Intervista a Francesco Riva, un dislessico felice

“Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la vita a credersi stupido”.

Lo disse Albert Einstein, uno dei più grandi dislessici della storia, come Napoleone Bonaparte, Agatha Christie, Walt Disney, Mika e tanti altri.

Francesco Riva a soli 25 anni è scrittore, autore di teatro, attore teatrale e cinematografico, ed è anche dislessico. La diagnosi è arrivata alle scuole elementari non appena ha iniziato a leggere e a scrivere. Grazie al sostegno di una maestra speciale, Francesco ha continuato a studiare, anche se non leggendo sui libri, ma ascoltando e recitando, cosa che gli veniva del tutto naturale. Ha frequentato il liceo linguistico e si è diplomato all’European Union Academy of Theatre and Cinema (EUTHECA) a Roma. La sua tesi, un monologo dal titolo DiSlessiA … Dove Sei Albert? (con evidente richiamo alla sigla DSA), è ben presto diventata uno spettacolo teatrale, che Francesco ha presentato in scuole e convegni medici di tutta Italia, arrivando ad un centinaio di rappresentazioni in pochissimo tempo. Come se ciò non bastasse, è autore del libro autobiografico “Il pesce che scese dall’albero” con sottotitolo la mia storia di dislessico felice, edito da Sperling & Kupfer, con cui quest’anno ha vinto il premio letterario “Zocca Giovani” come talento under 35.

Francesco è un millennial talentuoso che ha saputo magnificamente trasformare la dislessia da ostacolo in un vero e proprio punto di forza, ora porta la sua storia nei teatri di tutta Italia per diffondere un messaggio ben preciso: la diversità non esiste, ma esiste l’unicità, che deve essere tutelata e affermata da ognuno di noi, perché è una risorsa.

Il suo successo e la sua bravura sono la dimostrazione del fatto che “dislessia” è solo una parola, non una malattia, tanto che un bambino presente ad un suo spettacolo, ignaro del significato della parola e a tal punto affascinato dalla sua rappresentazione, al momento delle domande gli ha chiesto: –Ma come si fa a diventare dislessici?–

Francesco, tu sei giovanissimo, hai solo 25 anni, eppure sembra che tra cinema, scrittura e teatro te la stia cavando piuttosto bene… ti senti un millennial di talento?

Sì, potrei dire di avere del talento e di essere un ragazzo poliedrico perché ballo, canto, sono attore e anche scrittore.

Ci racconti perché sei un pesce sceso dall’albero?

Questa frase l’ha scritta Albert Einstein. Io sono un pesce che è sceso dall’albero per immergersi nel suo habitat naturale: il mondo. Un pesce che ha saputo fare della sua differenza un punto di forza, anzi per assurdo un cavallo di battaglia.

Cos’è quella che tu chiami l’”orco-dislessia”?

La dislessia prima era sicuramente orco-, ora è un’amica che mi accompagna nei momenti della vita. Certo mi capita di fare della gaffe, come sbagliare a prendere i biglietti del treno, e tu mi dirai che è una cosa che capita a tutti… ma credimi che quando ti succede due o tre volte di fila, questa è la dislessia che si fa sentire! Meno male che c’è la mia collaboratrice e fa lei. Ma davvero oggi non è più orco, è sicuramente una risorsa.

In un mondo in cui i giovani sembrano non avere voce, tu la tua voce la stai facendo sentire eccome, per di più facendo l’attore –mestiere che in pochi considerano una vera professione– e trattando di un argomento così delicato e ancora oggetto di pregiudizi. Come sei riuscito a farti prendere sul serio?

I did it my way, come direbbe Frank Sinatra. Ci sono riuscito a modo mio. Il mondo del teatro è sicuramente considerato in maniera impropria, in realtà credo che abbia un’importante funzione sociale, ancora oggi potrebbe fare la differenza, anche se il cinema viene apprezzato di più perché più di impatto. Ce l’ho fatta avendo capito che ognuno di noi ha un grandissimo potenziale dentro di sé. Io ho cercato di trovarlo dentro di me, dando valore e intensità a quello che facevo: è questo che ha fatto la differenza. Ho mirato ad un principio di qualità e non tanto di quantità. Credo che l’unicità sia fondamentale, ci sono molti bravi e talentuosi, ma il vero talento è riuscire a condensare la propria unicità, capire che solo tu sei unico e in grado di portare a termine un progetto per darlo agli altri. Se c’è questa coerenza, allora c’è anche la scintilla.

E la fortuna? Quanto influisce sul tuo lavoro?

Chiaramente c’è anche una grande percentuale di fortuna, penso il cinquanta per cento almeno.

La legge 170 dal 2010 tutela i diritti dei ragazzi DSA nel mondo della scuola. Quali importanti cambiamenti ha prodotto? Cosa manca ancora al sistema scolastico italiano?

Il grande merito della legge 170 è quello di aver costituito una vittoria di tipo ideologico: ha riconosciuto che tutti apprendono in una maniera diversa, questo è fondamentale. Poi sarebbe bello poter dire che non serve una legge per far capire queste cose.

