«Se stai per metterti a leggere, evita.»
Inizia così il racconto di Victor Mancini, protagonista di Soffocare. Il titolo sembra perfettamente calzante, non solo per via della trama – un ragazzo, per pagare le spese mediche della madre, ogni sera, in un ristorante diverso, finge di soffocare legando a sé la vita (e il portafoglio) di chi lo salva – ma anche per il ritmo serrato del libro che conduce in una spirale di amarezza e disincanto nei confronti della vita, in cui non sembra esserci spazio per i sentimenti e per la speranza, ma solo per una vena ironica e paradossale. Victor è un ragazzo solo, non fosse per la madre malata di Alzheimer e per il suo migliore amico con cui condivide il lavoro di figurante storico del Settecento e la dipendenza da sesso.
«Le dipendenze sono solo uno dei tanti modi per curare lo stesso problema. Le droghe, la bulimia, l’alcol, il sesso, sono strumenti per trovare un po’ di pace. Per sfuggire a ciò che conosciamo. A quello che ci insegnano.»
Il sesso è «una dipendenza di tipo fisico che aspetta solo di essere classificata nel sistema sanitario, perché le cure mediche te le paghi l’assicurazione».
Il racconto instaura fin dalle prime righe una profonda empatia col lettore, lo chiama in causa, lo invita – per certi versi, lo costringe – a guardarsi dentro e a interrogarsi su se stesso. I personaggi di Palahniuk sono reali e tangibili, nella misura in cui possiamo toccarli e riescono a toccarci. Le emozioni e i sentimenti non sono idealizzati ma messi a nudo nella loro verità più scarna, fino a essere disturbanti. Il sesso non fa eccezione: le descrizioni degli amplessi sono dettagliate, quasi scientifiche, senza filtri né censure, con un linguaggio che ci rende spettatori senza invadere l’intimità dei protagonisti perché l’intimità non esiste, se non quella che lega un tossicodipendente alla sua droga.
«Per un sessodipendente le tette, il cazzo, il clitoride o la lingua o il buco del culo sono una pera di eroina sempre lì, sempre pronta all’uso. Ci amiamo come un tossico ama la sua dose.»
In questo libro, pubblicato nel 2001, emerge la complessità di uno scrittore come Chuck Palahniuk, salito alla ribalta del successo nel 1996 con Fight Club, a cui si ispira l’omonimo film cult diretto da David Fincher. Anche Soffocare ha dato vita all’omonima trasposizione cinematografica nel 2008. Palahniuk, statunitense, ha iniziato a scrivere solo superata la soglia dei trent’anni. Dopo la laurea conseguita presso una scuola di giornalismo, infatti, si è dedicato al lavoro di meccanico; nello stesso tempo, praticava volontariato nei ripari per senza tetto e nelle case di riposo, ambientazioni che diverranno materiale per i suoi scritti, come in questo caso. Nelle sue opere emerge anche lo strascico della sua infanzia e giovinezza, vissuta lontano dai genitori divorziati, con i suoi fratelli e sotto la tutela dei nonni materni. Quelli paterni, invece, furono coinvolti in un omicidio-suicidio. Fu assassinato anche il padre, insieme alla sua compagna, nel 2001.
Oltre che come scrittore, oggi Palahniuk è affermato anche come giornalista freelance. Probabilmente, è anche da questa professione che deriva l’uso letterario di un linguaggio asciutto, povero di avverbi, che l’autore coniuga con una profonda sensibilità umana, garantita dal suo vissuto. Questa capacità è il tratto distintivo e originale della sua scrittura.
Soffocare, C. Palahniuk, Mondadori, Milano, 2002