Una bestia sulla luna all’Elfo

Il genocidio armeno è una delle pagine più buie del Novecento e la storia dei sopravvissuti merita di essere raccontata tanto quanto quella delle vittime. Si occupa di un argomento così delicato Una bestia sulla luna, proposto dal Teatro Elfo Puccini di Milano, ove è stato in scena dal 16 al 21 ottobre 2018. Lo Spettacolo è di Richard Kalinoski, la traduzione di Beppe Chierici, la regia di Andrea Chiodi.

Aram Tomasian è l’unico sopravvissuto della sua famiglia al genocidio armeno, si trasferisce in America per ricostruirsi una nuova vita con la quindicenne Seta, orfana a causa dell’orrore commesso dai turchi e da lui sposata per procura. Lo spettacolo racconta il difficile fardello di essere scampati ad uno sterminio e l’impossibilità di determinare le proprie esistenze in seguito ai casi che il destino sceglie per ciascuno di noi. Nell’ordinaria esistenza della coppia comparirà Vincenzo, un esuberante orfanello italiano bisognoso di cure e di affetto. La storia d’amore e gli scontri tra Aram e Seta è raccontata da un anziano signore, che svolge l’apparente funzione di narratore extradiegetico, ma successivamente lo spettatore lo identificherà come un personaggio della vicenda.

La scelta del cast è alquanto singolare: se gli attori che interpretano Aram (Fulvio Pepe) e il narratore (Alberto Mancioppi) hanno un aspetto simile a quello dei propri personaggi, i ruoli di Seta e Vincenzo sono stati invece affidati ad artisti molto diversi dal profilo che lo spettatore si immagina ascoltando le battute. Seta dovrebbe essere una ragazzina di quindici anni all’inizio dello spettacolo e poco più vecchia al termine della rappresentazione, ma viene interpretata da Elisabetta Pozzi, una cinquantenne, creando un effetto straniante. Considerando che Seta è prima una bambina costretta a vivere la vita di una signora sposata e successivamente una giovane adulta con la consapevolezza di una donna vissuta, tale effetto di spaesamento conferisce spessore allo spettacolo ed è decisamente appropriato. L’attrice è inoltre la star dello spettacolo sia per la magistrale interpretazione sia per la propria fama presso il pubblico. Il piccolo Vincenzo (Luigi Bignone) infine è interpretato da un ragazzo molto basso e dalla fisionomia pulita da bambino, ma i segni della barba sulle sue guance erano evidenti. Il ruolo dell’orfanello è molto complesso e probabilmente è stato scelto un artista adulto perché un bambino non avrebbe mai avuto l’esperienza necessaria per affrontare una simile sfida.

La scenografia (Matteo Patrucco) è essenziale ma efficace, semplice come sarebbe apparsa la casa dei due armeni: un tavolo, alcune sedie, pannelli scorrevoli per consentire di entrare ed uscire di scena. Svolgono una funzione molto importante i numerosi oggetti di scena che caratterizzano lo spazio molto più delle scenografie, ricordiamo per esempio un ferro da stiro, una carrozzina per neonati, torte realmente commestibili, una macchina fotografica, pacchi regalo, cappotti, uno specchio, una bambola e una foto che raffigura soggetti privi di teste. I costumi (Ilaria Ariemme) sono realistici, umili, non dissimili da quelli che avrebbero potuto indossare degli immigrati americani nel primo Novecento; i personaggi si cambiano d’abito spesso nel corso della rappresentazione, in alcuni casi gli indumenti sono diventati veri e propri oggetti di scena funzionali alla trama. Le luci sono di Cesare Agoni e le musiche di Daniele D’Angelo.

Le fotografie rivestono un ruolo primario nella rappresentazione perché sono l’emblema del ricordo sia della tragedia degli armeni, sia del futuro che Aram e Seta vogliono costruire insieme. Sullo sfondo vengono proiettate fotografie del genocidio, fornite dall’Archivio Wegner, e finte immagini d’epoca che ritraggono gli attori. Questa seconda categoria di fotografie vengono scattate, nella finzione teatrale, da Aram per documentare gli eventi più importanti della sua nuova vita in America durante lo svolgimento della storia, il suo gesto simboleggia la volontà e la necessità di ricostruire una storia famigliare stravolta dal massacro. Le vicende dello sterminio non compaiono mai sulla scena, ma vengono evocate dalle parole dei personaggi; persino le fotografie autentiche non ritraggono mai l’orrore dello sterminio.

Il ritmo della narrazione è molto lento perché la struttura del racconto è fondata sui dialoghi, che devono essere seguiti con attenzione per gustare appieno la rappresentazione. La recitazione è realistica e mira ad emozionare lo spettatore. Non abbiamo compreso la scelta del titolo, pertanto ci chiediamo ancora a cosa si riferisca o chi sia la bestia sulla luna.

FONTI

elfo.org

CREDITS

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