“Icaro – l’ultimo volo” al Pacta

Si accendono le luci e sul palco quasi vuoto compare un uomo, solo, zoppicante e con vestiti sporchi, spaesato per l’oblio che lo circonda. Si aggira per lungo tempo in silenzio, accende una, due, tre candele e prega la Madonna di concedergli il volo. Vuole scappare, scomparire una volta per sempre. Vanni è un senzatetto che sogna di essere Icaro, il famoso personaggio mitologico che riuscì a liberarsi dal labirinto costruendo ali con la cera. “Icaro – l’ultimo volo”, in scena al Pacta Salone Milano all’interno di “vetrina contemporanea”, è un monologo prodotto da Compagnia scena nuda.

Vanni non può uscire dal labirinto della sua città. Azzarda tentativi di volo ma, come la cera di Icaro si scioglie al sole facendolo precipitare, così la cruda realtà lo incolla al terreno. Non può fuggire nemmeno figuratamente: continue sono le voci che lo distraggono e gli impediscono di fantasticare. Nella prima parte di spettacolo il monologo è un flusso di coscienza: non c’è coerenza nella sua mente e le distrazioni sono continue. Vanni senzatetto vive tutto nel presente: non si preoccupa di esporre razionalmente le cause della sua rovina e le reminiscenze dal passato gli pervengono sotto forma di impulsi che scompaiono poco dopo. Vanni non conosce più la bellezza del vivere, ha abbandonato il valore della dignità umana. Vaga continuamente alla ricerca di un appiglio a cui ancorare il suo estremo desiderio di evasione.

La seconda parte dello spettacolo si apre con Vanni sdraiato a terra, forse svenuto, addirittura morto. Quando si rialza sul palco c’è un nuovo personaggio: a parlare è un uomo, disperato certo, ma non più traviato come il Vanni senzatetto. Razionalmente racconta il passato lontano e le cause della disgrazia. Con tono dolce e malinconico rivive in prima persona la tragedia che ha dato svolta alla sua vita. Le due parti dello spettacolo differiscono anche linguisticamente: la prima parte in dialetto siciliano e la seconda in italiano. Così parla il regista, Salvatore Arena:

“La variazione della scrittura, siciliano nella prima parte, italiano nella seconda, è una scelta che dilata il tempo, lo rallenta, perché il protagonista possa capire dov’è il nodo, dove lo sbaglio e come espiare la sua colpa.”

Il dialetto, lingua popolare per eccellenza, sottolinea la degradazione dell’uomo e la bassa condizione sociale. Tuttavia grazie ad essa Vanni si riconosce parte del luogo in cui vive e in essa condensa la poca dignità e considerazione di se stesso. L’italiano è invece la lingua della coscienza, della colpa e del rimpianto.

L’utilizzo minimo degli oggetti di scena e lo spazio vuoto contribuiscono alla resa di un’atmosfera di estrema solitudine e malinconia. Tre candele dominano la scena, con cui Vanni tenta un contatto con la divinità, anche se fallimentare. La valigia, invece, identifica lo stato di vagabondaggio del protagonista: rimane chiusa fino alla fine dello spettacolo, quando percepisce la necessità di svelarne il contenuto.

La colpa che Vanni ha sulla coscienza non può essere espiata: nonostante provi a cancellarla, la terra lo incolla a sé, gli impedisce di spiccare il volo e purificare la sua anima. “Chi vorrebbe ricordare il dolore?”, si chiede ancora il regista. Vanni deve ricordarlo, al punto da perdere ogni rispetto di sé, ogni moralità e coscienza. Salvatore Arena dice ancora:

“Icaro” è un invito all’ascolto di tutti gli ultimi che ci circondano. Di quelli che vivono ai margini della città, alla periferia dell’indifferenza.”

La storia di Vanni apre uno spiraglio sulla vita degli ultimi, coloro che stanno ai margini delle città. Ogni spettatore viene chiamato ad essere sensibile e a prendere coscienza. Immedesimarsi in Vanni significa aprire il cuore all’uomo che perde lo stimolo di essere, a chi abbandona la considerazione di sé e viaggia nell’oblio.

Dentro la valigia ci sono delle piume. Raccoglierle è l’unica attività che mantiene in vita Vanni. Le custodisce gelosamente in quel fortino, ha paura che qualcuno possa rubargli la speranza di salpare. Vanni vuole volare, vuole salvarsi dal labirinto come Icaro. Proprio allora l’irrazionalità lo vince. Spicca il volo, l’ultimo volo.

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