‘Carlo Carrà – Una vita appassionata’ in mostra a Palazzo Reale

Ha aperto le porte lo scorso 4 ottobre la più grande personale di Carlo Carrà mai realizzata, visitabile fino al 3 febbraio 2019, presso il Palazzo Reale di Milano.
Il sottotitolo della mostra, ‘Una vita appassionata’ è una citazione dell’artista stesso, che guardando al passato sceglie un aggettivo che esprime l’amore che provasse per il proprio lavoro e in generale, per la vita.
Lo si capisce una volta al cospetto del suo lungo percorso artistico che, coprendo circa 50 anni di carriera, è passato attraverso innumerevoli modificazioni di linguaggio.

Carlo Carrà

Carlo Carrà è nato nel 1881 a Quargnento, in provincia di Alessandria.
La sua formazione da artista inizia presto, prima frequentando la scuola superiore d’arte applicata all’industria del Castello Sforzesco nel 1904-05, dove si specializza nella decorazione murale, e dal 1906 con la frequentazione dell’Accademia di Brera.
Il suo percorso artistico è tortuoso e pieno di cambiamenti di rotta, pur sempre coscienziosi e in linea con i tempi. Il primo periodo lo vede militare nelle fila dei pittori divisionisti, guardando alle opere di Gaetano Previati e del suo pupillo Umberto Boccioni, assorbendo la loro pennellata filamentosa.
La mostra di Milano si apre con una piccola stanza con un disegno di primissima fase e un piccolo dipinto in stile divisionista. Segue poi una grande sala dove al divisionismo –presentato dalla Allegoria del lavoro(1905),- sono presentate molte opere della sua fare futurista, fondamentale per il suo cammino.
Nel 1909 infatti, grazie anche all’amicizia con Boccioni, conosce Filippo Tommaso Marinetti –che in quell’anno pubblica il suo Manifesto futurista,- e Luigi Russolo, con cui firmerà l’anno seguente il Manifesto dei pittori futuristi, a cui si aggiungono le firme di Gino Severini e Giacomo Balla.

Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni e Gino Severini, 1912

In mostra sono proposte molte opere significative di questa fase, provenienti da musei pubblici e collezioni private. Questo è uno dei dati di fondamentale importanza della mostra: sono esposte opere provenienti da moltissime collezioni private, che altrimenti non sarebbe possibile vedere.
Rappresentative del futurismo sono opere come Ciò che mi ha detto il tram del 1911, dove, seguendo le linee guida del Manifesto, Carrà mette lo spettatore al centro del quadro, innovando la visione dell’opera, in cui chi guarda si trova catapultato all’interno della composizione, nel bel mezzo degli avvenimenti.

Carlo Carrà, ‘Ciò che mi ha detto il tram’, 1911

Sempre nella stessa sala dedicata al periodo futurista sono presenti vari lavori delle Parole in libertà, ideate da Filippo Tommaso Marinetti nel 1912 ed eseguite da Carrà tra il 1914-15.
Con questo tipo di rappresentazioni, dove manca la punteggiatura e le parole non hanno legami grammaticali le une con le altre, ma sono utilizzate in modo onomatopeico, o per rappresentare idee e sensazioni, gli artisti futuristi intendono eliminare ogni legame sintattico per dare piena libertà alle parole, ai loro suoni e all’aspetto delle singole lettere.
In mostra sono presenti il Rapporto di un nottambulo milanese del 1914, opera realizzata con collage e inchiostro su carta, anticipatrice della Festa patriottica, dello stesso anno.

Carlo Carrà, Rapporto di un nottambulo milanese, 1914

Distaccandosi dal futurismo, tra il 1915 e il 1916, Carrà passa ad un linguaggio molto più arcaicizzante, dai volumi pieni e massicci, che si rifanno ai primitivisti italiani, soprattutto a Giotto e Masaccio, che stava studiando in quel periodo. In mostra sono presenti anche molte prime edizioni dei testi a cui Carrà ha contribuito (come il Manifesto, o gli articoli su Lacerba), ma anche il suo Guerra pittura del 1915, e i due testi critici importantissimi su Giotto (Parlata su Giotto) e Paolo Uccello (Paolo Uccello costruttore), entrambi pubblicati su La Voce nel 1916, che lo avvicinano appunto ad un arcaismo di tradizione rinascimentale. Allontanandosi sempre più dal futurismo, Carrà viene in contatto con Giorgio de Chirico e suo fratello Alberto Savinio, nel 1917.
Subito attratto dalla loro visione, in quell’anno realizza opere come Penelope e La camera incantata, dove l’influsso dechirichiano risulta forte e chiaro.

Carlo Carrà, Penelope, 1917

Tuttavia, negli anni Venti, Carrà abbandona anche il percorso metafisico. Segue una fase risolutiva, in cui l’artista cerca di ripulire la propria are da tutti gli influssi esterni precedenti, e come dichiara nel 1922:

“Questa data segna la mia ferma decisione di non accompagnarmi più ad altri, ma di essere soltanto me stesso.”

Proseguendo infatti su una strada del tutto personale, Carrà approfondisce ulteriormente la rielaborazione di Masaccio e colleghi, che risulta nelle opere degli anni Venti e successivi, in cui unisce un sentimento di sospensione, a volte pacifica, a volte ansiosa, e quasi sempre malinconica, come in Sera sul lago (Barca solitaria):

Carlo Carrà, Sera sul lago (Barca solitaria), 1924

Molti sono anche i paesaggi, soprattutto le vedute di Forte dei Marmi, dove Carrà alloggia ogni estate dal 1926.

In mostra c’è inoltre una sala dedicata alla pittura murale di Carrà –l’artista firma il Manifesto della pittura murale, redatto da Mario Sironi, nel 1933,- con otto disegni preparatori per gli affreschi nel Palazzo di Giustizia di Milano, rappresentanti la giustizia divina di Cristo e quella terrena di Giustiniano.

Carlo Carrà scompare nel 1966 a Milano, dopo una vita appassionata, appunto, e totalmente dedita alla professione di artista. La mostra milanese si chiude con una sezione molto raccolta dedicata ai suoi autoritratti. Sono 3, uno di piccolissime dimensioni, un altro in cui Carrà si ritrae di profilo omaggiando Giotto agli Scrovegni, e un terzo di stampo più tradizionale.

La mostra è curata da Maria Cristina Bandera, realizzata con la collaborazione di Luca Carrà, nipote dell’artista. Il biglietto d’ingresso intero è di 14 euro, e sono disponibili varie riduzioni fino all’ingresso gratuito. Ogni entrata comprende un’ audioguida ben fatta e mai ridondante. La mostra è un evento fondamentale, innanzitutto in quanto personale antologica più grande mai realizzata sull’artista, e inoltre perché l’ultima personale milanese risale a trent’anni fa.



 

 

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