Il tema dell’età dell’oro nell’arte tra il XVI e il XX secolo

La rappresentazione utopica del paesaggio perfetto e della realtà ideale sono sempre stati temi largamente rappresentati da artisti di ogni tempo, e la loro interpretazione è andata via via modificandosi.

Con il passare dei secoli e il susseguirsi dei mutamenti storici e sociali, il tema dell’età dell’oro è andato a modificare la propria iconografia e interpretazione.

Per cominciare, la genesi del tema è molto antica.
Il primo che cantò la grandezza di questo tempo felice fu il poeta greco Esiodo, nel suo poema Le Opere e i giorni, dell’VIII secolo a.C., in cui tratta della necessità del lavoro da parte dell’uomo, motivandone la causa e dando anche indicazioni pragmatiche su come effettuare il lavoro agricolo al meglio. Più precisamente, l’età dell’oro è trattata nel secondo mito narrato, in cui viene detto che l’uomo vive cinque età nel corso della storia. La prima di queste è appunto quella dell’oro. Era questo il tempo in cui l’uomo non aveva bisogno di lavorare, nemmeno sapeva cosa fosse il lavoro.

“Gli dei immortali … fecero una stirpe aurea di uomini mortali, che vissero al tempo di Crono. Essi vivevano come numi, senza dolori, senza fatiche, senza pene. Non gravava su di loro la vecchiaia … si rallegravano in conviti in assenza di ogni male … avevano ogni sorta di beni: la terra fertile produceva spontaneamente frutti ricchi e copiosi. Benevoli e pacifici, abitavano nelle loro terre ricchi di greggi e amati dagli dei beati.” (Esiodo, Le opere e i giorni, trad. di G. Costa).

Ma questo periodo di costante beatitudine terminò quando Prometeo rubò il fuoco per donarlo agli uomini: da quel momento l’umanità cominciò a decadere attraverso le successive tre età (dell’argento, del bronzo e degli eroi), fino a raggiungere l’ultima, quella del ferro, ovvero quella che stiamo vivendo ora. L’età del ferro è caratterizzata da sforzo, sofferenza e dall’obbligo di lavorare per sopravvivere.
Ciò che può spingere l’uomo ad andare avanti e resistere alle sofferenze che deve subire durante questo periodo, è il fatto che queste cinque età si ripetono ciclicamente all’infinito, dunque prima o poi abbandoneremo la pesante età del ferro per tornare alla mitica età dell’oro. Il mito di Esiodo è sopravvissuto, tramandato da grandi poeti come Virgilio, che lo menziona nelle Bucoliche, in chiave profetica e politica. Trattando della situazione dell’impero romano a lui contemporanea, profetizza la nascita di un bambino che innalzerà nuovamente l’umanità dall’età del ferro a quella dell’oro.

Da questi primi testi di riferimento, si nota come i temi cardine dell’età aurea siano in primis l’innocenza dell’uomo e la libertà dal lavoro, insieme allo stretto contatto con la natura e alla ciclicità delle cinque età mitiche.
Per quanto riguarda il lavoro, gli artisti rappresentano molto bene la sua assenza e la conseguente libertà che l’uomo gode. Se l’individuo moderno è costretto a lavorare per sopravvivere, spesso soffre per colpa del proprio impiego -soprattutto a seguito della rivoluzione industriale che l’ha modificato e meccanizzato così profondamente,- durante l’età dell’oro nessuno aveva bisogno di lavorare, nessuno si sentiva in obbligo di faticare, sudare o soffrire. Gli artisti mostrano quindi ambienti idilliaci e immobili, personaggi dalle pose rilassate, sdraiati sull’erba soffice, a stretto contatto con la natura, che vivono la propria vita indisturbati e intoccati dal lavoro, un concetto a loro sconosciuto. Iniziando il percorso vero e proprio attraverso alcune opere d’arte che meglio rappresentano questo tema, si può iniziare da Lucas Cranach, maestro del rinascimento tedesco, che realizza due tavole molto simili intitolate proprio L’età dell’Oro (1530).

Lucas Cranach, L’età dell’oro, 1530 ca., Oslo, Galleria Nazionale di Oslo
Lucas Cranach, L’età dell’oro, 1530 ca., Monaco, Alte Pinakothek

Il paesaggio verdeggiante, simile ad un hortus conclusus, accoglie al suo interno personaggi nudi e danzanti, chiaramente appartenenti ad un tempo ideale. Costoro non hanno preoccupazioni, tanto che chi non danza se ne sta tranquillamente sdraiato sul prato o adagiato nello specchio d’acqua. Tutti sono perfettamente rilassati, semplicemente perché non hanno mai conosciuto la paura, il timore o l’agitazione. Vivono in questo idillio da quando sono nati e così continueranno a fare fino al momento della loro morte, a sua volta vissuta senza alcun sentimento negativo, ma in totale accettazione. La vegetazione è ricca e gli uomini vivono in armonia sia con l’ambiente, che con gli animali.
In lontananza, all’esterno delle mura che proteggono questo paradiso, si nota una città, rappresentazione dell’età del ferro, della nostra realtà, compitamente distaccata dall’età aurea. Più di un secolo dopo, nel 1648, il maestro francese Nicolas Poussin realizza il Paesaggio con le ceneri di Focione.

