ci riempie tutte le discariche e fa cantare sempre meno gli uccelli.”

Gli uccelli cantano meno in società, la ricerca della bellezza come approdo per la felicità è un obiettivo ormai trascurato. L’attenzione riservata alla crescita emotiva viene accantonata per un materialismo sempre più frastornante. Il teatro (come l’arte in generale) è un universo periferico, riservato ai pochi, assidui, frequentatori controcorrente. Bisognerebbe educare l’uomo al rispetto di sé e della propria interiorità, incrementare l’emotività consumando meno beni secondari e più cultura, immateriale.

 


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