Bisognerebbe però aumentare ancora le competenze del corpo docenti. C’è una legge ma nessuno ti mette in catene se non la rispetti…

Il 25 agosto ti è stato consegnato dal regista Pupi Avati il premio letterario “Zocca Giovani”, lo stesso Pupi Avati che parlò alla cerimonia di apertura dell’accademia romana dove hai studiato recitazione. Al tempo eri solo una matricola spaesata, furono proprio le sue parole a commuoverti e a darti il giusto slancio per iniziare al meglio la tua esperienza. Perché? Cosa hai provato ad essere stato premiato proprio da lui? 

È capitato veramente per caso, io non sapevo che sarebbe venuto lui né tantomeno lui si ricordava di me. È stata una bella sorpresa, un’emozione oltre che un onore. Lui è una persona straordinaria, molto ispirante. È rimasto molto colpito quando ha assistito alla mia premiazione: in particolare dal concetto del limite, da cosa una persona possa arrivare a fare per superare questo limite.

Cosa vi aveva detto alla cerimonia di inaugurazione?

Dunque lui aveva detto di aver incontrato nella sua lunga carriera due categorie di attori: il signor Bianchi e il signor Rossi. Il signor Bianchi si presentava alle audizioni presentando un book fotografico malconcio, dicendo: “Ho fatto il bukkk…” (con tre kappa), insomma una persona che ha già perso in partenza, che non crede in quello che sta facendo. Poi c’è il signor Rossi: un ragazzo sveglio, con gli occhi vispi, che appoggia delicatamente sul tavolo il suo book tutto ordinato, con belle foto. Si capisce così che il signor Rossi ha voglia di fare esperienze e vorrebbe essere proprio lì dov’è. Lui avrebbe ovviamente scelto il signor Rossi. Ha poi augurato a tutti di vivere la nostra vita come quella del signor Rossi, perché solo così ci si può sentire veramente liberi e senza ostacoli. Mi sono detto: adesso facciamo il più possibile il signor Rossi!

Quali sono le tue prospettive per il futuro? Continuerai a portare avanti la tua battaglia contro l’“orco-dislessia” attraverso il tuo mestiere di attore? Oppure hai altri progetti?

Ho altri progetti. Sto scrivendo un secondo libro, che non credo proprio c’entrerà con l’argomento dislessia, anzi decisamente no: vorrei parlare di tante altre cose. C’è un progetto sul bullismo, che abbiamo ultimato ed è in atto. Ci sono poi progetti legati ad altri ambiti: come pubblicità, moda, …

Hai dimostrato a tutti che le difficoltà, che esse riguardino o meno la dislessia, devono essere vinte e superate, senza troppo vittimismo. Questo perché esse sono un’ulteriore prova della diversità di ognuno di noi, diversità che, se ben sfruttata, rende una persona eccezionalmente più ricca. Cosa consiglieresti ai millennials più deboli e scoraggiati, che hanno paura di inseguire i propri sogni, perché si sentono inadatti?

Capisco che chi si sente più indietro, abbia un’autostima più bassa, ma bisogna credere che quel che facciamo abbia un senso, un significato, anche se ci fa soffrire e ci crea disagio. Le sconfitte vanno accolte e rilanciate, come un motore. Quello che consiglio è di FARE. In gioventù si hanno le energie giuste per sfidare se stessi e mettersi alla prova. Non importa se si è incerti, se non sa come agire, è importante innanzitutto lanciarsi, il “cosa faremo” si definirà poi da sé. Da giovani si ha veramente poco da perdere. Poi siamo in un mondo in cui la sicurezza non c’è più, il posto fisso non esiste ed è un mito che dobbiamo sfatare. Questo è il momento giusto per mettere in pratica delle belle idee ed avere entusiasmo, coltivare i nostri sogni.

E poi siamo tutti diversi, con le nostre debolezze e i nostri punti di forza, non esiste nessuno di impeccabile. La normalità è solo un punto di vista: è relativa. È una questione di coerenza, dipende tutto da quando noi siamo coerenti con noi stessi, e se lo siamo, allora è normale.

Pasolini disse: “La diversità mi fece stupendo”; tu cosa ne pensi?

Caspita Pasolini è un mostro sacro! (ride) Anche lui si sentiva spesso emarginato. È vero! La diversità ci rende stupendi, perché ci fa stare a contatto con la parte più profonda di noi, più umana. Penso che non ci sia niente di più bello che vedere un essere umano sfidarsi e riconoscere questa cosa come preziosa. Quasi tutte le persone che hanno fatto una rivoluzione, anche piccola nella propria vita, hanno compreso questo binomio di diversità-unicità. Pasolini l’aveva capito. Certo si soffre… ma poi ne deriva un grande beneficio anche per se stessi.

Che dire? Chapeau a Pasolini!

FONTI:

  • Intervista di Ginevra Braga a Francesco Riva

CREDITS:

  • Immagini fornite da Francesco Riva

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