Nicolas Poussin, Paesaggio con le ceneri di Focione, 1648, Liverpool, Walker Art Gallery

Focione (402-318 a.C.) è stato un generale ateniese, che strinse accordi con i macedoni e venne ucciso dai suoi compagni per un’ingiusta accusa di tradimento. Il suo corpo venne bandito al di fuori delle mura cittadine e fu vietato a chiunque di cremarlo e rendergli gli onori necessari.
Nella tela, Poussin rappresenta il momento in cui una donna, probabilmente la vedova, in primo piano, dissotterra le sue ceneri, dopo che il corpo era stato cremato da un altro personaggio, sempre in gran segreto.
Nonostante il titolo dell’opera, la tela si concentra in minima parte sulla vicenda di Focione, mentre è costruita più per rappresentare un paesaggio ideale. Anzi, se non fosse per il titolo, difficilmente si capirebbe a quale episodio l’artista stia facendo riferimento.
Il paesaggio è immerso in un’atmosfera tranquilla. I personaggi, esclusa la vedova, non sembrano avere niente a che fare con Focione, ma anzi stanno vivendo la propria vita con rilassatezza: c’è chi è disteso sul prato a conversare, chi cammina tranquillo lungo il sentiero, addirittura chi che suona uno strumento a fiato.
Inoltre, la composizione è costruita su due diagonali che dall’angolo in basso a destra e da quello in basso a sinistra si congiungono in centro, portando lo sguardo dello spettatore con loro, facendogli percorrere tutta la tela dalle estremità verso il centro.
La scena risulta quindi essere una rappresentazione di un mondo utopico, dove nemmeno la morte ingiusta di un generale può sconvolgerne l’armonia.
La tela è compagna di un’altra, sempre realizzata da Poussin, rappresentante I funerali di Focione (1648).

Nicolas Poussin, I funerali di Focione, 1648, Earl of Playmouth, Oklay Park

Pierre Puvis De Chavannes offre il suo contributo al tema dell’età dell’oro.
Nel 1882 realizza Paese dolce.

Pierre Puvis De Chavannes, Paese Dolce, 1882,Bayonne, Musee Bonnat

L’opera è proprio quello che esprime il titolo: dolce.
Realizzata per un amico, rappresenta un momento di quotidiana tranquillità. Poco lontano dal mare di un blu acceso, ci sono un gruppo di donne e bambini. Dagli abiti dei personaggi si può dedurre che Puvis de Chavannes segua principalmente la fonte virgiliana, in quanto i pepli delle donne e la nudità dei bambini riportano a quell’epoca.
Due bambini fanno la lotta: è l’unico movimento nella tela e anche questo risulta come sospeso. I personaggi sono nudi o semi nudi, perché il bisogno dei vestiti semplicemente non esiste: stanno bene così, e nessuno impone loro di nascondersi. Non c’è nessuno che dice loro come comportarsi, sono totalmente liberi.
La composizione è costruita su una diagonale che dall’angolo in basso a destra va all’angolo opposto, aiutando l’occhio dello spettatore a coprire tutta la tela con un unico movimento.

Nello stesso periodo, Georges-Pierre Seurat dipinge uno dei suoi maggiori capolavori: Bagnanti ad Asnières (1884).

Georges-Pierre Seurat, Bagnanti ad Asnières, 1884, Londra, National Gallery

In questo caso, il tema dell’età dell’oro viene attualizzato, preso da un’angolazione totalmente diversa rispetto a tutti gli esempi precedenti.
L’autore rappresenta la sua contemporaneità. Si tratta di una scena di vita quotidiana, realistica, per nulla idealizzata. Asnières-sur-Seine è infatti una piccola cittadina fuori Parigi che si affaccia sulla Senna, qui rappresentata. Al tempo, la città stava vivendo una forte industrializzazione, che Seurat richiama rappresentando le fabbriche in sfondo, con i loro fumi grigi. I personaggi rappresentati sono infatti lavoratori, operai che durante la loro pausa giornaliera si recano alla Senna per riprendersi e rinfrescarsi.
L’età aurea in questo caso ha la durata di una pausa da operaio.
Non siamo davanti ad un tempo mitico, e nemmeno ad una ambientazione utopistica. È tutto reale, questa scena era davvero quello che si vedeva sulle rive della Senna vicino ad Asnières in quegli anni. Qui il lavoro c’è, o meglio, è assente dalla tela in quanto i lavoratori sono colti in un momento di pausa, ma proprio per questo è più presente che mai, sottolineato anche dalle fabbriche in sfondo. Seurat rende omaggio agli operai rappresentati, rendendoli protagonisti della sua grande tela (2×3 mt).

