La Venexiana: l’amore godereccio della Venezia del Cinquecento

Il 28 novembre presso la Casa dei Diritti di Milano, grazie alla collaborazione de Lo Sbuffo, è andato in scena lo spettacolo teatrale La Venexiana, recitato dagli allievi dell’associazione teatrale Studio Novecento. L’associazione esiste da 20 anni e vede il teatro come strumento per lo sviluppo personale, la riflessione sociale e la conservazione dei valori dell’umano, del rispetto reciproco, della libertà e della pace.

La Venexiana è un’opera composta da un anonimo veneziano del ‘500 ed è uno dei pochi capolavori tra una miriade di testi mediocri o scadenti scritti in quel periodo nella fiorente città marinara. Nel Cinquecento infatti, era d’uso a Venezia che si inscenassero nelle case nobiliari spettacoli licenziosi recitati dai giovani aristocratici del tempo. Il fatto che spettacoli a tematica erotica fossero rappresentati in piena controriforma non deve stupire, in quanto la Repubblica di Venezia fu uno dei pochi baluardi rimasti immuni all’Inquisizione, rivendicando sempre la sua laicità e libertà dal Vaticano.

L’amore sensuale è alla base della Venexiana e ciò che appare apprezzabile è la schiettezza e la naturalezza con cui è trattato il sesso, che al giorno d’oggi invece è sempre più spesso mostrato nelle sue forme estreme di moralismo o di perversione. Nella Venexiana anche il tema del maschilismo appare superato, sebbene si tratti di un testo del Cinquecento: l’opera vede infatti due dame tentare di sedurre un giovane forestiero, in una piena libertà di scelta e di coscienza della donna.

Gli attori sulla scena sono in tutto sei: la giovane nobildonna Valeria (Sara Alessandrini) e la sua serva Oria (Chiara Bozzi), la nobile vedova Angela (Caterina Calza) e la sua serva Nena (Beatrice Turra), il facchino Bernardo (Gabriele Masi) ed infine il giovane soldato forestiero, protagonista della vicenda: Iulio (Paolo Togni).

Il giovane Iulio è giunto a Venezia perché attratto dalle affascinanti donne che lì vi risiedono ed è innamorato di Valeria, la dama di rara bellezza che ha veduto alla finestra, ma del cui amore non è certo, in quanto lei si è mostrata ritrosa. Incontrando la sua serva Oria, la prega di riferire alla sua padrona che darebbe la sua vita pur di trascorrere qualche minuto in compagnia di lei, e di essere disposto a divenire suo schiavo d’amore.

I dialoghi sono artefatti e verbosi, come il costume dell’epoca richiedeva nelle schermaglie amorose tra nobili, ma è proprio in questi giri di parole che si snoda parte della comicità del testo, dato che molte delle battute si prestano a doppi sensi ed allusioni.

Valeria, lusingata dal giovane, ma orgogliosa, manda Oria a riferire a Iulio di venire quella notte stessa alle ore 3 a casa sua, dove gli avrebbe fatto trovare l’uscio socchiuso.

Nel frattempo, però, la vedova Angela, infatuatasi follemente del giovin Iulio, ordina alla sua serva Nena di trovare un modo per condurlo presso la sua abitazione quella notte stessa. Nena, degna dell’astuzia dei servitori plautini, convince il facchino Bernardo, dietro promessa di una lauta ricompensa, a trovare il giovane e a portarlo alla casa di Angela.

Bernardo – che invece ricalca Pantalone nella sua fame di denaro e nella voglia di sesso che non può soddisfare per via della sua età avanzata – con astuzia e complicità maschile persuade il giovane a disertare l’appuntamento con la ritrosa Valeria, per andare al sicuro letto d’amore con la vogliosa vedova.

Una volta giunto, il giovane, che all’inizio dello spettacolo si descriveva come integerrimo e virtuoso, beve il vino che gli viene offerto e si abbandona ad una notte d’amore sfrenato con Angela, che si mostra adorante e generosa nei suoi confronti, donandogli una catena d’oro come pegno del suo amore.

Valeria intanto è furiosa per la mancata venuta del giovane e non se ne riesce a capacitare. Invia perciò una seconda volta Oria ad invitare Iulio per la notte seguente. Iulio è ormai soddisfatto e non vorrebbe complicare la sua situazione, tuttavia dopo poche insistenze si lascia convincere. Si reca perciò all’appuntamento, ma dimenticandosi la collana al collo, che viene riconosciuta da Valeria, la quale lo caccia, irata.

Il giorno dopo, suo malgrado, Valeria invia nuovamente Oria a portare una nuova ambasciata a Iulio, perché la sua bramosia d’amore non s’è spenta, ma anzi accentuata dopo il suo rifiuto, impedendole di dormire tutta la notte. Oria dice dunque al giovane che Valeria sarebbe morta di dolore se non l’avesse visto e così, la commedia termina con l’atto d’amore tra Iulio e la giovane dama veneziana, in una celebrazione totale del godimento sensuale.

Il testo, originariamente in dialetto veneziano, è stato abilmente tradotto in italiano da Ludovico Zorzi, che è riuscito a mantenere molto dello spirito goliardico e della genuinità dialettale.

Lo stile recitativo è coerente con quello del Cinquecento ed è affine per alcuni aspetti alla Commedia dell’arte, dove grande importanza è data all’aspetto mimico-gestuale. Nello spettacolo i movimenti sono ampi ed esagerati e vi è grande fisicità. Inoltre i personaggi non hanno una vera e propria psicologia ma ricalcano le Maschere della Commedia dell’arte, in cui i personaggi  tipo (o stereotipati) impersonano i vizi umani, deridendoli e portandoli all’eccesso.

La regia è di Marco M. Pernich, mentre gli attori fanno parte dell’Officina Europea d’Arte dell’Attore.

La riscoperta del testo e dello spirito godereccio delle Venezia del Cinquecento si è rivelata davvero felice, grazie alla compagnia di attori che, oltre ad essere tecnicamente bravi, hanno coinvolto il pubblico divertendosi loro stessi in prima persona.


FONTI

teatro.it

CREDITS

Copertina e Immagini – Edoardo Panella

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