Eutanasia legale, una battaglia anche per chi aiuta il malato

Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale era chiamata a esprimersi in merito alla costituzionalità del reato di aiuto al suicidio. Erano stati i giudici di Milano a chiedere l’intervento della Consulta perché avevano posto sotto processo Marco Cappato che aveva aiutato il noto Dj Fabo a spostarsi in Svizzera per procedere con l’eutanasia.

Tutto era iniziato il 13 Giugno 2014, quando Fabiano Antoniani, dj molto conosciuto nel mondo delle discoteche milanesi, a causa di un incidente – in seguito a una serie di lesioni – resta cieco e tetraplegico. Costretto a letto, immobilizzato, nutrito con un sondino e dipendente da un ventilatore per respirare, così come da vari antidolorifici, Fabo vorrebbe praticare l’eutanasia per porre fine alla sua vita senza soffrire, ma la pratica in Italia non è legale. Allora il giovane dj, con l’aiuto della fidanzata, riesce a entrare in contatto con l’associazione Luca Coscioni e con Marco Cappato, che avevano, nel 2013, già proposto in Parlamento una legge sull’eutanasia, che però era rimasta bloccata.

Visto lo stallo del dibattito in merito alla legge sul fine vita in Parlamento, e vista la quasi indifferenza verso le richieste di Fabo, che vorrebbe morire in casa propria piuttosto che in un paese lontano dal suo, il dj decide di recarsi in Svizzera dove l’eutanasia è legale. Sarà accompagnato proprio da Marco Cappato per il quale Fabo mostrerà riconoscenza fino alla fine della sua vita. Lo stesso Cappato darà l’annuncio della morte dell’Antoniani, avvenuta il 26 Febbraio 2017. Tornato a Milano, Cappato si autodenuncia e rivela ai carabinieri di stare aiutando anche altre persone. Con questo si apre ufficialmente il fascicolo per l’aiuto al suicidio, in base all’articolo 580 del codice penale. Esso viene affidato alle pm Tiziana Siciliano e Sara Arduino.

Queste ultime richiedono che il caso sia archiviato, sostenendo che Cappato non avrebbe fatto altro che aiutare Dj Fabo a esercitare il proprio diritto alla dignità umana, ma la loro richiesta viene rigettata dal giudice per le indagini preliminari che impone alla procura di disporre l’imputazione coatta per il reato di aiuto al suicidio.

Assolto dall’accusa di istigazione al suicidio, resta quella di aiuto al suicidio. Iniziano le udienze ma nel Febbraio 2018 la Corte di Assise di Milano invita la Corte Costituzionale a intervenire in merito alla costituzionalità della norma, perché questa è al momento equiparata nella pena per l’istigazione al suicidio, che prevede dai 5 ai 12 anni.

La Corte di Assise di Milano chiede se il reato di aiuto al suicidio sia punibile come quello di istigazione al suicidio, nonostante l’espressa volontà della persona aiutata di voler porre fine alla propria vita; inoltre si interroga se la pena che l’articolo 580 prevede indistinta per l’una e l’altra condotta sia proporzionale.

La Corte Costituzionale avrebbe dovuto esprimersi, ma ha deciso, ancora una volta, per un rinvio della decisione al 2019. Il motivo risiederebbe nella mancata tutela di determinate situazioni, se si scegliesse di procedere nella direzione dell’approvazione della costituzionalità della norma. Il rinvio dovrebbe permettere al Parlamento di intervenire sulla questione con maggiore disciplina.

 

L’eutanasia è un tema che si tratta da anni in Italia e il diritto a essa è stato a lungo dibattuto, ma la questione è rimasta irrisolta. È triste pensare che ci sia qualcuno che sceglie di porre fine alle sue sofferenze e che non possa mettere in pratica questa decisione nel proprio Paese. In Italia si può parlare della nascita di una vera e propria battaglia per il diritto all’eutanasia che si riconosce in una serie di vicende emblematiche.

Piergiorgio Welby, oltre che attivista e giornalista, è co-presidente dell’associazione Luca Coscioni. Affetto da distrofia muscolare amiotrofica, sin dall’adolescenza, è dipendente da un respiratore automatico. Durante il decorso della sua malattia si è impegnato nella battaglia per l’eutanasia e per la fine dell’accanimento terapeutico. Welby vorrebbe ottenere il riconoscimento del diritto di sospendere le cure. Dopo un ricorso al Tribunale di Roma per ottenere l’autorizzazione al distacco del respiratore, decide il 20 Dicembre 2006 di far spegnere il respiratore mentre è sotto sedazione, con l’aiuto di MarioRiccio, imputato, poi, per omicidio ma anche prosciolto successivamente per la volontà espressa del paziente di interrompere la propria vita.

Il 9 Febbraio 2009 muore, invece, Eluana Englaro. È un altro dei casi più noti in Italia. La ragazza, in seguito, a un incidente stradale resta in uno stato vegetativo permanente. La famiglia, visto lo stato disperato di Eluana, chiede la sospensione delle cure, in virtù della contrarietà più volte espressa della ragazza all’accanimento terapeutico. Nel ’99 la famiglia aveva chiesto di interrompere l’alimentazione forzata ma dovranno passare ben undici anni prima che la Cassazione decida, per due volte, in favore della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale.

Due casi più recenti sono, invece, quelli di Walter Piludu e Dino Bettamin. Il primo, ex presidente della Provincia di Cagliari, nel 2013 si ammala di Sla e muore nel 2016, dopo l’autorizzazione del giudice tutelare di Cagliari alla Asl della stessa città a interrompere le funzioni dei macchinari che lo tenevano in vita. Anche Dino Bettamin è colpito dalla Sla all’età di 65 anni e vorrebbe vivere senza soffrire gli ultimi giorni della sua vita, per cui sceglie la sedazione profonda per restare addormentato fino alla morte. Sul referto di morte si parla di arresto cardiaco ma, in realtà, è la prima volta che un dottore della guardia medica somministra una serie di farmaci a un malato di Sla.

 

Inoltre, proprio Marco Cappato, insieme con Mina Welby, è testimone di un altro caso in cui un uomo avrebbe voluto porre fine alla sua vita in Italia e non ha potuto. È Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, accompagnato anche lui in Svizzera e morto il 13 Aprile 2017. Cappato è infatti sotto processo anche a Massa per questo caso. In attesa della decisione della Consulta, anche questo processo è rinviato.

La battaglia per il diritto all’eutanasia è ancora lunga, ma a combatterla – e ad averla combattuta – sono in tanti. Forse questo processo nel 2019 potrà portare qualche cambiamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.