Contemporaneo di Seurat, Paul Signac realizza Al tempo dell’armonia (L’età dell’oro non è nel passato, ma è nel futuro), nel 1893-85.

Paul Signac, Al tempo dell’armonia (L’età dell’oro non è nel passato, ma è nel futuro), 1893-85, Montreuil, Municipio

L‘opera è enorme, misura circa tre metri per quattro, ed è pensata per lo spazio pubblico del municipio di Montreuil, dov’è conservata ancora oggi.
Anche qui si ha la rappresentazione di una società ideale, e l’ambientazione è quella reale di Saint-Tropez, un vero paradiso in terra che si presta benissimo al tema dell’età aurea.
L’autore intende dare un messaggio preciso, e lo si capisce già dal titolo, così dettagliato: l’armonia regna sovrana e uomo e natura convivono pacificamente. La frase tra parentesi, “L’età dell’oro non è nel passato, ma è nel futuro”, indica che l’età dell’oro, secondo l’autore, non è quella cantata dagli antichi e irrimediabilmente persa, ma anzi, è nel futuro, dunque arriverà presto. In primo piano rappresenta un uomo che ha appena abbandonato una pala e sta cogliendo un frutto dall’albero: è l’inizio del’abbandono del lavoro, rappresentato dalla pala, dunque il principio dell’età dell’oro.

I due uomini in primo piano a destra stanno giocando a bocce: di nuovo, il lavoro è assente e il gioco ha la meglio.
In secondo piano due amanti danzano stretti in un dolce abbraccio. Sulla riva del mare, Signac inserisce un autoritratto: un pittore sta infatti lavorando con una modella in posa.
Sullo sfondo, nascosta tra le tacche di colore e molto piccola, c’è una macchina agricola: così lontana dall’idillio in primo piano proprio perché il lavoro può essere presente, anzi ovviamente nella vita di fine ottocento è presente per tutti, ma non deve mai schiacciare l’uomo.

Passando nel Novecento, nel 1905 Henri Matisse realizza uno dei suoi più grandi capolavori: Lusso, calma e voluttà.

Henri Matisse, Lusso, calma e voluttà, 1905, Parigi, Musèe d’Orsay

Estremamente rappresentativo del tema trattato fin dal titolo proveniente da una poesia di Charles Baudelaire, il quadro rappresenta lo stesso soggetto dell’opera di Puvis: un gruppo di personaggi, soprattutto donne, che prendono il sole e si rilassano in riva al mare. Anche questa è una rappresentazione del paesaggio soleggiato di Saint-Tropez, dove Matisse risiede. La tecnica pittorica si allontana dal pointillisme per avvicinarsi al fauvismo, soprattutto nei colori accesi e espressionisti e nelle pennellate a tacche di colore.
Matisse affronta il tema delle bagnanti, riprendendolo sicuramente da Cézanne, grandissimo maestro di tale iconografia, ma inserisce anche un omaggio a Èduard Manet tramite la colazione in primo piano, chiara citazione della sua scandalosa Colazione sull’erba (1863).
Anche in questo caso l’atmosfera è serena e felice, espressa anche dai gialli squillanti e dai rosa soffici. Le figure riprendono le pose di Cèzanne, ma anche quelle più classiche della Venere anadiomene, nella donna in piedi a destra.
La composizione è poi divisa in due parti dalla linea della costa che dall’angolo in basso a destra sale a quello in alto a sinistra, dividendo la tela in due triangoli: uno dedicato alle donne, rappresentativo del paradiso in terra che stanno vivendo, nude e rilassate sotto il caldo sole francese; l’altro, dedicato all’idea del viaggio, espressa dalla poesia di Baudelaire Invito al viaggio, e dalla barca indirizzata verso l’orizzonte.

Un ultimo esempio si può ritrovare nella tela dell’italiano Renato Birolli, del 1935.
Con L’Eldorado, l’artista rappresenta, un po’ come aveva fatto Seurat, un luogo reale che a suo dire incarna un momento e un luogo da sogno. Si tratta dello stabilimento balneare Eldorado, oggi chiuso, che sorgeva nella periferia di Milano, sul fiume Lambro.
Lo stabilimento, sui toni dei blu, si erge in un mare di vegetazione dai colori caldi, creando un forte contrasto. Birolli rappresenta il soggetto alla fine di un percorso, come fossero le porte del paradiso, invece che quelle di un semplice stabilimento balneare milanese. È proprio questo che sente: quel luogo è fonte di gioia, svago e rilassatezza per tantissime persone di tutte le età, che si ritrovavano in questa temporanea età dell’oro.
I colori sono accesi e in forte contrasto tra loro. La pennellata e la composizione riprendono van Gogh, soprattutto nelle pesanti linee di contorno, ma anche i fauvisti e i colori dell’espressionismo.

Questi sono solo alcuni dei nomi che hanno dato un contributo prezioso a un tema tanto indagato come quello dell’età idilliaca, ma si sarebbe potuto fare anche il nome di Paul Gauguin, soprattutto per quanto riguarda il suo ultimo periodo tahitiano.



 

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