Recessione civica: gli effetti di una crisi economica

Ogni crescita economica, senza un alto civismo e fiducia sociale, non ha mai ottenuto grandi risultati. Hjerppe dimostrò tramite i dati della World Values Survey, che tra il 1980 e il 1992 a un aumento della fiducia seguisse un aumento della crescita economica pari a 0.46 punti. Mentre Friedman dedusse che gli effetti di una crisi economica, ricadrebbero non solo sul benessere della collettività, ma sull’aspetto democratico della stessa nazione.

La stretta relazione che unisce un sistema politico a quello economico ha portato numerosi studiosi a investigare sia sugli effetti delle crisi economiche sia sul modo in cui gli individui vedono la società e si rapportano con gli altri in seguito a esse. In particolar modo, queste teorie si concentrano sul legame tra il declino di carattere economico e le risposte dei cittadini in termini di orientamenti socio-politici, sottolineando come, in tempi di depressione economica, i cittadini possano voltare le spalle al civismo e alla democrazia (Bermeo, 2003).

A questo proposito non si può non citare lo studio di Pasquale Colloca sulla “recessione civica”, il quale indaga gli effetti della crisi economica sulla società. E in particolar modo, prende le mosse ponendosi il seguente quesito:

«Quanto un cambiamento repentino del benessere economico sta avendo un impatto sugli atteggiamenti alla base del vivere democratico, quali la tolleranza e il civismo, la concezione stessa di democrazia e gli orientamenti ideologici?».

E a questo proposito si può far riferimento a quanto affermato da Inghelart e Welzel, i quali hanno distinto tre approcci per indagare gli atteggiamenti civici:

  • approccio della legittimità;
  • approccio della comunità;
  • approccio dello sviluppo umano.

Il primo approccio si incentra su come i fatti economici possano influenzare la fiducia dei singoli verso le istituzioni. E a questo riguardo Colloca ha avviato un’indagine empirica al fine di dedurne il peso e la veridicità: i dati sono stati forniti dalla Life in Transition Survey II (LITS II), una ricerca internazionale condotta alla fine del 2010 dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che ha coinvolto 39.000 famiglie di 34 paesi e solo in Italia poco più di 1000 individui. Nella costruzione dell’indice di presenza della crisi in termini di cambiamento di stile di vita, è stata utilizzata la seguente domanda:

 «Nell’arco degli ultimi due anni, a te o a qualcuno del tuo nucleo familiare è capitato di mettere in pratica i seguenti comportamenti a causa di una diminuzione del reddito o per difficoltà di carattere economico?(sì/no)».

Nella batteria di 19 comportamenti pensati per cogliere l’intensità del cambiamento dello stile di vita, è possibile leggere la seguente:

«Con quale delle seguenti affermazioni lei è più d’accordo».

a cui l’interlocutore rispondeva scegliendo una possibilità sulle tre offerte:

  • «la democrazia è preferibile ad ogni altra forma di sistema politico»;
  • «in alcuni casi, un governo autoritario è preferibile a uno democratico»;
  • «per la gente come me, non importa se un governo è democratico o autoritario».

Dalla lettura dei dati è deducibile che, a differenza di quanto diffuso nel pensiero comune, con l’aumentare della povertà, gli uomini non tendono verso regimi autoritari, bensì verso atteggiamenti apatici. La crisi economica tende a ridurre le preferenze verso le forme di governo democratiche, a parità di caratteristiche socio-demografiche e status sociale. Più precisamente, i dati hanno rilevato come una depressione possa avere conseguenze soprattutto in termini di “indifferenza”.

Sono gli eventi straordinari come crisi economiche a condizionare la stessa fiducia dei cittadini verso le istituzioni politiche (Ross e Escobar-Lemmon, 2009) e a generare delle conseguenze antidemocratiche (Cordova e Seligson, 2009). Chi subisce maggiormente gli effetti della crisi non tende tanto ad appoggiare una forma autoritaria, ma a pensare che democrazia e autoritarismo non siano tanto diverse. In questa maniera si sviluppa la cosiddetta “apatia politica“. Infatti tanto più il singolo è costretto ad abbandonare il proprio stile di vita, tanto più aumenta la probabilità che egli possa perdere fiducia verso le istituzioni.

Infatti la possibilità di perdita di occupazione provoca rabbia, che non necessariamente ha effetti negativi sul sistema politico. Perciò si deve specificare che il peggioramento puramente materiale potrebbe non essere un rischio democratico se non accompagnato anche dalla prospettiva di un peggioramento sociale (declassamento dello status sociale). Il peggioramento materiale, dovuto alla crisi, ha più impatto quando si associa alla prospettiva di una perdita di status sociale (mobilità discendente). Al contrario, una prospettiva di mobilità ascendente (PoUM perspective of upward mobility) può svolgere un ruolo “compensativo” (determinante perché non ci sia recessione civica).

È stato però notato dai lavori di Colloca che lo stato di disoccupazione o di precarietà abbia una forte influenza sul sistema politico. Lavoratori stabili e disoccupati tendono a creare tra loro una frattura, che vede i secondi allontanarsi dalle forme di civismo. A un tentativo di colpevolizzare il sistema politico segue in questa maniera la formazione di una “cleavage” tra “insiders” e “outsiders”, che vede disoccupati opporsi per disinteresse e ideologie reazionarie contro i precari e gli occupati. Come infatti affermato dalla Teoria dei perdenti della modernizzazione: i “perdenti” (disoccupati) sono sia più propensi ad allontanarsi dalla politica, sia a preferire posizioni ideologiche conservatrici. Mentre i “meno perdenti” risultano essere meno marginalizzati e promuovono politiche rivolte all’occupazione e alla tutela dei lavoratori.

Altro importante fattore nella rilevazione è quello riguardante la sfiducia verso le elezioni locali e nazionali.  Sempre nell’opera di Colloca è stata proposta una cifra pari all’80% per quantificare il numero di cittadini che definiscono il voto necessario, che in caso contrario può ridursi fino al 40%. Chiaro tentativo di protesta verso un sistema ormai sfiduciato.

I dati Istat più recenti (2017) rilevano che l’8,4% degli italiani sia sulla soglia di povertà relativa e solo l’8,1 % è attivo politicamente. Ovviamente il fattore economico è solo una tra le tante variabili che si devono prendere in considerazione, ma è piuttosto incidente. In Italia, almeno, il diffuso sentimento di sfiducia verso il sistema politico è stata anche la risposta a un malessere economico. E alla sfiducia verso gli esponenti politici è seguita  una crescente “apatia politica” e l’affermazione di populismi e ricerca di nuovi mezzi di rappresentanza.

 


FONTI

P. Colloca, La recessione civica, Il Mulino, 2016.

Itanes, Voto Amaro, Il Mulino, 2013.

S. Vassallo, Sistemi politici comparati, Il Mulino, 2005.

R. Biorcio, Il populismo nella politica italiana, Il Mulino, 2015.


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