Vox: quando non ci resta più nemmeno la voce

Cento parole, pochi diritti, uno Stato opprimente in cui l’estremismo religioso ha preso il sopravvento. Questo è il mondo creato da Christina Dalcher nel suo romanzo Vox, uscito in Italia a settembre e acclamato dal Time come il romanzo manifesto del movimento #MeToo.

Aggiungendo un altro titolo al fortunato filone della letteratura distopica “al femminile”, che vanta titoli come Il Racconto dell’Ancella di Margaret Atwood e Ragazze Elettriche di Naomi Alderman, la Dalcher ci racconta la quotidianità di Jenna McClellan e delle donne statunitensi che, per volere di un governo bigotto, misogino e omofobo, si vedono private del diritto di esercitare la più umana (nel senso di ciò che ci connota come esseri umani) delle capacità: il linguaggio.

Un contatore al polso infatti, tarato sulla voce di chi lo indossa, conta le parole pronunciate durante la giornata e, raggiunta la quota di cento, inizia a rilasciare scosse elettriche sempre più potenti e dolorose.

Ma non è tutto: i libri sono vietati, così come penne, quaderni, francobolli, telefoni e computer. Persino la scuola è cambiata o almeno lo è per bambine e ragazze: lasciate da parte le altre materie, ci si dedica al giardinaggio, economia domestica e aritmetica.

«Adesso le abitudini sono altre. Abbiamo a disposizione una quota fissa di cento parole al giorno. I miei libri (…) sono chiusi a chiave in un armadietto, così Sonia non può prenderli. Il che significa che non posso prenderli nemmeno io.»

L’uguaglianza, la parità di diritti, il rispetto della donna in quanto essere umano sono completamente cancellati dal credo del Movimento per la Purezza. Anni di lotte sociali sono spazzate via in un soffio:

«Io CREDO che l’uomo sia stato creato a immagine e gloria di Dio e che la donna sia gloria dell’uomo, poiché l’uomo non deriva dalla donna, bensì la donna deriva dall’uomo. Come donne, siamo chiamate al silenzio e all’obbedienza. Se dobbiamo imparare, chiediamo ai nostri mariti nell’intimità di casa, poiché è peccato che una donna metta in discussione l’autorità maschile voluta da Dio. Quando obbediamo al comando dell’uomo con umiltà e sottomissione, riconosciamo che a capo di ogni uomo sta Cristo e che a capo di ogni donna sta l’uomo».

Ma definire Vox come l’ennesimo romanzo che prende spunto da una società estrema ed estremizzata per fare mera protesta politica e sociale vorrebbe dire ignorare quella complessità di fondo che lo rende così attuale. La scelta del perdere, tra tutti, proprio il diritto di parola (prima ancora che quello di uscire di casa, per esempio), non è casuale, come non lo è il fatto che Jenna fosse una neurolinguista prima di dover rinunciare alla sua carriera.

La stessa autrice infatti era ricercatrice nel campo della linguistica e non stupisce che dedichi tanta importanza ai fenomeni legati all’uso del linguaggio.

Consapevolezza scientifica dunque, ma anche politica, fan da sfondo alle vicende del romanzo, che si sviluppa in maniera del tutto inaspettata diventando quasi un thriller con tanto di storia d’amore. E proprio questa presa di coscienza rende Vox tanto attuale; la protagonista infatti è dolorosamente consapevole della sua responsabilità, del ruolo che ha giocato nella salita al potere dell’attuale governo. Il ruolo di chi non ha fatto nulla per cambiare le cose:

«Ho iniziato a essere responsabile due decenni fa, la prima volta che non ho votato, la milionesima volta che ho detto a Jackie che ero troppo impegnata per partecipare a una delle sue manifestazioni o per disegnare un cartellone o scrivere ai membri del Congresso».

La potenza e la forza del romanzo stanno nel fatto che quanto succede a Jenna, a sua figlia Sonia e in generale alle donne statunitensi – per quanto possa sembrarci assurdo e inconcepibile – non è poi così distante da tanti altri fenomeni di oppressione realmente accaduti in passato:

«Vorrei maledire ad alta voce gli uomini che ci hanno ridotto così, o gli esperti di marketing coi loro sciagurati tentativi di persuaderci che abbiamo ancora una scelta. Immagino che, se mai le cose torneranno alla normalità, useranno tutti la vecchia scusa: Stavo solo eseguendo gli ordini. Dove l’abbiamo già sentita?».

E persino quando la sua amica Jackie cerca di farle aprire gli occhi, ancora prima che le cose inizino a degenerare, Jenna si rifiuta di darle retta:

«Un giorno o l’altro cambierai idea, tesoro.» Ha lanciato un tascabile sul sofà di seconda mano su cui ero sdraiata. «Leggi questo. Ne parlano tutti. Tutti quanti.» Ho preso il libro. «È un romanzo. Lo sai che non leggo romanzi.» Era vero: con cinquecento pagine di articoli da macinare a settimana, non avevo tempo per la narrativa. «Leggi almeno la quarta di copertina.» L’ho fatto. «Una cosa del genere non potrebbe succedere mai. Mai. Le donne non lo permetterebbero».

Il dramma che consuma la protagonista è, soprattutto, il rimorso di non aver visto, di aver finto di non vedere cosa stesse accadendo, di aver pensato che “a noi non accadrà mai” con la dolorosa consapevolezza che forse ora è troppo tardi per cambiare le cose.

Al di là della trama, del finale a sorpresa quasi da action movie hollywoodiano con sparatorie e colpi di scena, quello che Vox ci dice è di non chiudere gli occhi, di rimanere vigili e consci che l’uguaglianza, la parità tra i sessi, il diritto di amare,  la libertà di espressione vanno difesi a qualsiasi costo poiché, citando Burke:

«Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione».

 


FONTI

C. Dalcher, Vox, Nord, 2018.

Time


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