Il teatro dell’assurdo

Il teatro dell’assurdo nasce a Parigi negli anni Cinquanta del Novecento, periodo in cui il Dopoguerra volge al termine ed i valori legati alla decolonizzazione entrano in crisi. Non si tratta di una scuola, ma di una serie di attori differenti tra loro che hanno in comune l’angoscia per l’assurdità della condizione umana e scelgono di trasmettere la loro pessimistica concezione del mondo stravolgendo le regole del teatro. Lo Sbuffo ha recensito una delle principali opere di tale corrente, Aspettando Godot (1952) di Samuel Beckett. Invece questo articolo si propone di presentare le caratteristiche generali della corrente artistica.

Tra i principali esponenti del teatro dell’assurdo ricordiamo il già menzionato Samuel Beckett (Aspettando Godot, 1952; Finale di partita, 1957; Giorni felici, 1961), Jean Tardieu, Eugène Ionesco (La cantatrice calva, 1950; Il rinoceronte, 1959), Arthur Adamov e Georges Schehadé. Una seconda generazione comprende Harold Pinter, Robert Pinget e Boris Vian. Anche Jean Genet, autore di Le serve (spettacolo teatrale recensito qui), era stato inizialmente inserito da Esslin nel gruppo originario. Fra gli autori italiani, citiamo Achille Campanile, che tuttavia respinse tale accostamento, e Pirandello, che distruggeva le illusioni con il realismo e il comico. Tale genere teatrale è in stretta relazione con l’esistenzialismo di Sartre, le avanguardie surrealiste e il dadaismo.

L’espressione teatro dell’assurdo nacque dalla penna del critico Martin Esslin nel saggio The theatre of the Absurd (1961). L’angoscia dei drammaturghi deriva dall’assenza di ideali nella società del benessere del secondo Dopoguerra, che ha dimenticato i drammi della Guerra mondiale ed è dominata dall’industrializzazione e dal consumismo. Si tratta di un’epoca alienata, chiusa alla comunicazione in favore della solitudine in un clima di crisi e di angoscia.

Il nome della corrente artistica deriva dal fatto che i personaggi sono intrappolati in situazioni “assurde” e incomprensibili, prive di eventi realistici e azioni logiche; la trama è assente e costituita da un susseguirsi di situazioni di vuota immobilità. I dialoghi sono ripetitivi, serrati, insensati, surreali, spesso comici per contrastare con il riso l’assurdità dell’esistenza; vengono utilizzate spesso rime, assonanze, ripetizioni prive di significato e versi, dando luogo così ad una recitazione disarticolata. L’azione e il dialogo sono minimi e apparentemente privi di senso, scardinando così ogni regola teatrale tradizionale e creando una sorta di anti-commedia.

Ciò che colpisce immediatamente lo spettatore è l’abbandono di un significato drammaturgico razionale e il rifiuto di un linguaggio logico sequenziale. Della concezione del teatro di Aristotele, già demolita in precedenza da altri drammaturghi, non resta alcuna traccia. Come abbiamo già detto, i personaggi si ritrovano in una situazione di assoluta immobilità. La trama è sostituita da illogiche successioni di eventi apparentemente privi di significato, talvolta collegate dalle emozioni provate da un personaggio. La vicenda non ha un filo conduttore proprio perché l’uomo moderno ha perso il senso dell’esistenza.

Ma, se non esiste una trama, che cosa fanno i personaggi? Affrontano tematiche importanti per l’uomo, come l’amore, l’amicizia, la morte… analizzando la realtà. Due individui che inizialmente non si conoscono instaurano un rapporto di colloquialità e conversano su temi importanti, passando da un atteggiamento ilare a uno tragico. I dialoghi senza senso, ripetitivi e concisi, strappano infatti il sorriso nonostante la situazione tragica che stanno vivendo i personaggi. Il linguaggio in ogni caso è utilizzato in maniera illogica e non comunicativa.

Il movimento drammatico non ha ragione d’essere, a tale proposito l’autore può adottare diverse strategie: una soluzione strutturale, che non prevede relazioni interpersonali (Beckett), oppure una verbale, in cui il linguaggio e i vuoti creano incoerenza logica (Pinter) e viene smascherato il ruolo politico del linguaggio.

Pinter e Beckett adottavano una scrittura estremamente ritmica, indicando pause e silenzi. I testi in lingua originale sono preferibili perché l’inglese, essendo una lingua sincopata, è molto più ritmico e la comicità è assicurata.

L’umorismo svolge un ruolo centrale nel teatro dell’assurdo in quanto consente di partecipare al dolore del mondo adottando la strategia del distacco.  Il teatro dell’assurdo in effetti fa riflettere per la tragicità delle tematiche trattate ma fa anche ridere, in quanto il riso è la sola ancora di salvezza per i personaggi e, di conseguenza per gli spettatori.

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