Economic possibilities for our grandchildren: ora realtà?

John Maynard Keynes nasce a Cambridge nel 1883. Conosciuto come il padre della macroeconomica e uno tra i più influenti pensatori del XX secolo, sostenne l’importanza dello Stato nel settore economico, tramite la politica di bilancio e quella monetaria, e il concetto di economia mista.

Keynes opera negli anni più duri di una crisi che stava oramai divorando il mondo occidentale da tempo, in cui la stessa opinione pubblica vedeva la “fine” della civiltà e scivolava nel pessimismo totale. In una simile condizione, Keynes richiama le menti a un futuro più ottimista, ottimismo che non sarà certo privo di critiche da parte di altri economisti (si faccia riferimento a Revisiting Keynes di Lorenzo Pecchi). Proprio in quegli anni legge agli studenti del Winchester College e a quelli di Cambridge il discorso poi confluito nel testo Possibilità economiche per i nostri nipoti.
La depressione che domina il mondo è solo parte di un processo, giustifica l’economista. Per anni, anche secoli, la ricchezza media pro capite non è cresciuta a causa della carenza di sviluppi tecnologici e per problemi di natura sociale. Il mondo, quindi, dal XX secolo viene investito da un processo di sviluppo dalla velocità unica, incomparabile. E la fase a lui contemporanea è solo una «fase di equilibrio transitoria» causata «da una nuova malattia […] la disoccupazione tecnologica».
Con le nuove scoperte nascono nuove richieste nel mondo del mercato. La stessa manodopera viene surclassata e sostituita da macchinari, le cui tecnologie permettono una produzione molto più efficiente e superiore rispetto al passato. A questa sostituzione segue così la necessaria disoccupazione di buona parte della popolazione che non possiede le “skills” ora richieste dal mercato.
Questa fase condurrà al raggiungimento di ricchezze molto superiori a quelle degli anni precedenti. Keynes parla di un pil procapite 8 volte maggiore rispetto a quello del XIX secolo. Previsioni che potevano sembrare utopistiche nel prima metà del XX secolo, ma che ora sono quasi realtà. Si pensi solo al fatto che in Italia il pil procapite si sia moltiplicato di sette volte rispetto al primo dopoguerra. La domanda nasce spontanea: come è possibile che la ricchezza cresca mentre i singoli restano disoccupati?
La risposta è nella lettura del nostro tempo. Infatti, pur avvicinandoci sempre più al sogno di Keynes, siamo ancora lontani da ciò che lui auspicava: un ampliamento della classe media così da rappresentare l’intera società. Di base, affinché si possa raggiungere la tanto vagheggiata età dell’oro è necessario che tutti possano godere delle ricchezze prodotte, soddisfando tutte le proprie necessità. Ma non tutti i  bisogni sono uguali e precisamente, Keynes ne distingue due: assoluti (quali mangiare e dormire) e relativi (finalizzati a un miglioramento della propria condizione). Questi ultimi devono essere superati, dato che si basano sulla necessità che l’uomo ha di affermare la propria superiorità. Il problema è che sono ancora parte integrante, se non fondamentale, del nostro vivere, nonché causa del nostro malessere.
L’occupazione futura dovrà essere mirata così non alla ricerca di superiorità, bensì al soddisfacimento di un “Adamo” che è in noi, e quindi dei soli bisogni assoluti, che verranno poi accompagnati dal tentativo di una crescita individuale. Le ore di lavoro dovranno dunque necessariamente diminuire, offrendo maggior tempo libero agli individui. E in quelle stesse ore di pausa, ricorda Keynes, l’uomo dovrà occuparsi del suo io, preferendo il bene all’utile e ricercare la virtù.
Lo stesso Keynes ammette però che prima di raggiungere un’età di pace e prosperità, a cui tutti auspichiamo, dovremo attendere ancora cento anni. Un secolo in cui dovremo accettare ciò che è sbagliato come giusto, l’avarizia e l’usura come i nostri unici e soli dèi. Alleviando questi anni con la consapevolezza che la stessa concorrenza di cui ora siamo servi scomparirà, con la scarsità che l’ha resa necessaria.
Nel complesso sembrano semplici vaneggiamenti, ma l’economista la vede come una possibilità per superare quella crisi che divorava i suoi tempi e ora i nostri. La possibilità di creare un sistema collettivo, e non di derivazione “comunista“, fondato sulla reciprocità e l’allargamento delle possibilità come delle ricchezze. Creare servizi che siano tecnicamente sociali e non individuali, realizzando una società che offra benessere anche ai meno abbienti.

FONTI

J. M. Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti, Adelphi, 2009.

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